Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1985 del 24/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2022, (ud. 17/06/2021, dep. 24/01/2022), n.1985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2029-2020 proposto da:

D.G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

ACACIE N. 13/15, presso il centro CAF, rappresentato e difeso

dall’avvocato ROSARIO GUGLIELMOTTI;

– ricorrente –

contro

R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIUSEPPE INFANTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 33/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 05/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 33/2019 depositata il 5-11-2019 ha rigettato l’appello proposto da D.G.G. avverso la sentenza del Tribunale di Salerno con la quale, per quanto ancora di interesse, veniva disposto, con riferimento al periodo tra la data di deposito del ricorso per separazione e la data di deposito del ricorso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’assegno di mantenimento di Euro 650 mensili rivalutabili secondo indici Istat in favore del coniuge R.M..

2. Avverso detto provvedimento D.G.G. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, a cui resiste con controricorso R.M..

3. I motivi di ricorso sono così rubricati: “1. Violazione ed errata applicazione degli artt. 143,155 e 156 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 3, ed all’art. 111 Cost.. 2. Violazione ed errata applicazione dell’art. 156 c.c., nonché omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5, ed all’art. 111 Cost.”.

4. Il primo motivo di ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile.

4.1. Il ricorrente si duole della retrodatazione alla data di deposito del ricorso per separazione della decorrenza dell’assegno di mantenimento in favore della moglie, alla quale, in sede di provvedimenti presidenziali provvisori (ordinanza 30-5-2011), detto assegno non era stato riconosciuto ed invece di seguito attribuito, nel corso del procedimento e all’esito di indagini espletate dalla Guardia di Finanza, con ordinanza del 23-7-2015 e con decorrenza da detto ultimo provvedimento.

4.2. La doglianza è infondata nella parte in cui sono denunciate le violazioni di legge di cui alla rubrica, atteso che la Corte d’appello si è attenuta all’orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione personale, decorre dalla data della relativa domanda, e ciò in quanto un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio (Cass. n. 17199 del 2013; Cass. n. 2960 del 2017).

Il ricorrente deduce che nella specie difettava, in ragione anche del vizio motivazionale denunciato, l’accertamento fattuale circa la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del mantenimento in favore della moglie sin dalla data della domanda.

E’ invece infondata anche la doglianza relativa alla contraddittorietà ed illogicità della motivazione, in quanto la Corte di merito ha affermato, in punto retrodatazione, che nel corso del giudizio di primo grado era emersa la circostanza relativa al mancato svolgimento da parte della R. dell’attività anche di libero professionista, oltre che di quella di insegnante, richiamando i giudici d’appello, al fine di corrobare detto assunto, l’esposizione debitoria dell’ex moglie dimostrata in causa. La Corte di merito, dunque, con motivazione non inferiore al “minimo costituzionale” (Cass. S.U. n. 8053 del 2014), ha reputato ad initio insussistente il suddetto elemento (svolgimento di attività di architetto da parte della R.), indicato nella sentenza impugnata come quello addotto dal marito a ragione della non debenza del mantenimento, e così ha giustificato la spettanza dell’assegno sin dalla data della domanda di separazione, non avendo, di conseguenza, pregio l’assunto del ricorrente secondo cui era mancato un accertamento di fatto in tal senso.

4.3.In disparte ogni rilievo circa la commistione indistinta di denuncia di vizi non precisamente individuati, con richiamo all’art. 360 c.p.c., “comma 3”, contestuale a quello di asserita illogicità, contraddittorietà, erroneità ed ingiustizia del “capo di sentenza”, le doglianze sono inammissibili nella parte in cui non si confrontano con il decisum, per avere la Corte d’appello dato atto che la R. svolgeva attività di insegnante (pag. n. 3 sentenza), contrariamente a quanto dedotto in ricorso, nonché nella parte in cui sollecitano una rivisitazione del merito, dolendosi il ricorrente dell’erronea valutazione di fatti (coabitazione tra i coniugi nel periodo anteriore all’udienza presidenziale di separazione e asserito mantenimento in concreto sostenuto dal marito nel medesimo periodo) non menzionati nella sentenza d’appello come oggetto di gravame e non specificamente denunciati, con il primo motivo, sub specie di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Resta da precisare che la doglianza relativa alla retrodatazione deve essere riferita solo all’assegno di mantenimento della moglie, non anche a quello dei figli, atteso che nella sentenza impugnata è stato chiaramente esplicitato (pag. n. 4) che i motivi d’appello riguardavano solo il primo assegno (cfr. anche conclusioni dell’appellante riportate a pag. n. 2 della sentenza). Nel ricorso non è specificamente censurato tale assunto, che determina, pertanto, la preclusione di ogni esame su questioni non impugnate in appello. Ciò nonostante, il ricorrente pare richiamare il profilo della decorrenza del mantenimento per i figli dalla data dall’emissione del provvedimento presidenziale del (OMISSIS) (pag.7 ricorso), invero senza particolare illustrazione, e ciò inammissibilmente stante il giudicato interno nei termini di cui si è detto.

5. Con il secondo motivo il ricorrente sostiene, in buona sostanza, che per l’assegno separativo debba farsi riferimento non al tenore di vita ma alla funzione compensativa e assistenziale, come per l’assegno divorzile, e che sia stata errata la valutazione del quadro probatorio nel raffronto tra le condizioni redittuali delle parti, essendo stato costituito il patrimonio immobiliare della famiglia solo con i proventi della professione di avvocato del ricorrente stesso e avendo omesso la Corte di merito di valutare la documentazione prodotta e gli accertamenti eseguiti nel giudizio di primo grado, dai quali risultava inesistente il divario economico tra i coniugi.

5.1. Il primo profilo di censura è infondato, stante il costante orientamento di questa Corte secondo cui l’assegno di separazione si fonda su di un obbligo giuridico del tutto differente da quello divorzile, e ciò in quanto il primo presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (da ultimo Cass. n. 5605 del 2020).

Il secondo profilo è inammissibile, perché mediante l’apparente denuncia del vizio di violazione di legge, si sollecita una rivalutazione del merito e una rivalutazione del quadro probatorio, ovviamente non consentita in sede di legittimità (Cass. Sez. U 34476 del 2019).

6. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314 del 2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.300, di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

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