Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19848 del 20/09/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/09/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 20/09/2010), n.19848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32136/2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini n. 134,

presso lo studio dell’avv. FIORILLO Luigi, che la rappresenta e

difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.S., elettivamente domiciliata in Roma Via Reno n. 21,

presso lo studio dell’avv. RIZZO Roberto, che la rappresenta e

difende per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5694/2005 della Corte d’appello di Roma,

depositata in data 19/11/2005; R.G. 535/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza

dell’8.7. 2010 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

uditi gli avvocati Fiorillo e Rizzo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza del Tribunale di Roma veniva accolta la domanda di L.S. di dichiarare la nullità dell’apposizione del termine all’assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a., disposta in suo favore per i periodi 24-3-30.4.98 (con proroga al 30.5.98) e 1.5- 30.10.99 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, ex art. 8 del ccnl 26.11.94 come integrato dall’accordo sindacale 25.9.97.

2.- Proposto appello da Poste Italiane s.p.a., la Corte d’appello di Roma con sentenza depositata in data 19.11.05 rigettava l’impugnazione ritenendo sussistente la nullità del termine apposto al secondo contratto.

La Corte di merito rilevava che – nell’ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – il contratto era stato stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per fare fronte ad esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda. Considerato che la norma collettiva consentiva l’assunzione a termine per detta causale solo fino al 30.4.98, riteneva che per il secondo contratto il termine fosse illegittimamente apposto.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione, cui L. rispondeva con controricorso illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.- Il ricorso è infondato.

La soc. Poste deduce violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale (art. 1362 c.c., e segg.) in relazione all’interpretazione accolta dal giudice di merito dell’art. 8 del ccnl 26.11.94 e dell’accordo integrativo 25.9.97, nonchè carenza di motivazione. In particolare, il giudice di merito non avrebbe considerato che gli accordi successivi a quello del 25.9.97 avevano valenza ricognitiva della sussistenza delle condizioni legittimanti in fatto il ricorso al contratto a termine, senza circoscrivere il ricorso a tale strumento solo al periodo temporale indicato.

5.- Va premesso che la sentenza della Corte d’appello, ad onta della formula di rigetto dell’impugnazione adottata, ha nella sostanza affermato un principio che avrebbe dovuto condurre alla riforma parziale della sentenza di primo grado, in quanto in forza del principio di diritto adottato risulta illegittimo solamente il termine apposto al secondo dei due contratti. Non risultando dedotto alcun mezzo di impugnazione circa l’incongruità della formula conclusiva del giudizio di appello, tuttavia, la sentenza impugnata può essere esaminata solo nei limiti delle censure mosse dal ricorso.

6.- La giurisprudenza della Corte di cassazione ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo.

Consegue che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo e che l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori del limite temporale del 30.4.98 sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

1.- Nel caso di specie è, dunque, corretta la sentenza della Corte d’appello di Roma, che ha ritenuto nulla l’apposizione del termine solo per il secondo dei due contratti in questione, in quanto stipulato successivamente al 30.4.98.

Il ricorso è dunque infondato e la pronunzia impugnata deve essere confermata.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 32,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2010

 

 

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