Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19848 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 22/09/2020), n.19848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 34544-2018 proposto da:

C.M., nella qualità di erede di R.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA RIMINI 25, presso lo studio dell’avvocato

CARMEN ALESSANDRA ZAVAGLIA, rappresentata e difesa dall’avvocato

CONCETTA LEONE;

– ricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE MUTUA BENEVOLENTIA – ENTE GESTORE DELLA STRUTTURA SOCIO

SANITARIA “(OMISSIS)”, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 4, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE BELCASTRO, rappresentata e difesa

dall’avvocato IMMACOLATA ROBERTA CURINGA;

– controricorrente –

e contro

C.G., C.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 257/2018 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 11/05/2018 R.G.N. 369/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GENNARO MARIA AMORUSO, per delega Avvocato

IMMACOLATA ROBERTA CURINGA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 257/2018 la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di R.L. (proseguita dalla di lei coerede, C.M., stante il decesso della R. nelle more del giudizio di primo grado) intesa all’accertamento della illegittimità del licenziamento per motivi disciplinari intimato dall’Associazione Mutua Benevolentia e la domanda di condanna della associazione datrice di lavoro alle differenze retributive connesse al dedotto espletamento di mansioni superiori all’inquadramento attribuito.

1.1. La conferma del rigetto della domanda di differenze retributive è stata fondata sulla considerazione che le mansioni in concreto espletate dalla R. nel corso del rapporto erano coerenti con l’inquadramento nel livello A3 del c.c.n.l. applicabile, attribuito in sede di assunzione, ed anche con il fatto che l’espletamento delle mansioni corrispondenti al livello B rivendicato richiedeva il possesso di titoli abilitanti dei quali la R. era sprovvista; in ogni caso, l’assenza dei prescritti titoli abilitanti con riferimento all’attribuzioni in contratto delle mansioni di OTA (operatore tecnico addetto all’assistenza) avrebbe determinato la nullità del contratto medesimo per illiceità dell’oggetto in quanto in contrasto con il superiore interesse alla tutela della salute pubblica.

1.2. La conferma della legittimità del licenziamento è stata fondata sulla considerazione che le condotte addebitate, rappresentate da maltrattamenti nei confronti di due degenti, era stata confermata dalla prova orale e non era riconducibile ad alcuna ipotesi sanzionata in via conservativa dal contratto collettivo.

3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.M. sulla base di due motivi; l’Associazione Mutua Benevolentia

ha resistito con tempestivo controricorso; gli intimati C.G. e C.D. non hanno svolto attività difensiva.

4. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce “apparente motivazione, errore in procedendo errore in iudicando mancata valutazione delle prove, falsa e/o errata applicazione di norme di diritto, motivazione per relationem con la sentenza di primo grado mancata valutazione delle censure. Violazione di legge art. 111 Cost. (Legge cost. 23 gennaio 1999, n. 2, art. 1) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Premette che con il ricorso in appello era stato chiesto al giudice di pronunziarsi sulla illegittimità della sentenza di primo grado in quanto essendo incontroverso tra le parti che la ricorrente era stata assunta come OTA ma inquadrata nel livello economico A3, in base all’art. 51 del c.c.n.l. al dipendente OTA spettava il livello retributivo B3. Evidenzia di avere in prime cure allegato il possesso della qualifica di OSS – Operatore sociosanitario specializzato -, qualifica posseduta per titoli abilitanti presenti in atti e che tali titoli erano superiori al titolo di OTA. Deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. per non avere la Corte di merito posto a base del decisum fatti non espressamente contestati da controparte. Assume, inoltre, la inadeguata valutazione della prova orale e documentale. Si duole quindi della violazione dell’art. 111 Cost. per “diniego di giustizia”.

2. Con il secondo motivo parte ricorrente deduce “apparente motivazione, errore in procedendo errore in iudicando mancata valutazione delle prove motivazione per relationem falsa applicazione di norme c.p.c.”. Deduce che il giudice di appello aveva parlato “in modo fuorviato” di sospensione cautelare laddove tale sospensione si configurava quale frutto di un provvedimento disciplinare adottato in violazione del procedimento di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7. Affida ulteriori critiche alla sentenza impugnata ad argomentazioni che fanno riferimento essenzialmente alla non corretta valutazione delle risultanze di causa, ad errori procedurali, in particolare sotto il profilo della violazione del principio di immutabilità della contestazione, dai quali assume essere affetto il licenziamento.

3. Preliminarmente deve essere respinta la eccezione di improcedibilità del ricorso per cassazione che parte controricorrente fonda sulla violazione del termine di deposito del ricorso prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 1.

Dall’esame diretto degli atti di causa risulta, infatti, il rispetto del prescritto termine di venti giorni, decorrente, ai sensi della richiamata disposizione, dall’ultima notificazione effettuata, da identificarsi con quella perfezionatasi nei confronti delle parti rimaste intimate il 15 novembre 2018; rispetto a tale data il ricorso per cassazione, consegnato in cancelleria il 5 dicembre 2018, ultimo giorno utile, è quindi tempestivo.

4. Sempre in via preliminare deve essere respinta la eccezione fondata sulla mancata dimostrazione della qualità di erede da parte della odierna ricorrente, questione il cui esame risulta precluso alla luce della condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il mancato adempimento dell’onere di provare la qualità di erede da parte di colui il quale si costituisce in giudizio come successore a titolo universale di una delle parti, qualora nessuna contestazione sul punto sia stata svolta dalla controparte nelle udienze successive alla costituzione, e neppure in sede di precisazione delle conclusioni, non può essere fatto valere per la prima volta solo nella comparsa conclusionale o nei successivi gradi del giudizio (Cass. 21/07/2016, n. 15031). Parte controricorrente non ha, infatti, allegato, prima ancora che dimostrato, la tempestiva contestazione della qualità di erede in capo all’odierna ricorrente.

5. Il primo motivo di ricorso è inidoneo alla valida censura della decisione di primo grado in punto di corrispondenza dell’inquadramento attribuito con le mansioni effettivamente espletate.

La sentenza impugnata, dato atto dei contraddittori contenuti presenti nel contratto di assunzione in relazione all’inquadramento attribuito nel livello A3 c.c.n.l. ed al riferimento alle mansioni di OTA (rientranti nel livello B c.c.n.l.), ha utilizzato quale canone residuale di interpretazione della effettiva volontà delle parti, il comportamento dalle stesse tenuto nella esecuzione del contratto ed evidenziato che alla stregua della prova testimoniale esso deponeva in modo inequivoco per lo svolgimento di mansioni corrispondenti al livello A3 attribuito.

5.1. Le censure articolate dalla odierna ricorrente non investono specificamente tale accertamento, ma svolgono deduzioni, in punto di non contestazione del possesso del titolo di OTA nonchè del titolo di OSS, che non incrinano la (distinta e) autonoma ratio decidendi alla base della statuizione vale a dire che le parti avevano convenuto l’espletamento di mansioni riconducibili all’inquadramento in A3 corrispondente a quello attribuito. Ed invero l’asserita non contestazione del possesso del titolo di OSS (che si assume essere qualitativamente superiore a quello di OTA) non inficia di per sè il fatto che le mansioni in concreto svolte dalla dante causa dell’odierna ricorrente fossero riconducibili al livello A3 attribuito in sede di assunzione e non implicassero lo svolgimento dei più qualificati compiti corrispondenti alla qualifica di OTA ed, a maggior ragione, di quella di OSS.

5.2. Le censure relative alla valutazione degli elementi probatori in atti sono inammissibili alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale la denuncia del vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e concludenza nonchè scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra le altre, v. Cass. n. 91 de12014, Cass. n. 18119 del 2008, Cass. n. 15489 del 2007, Cass. n. 20455 del 2006, Cass. n. 20322 del 2005).

6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto la tecnica di esposizione adottata dall’odierna ricorrente non consente di identificare con chiarezza le ragioni di critica alla sentenza impugnata e la loro riconducibilità ad uno dei tassativi motivi per i quali può essere chiesta la cassazione della decisione.

6.1. Il ricorso per cassazione introduce, infatti, un giudizio a critica vincolata delimitato e vincolato da motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c. (Cass. 11603 del 2018, Cass. n. 19959 del 2014, Cass. n. 21165 del 2013). Per questa ragione è ritenuta inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 26874 del 2018). Nel vigore del testo attualmente vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, il vizio di motivazione è deducibile solo sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia (per tutte v. Cass. Sez. Un. 8053 del 2014). Le censure articolate devono inoltre essere sorrette dalla ordinata esposizione dei fatti di causa, secondo quanto prescritto a pena d’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto funzionale alla completa e regolare instaurazione del contraddittorio, nonchè alla comprensione dei motivi di ricorso ed alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte; esso è soddisfatto laddove il contenuto dell’atto consenta di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti, sicchè impone alla parte ricorrente, sempre che la sentenza gravata non impinga proprio per questa ragione in un’apparenza di motivazione, di sopperire ad eventuali manchevolezze della stessa decisione nell’individuare il fatto sostanziale e soprattutto processuale (Cass. n. 10072 del 2018, Cass. n. 16103 del 2016).

Sempre in tema di requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, esige che il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, assolva al duplice onere di produrre in atti il documento in questione (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Cass. n. 19048 del 2016, Cass. n. 15628 del 2009).

E’ stato poi precisato che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. n. 5353 del 2007, Cass. n. 11501 del 2006, Cass. n. 6123 del 2001).

Infine, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.” (Cass. n. 1435 del 2013, n. 20518 del 2008, Cass. n. 22540 del 2006);

6.2. La modalità di articolazione del secondo motivo si discosta dai richiamati canoni di ammissibilità posto che: a) è del tutto carente la ordinata esposizione dei fatti di causa destinata a consentire la comprensione delle singole censure anche alla luce delle allegazioni in fatto e deduzioni in diritto svolte dalle parti nelle fasi di merito e in relazione al contraddittorio sulle stesse sviluppatosi; b) le critiche alla decisione di secondo grado vengono formulate secondo una tecnica di esposizione che si potrebbe definire meramente contrappositiva la prospettazione in fatto ed in diritto che la odierna ricorrente oppone alla sentenza impugnata non sono veicolate nel rispetto delle modalità di deduzione dello specifico vizio denunziato. In particolare, la deduzione di violazione di norme di diritto, neppure specificamente individuate, non è sorretta da argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie; quanto al vizio di motivazione difetta la deduzione di omesso esame con riferimento ad uno specifico fatto storico. In relazione alle questioni non espressamente affrontate dalla sentenza impugnata, quali ad esempio quella che la ricorrente sembra prospettare sub specie di violazione della immodificabilità della contestazione disciplinare o anche di decadenza dalla prova, si rileva la assoluta carenza di allegazione dell’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito con la specifica indicazione dell’atto nel quale la questione era stata sollevata. Le censure alla ricostruzione fattuale non sono veicolate dalla deduzione di omesso esame di uno specifico fatto storico ma risultano incentrate sul significato probatorio degli elementi acquisiti ed in definitiva intese a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento degli stessi, sindacato precluso al giudice di legittimità; la denunzia di error in procedendo non specifica la domanda o eccezione autonomamente apprezzabile rispetto alla quale si sarebbe verificato l’errore.

7. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto; le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in favore della parte controricorrente in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

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