Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19848 del 12/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 12/07/2021), n.19848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1743-2020 proposto da:

J.E., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CHIARA BELLINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Vicenza, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 10276/2019 del TRIBUNALE di

VENEZIA, depositato il 27/11/2019 R.G.N. 6116/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/02/202 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con decreto 27 novembre 2019, il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso di J.E., cittadino (OMISSIS), avverso il decreto della Commissione Territoriale di Vicenza, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;

2. esso riteneva, come già la Commissione, la scarsa credibilità del richiedente, che aveva riferito di essere fuggito dal (OMISSIS) il 24 giugno 2016 per problemi legati all’eredità paterna, che i familiari (zii e cugini con i quali conviveva) rivendicavano per sé minacciandolo con sortilegi e stregonerie (per le quali la moglie, dopo aver perso un neonato e consigliata dai suoi familiari timorosi del malocchio dei congiunti del marito, lo lasciava), alla fine a ciò determinatosi per le minacce anche di morte sempre più pressanti (così sollecitato anche da un guaritore, che gli rappresentava essere la sua vita in pericolo), approdando, dopo un transito in Mali, Niger (per periodi di un mese ciascuno) e Libia (dove subiva gli attacchi degli asma boys che gli sottraevano il denaro che guadagnava e il padrone lo mandava a rubare beni dello Stato), infine in Italia nel gennaio 2017;

3. l’inattendibilità del racconto, per inverosimiglianza e comunque la natura privata della vicenda, di carattere economico familiare neppure denunciata alla polizia per averne protezione (per impotenza delle autorità pubbliche contro le stregonerie, a giustificazione), erano valutate in senso preclusivo delle misure di protezione internazionale richieste, anche tenuto conto del miglioramento della situazione politica ed economica del (OMISSIS), in assenza di una condizione di violenza indiscriminata rilevante a fini dell’esposizione a grave danno, in caso di rimpatrio, del richiedente: neppure in condizioni di vulnerabilità, né di adeguato livello di integrazione sociale in Italia (in base a documentazione di un tirocinio di breve durata e di un altro più recente), anche comparativamente al proprio Paese (dove aveva invece avuto un’attività che gli consentiva di sostenersi) tali da meritargli la protezione umanitaria;

4. con atto notificato il 27 dicembre 2019, lo straniero ricorreva per cassazione con tre motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. e), artt. 5, 7,14, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter) per inosservanza dell’obbligo di cooperazione istruttoria, in difetto di approfondimento specifico in relazione: tanto al riconoscimento dello status di rifugiato che di protezione sussidiaria per grave danno in caso di rimpatrio, della condizione di disgregazione del tessuto relazionale sociale e parentale per effetto del regime ventennale del presidente Y., con insidia degli stessi rapporti familiari per ottenerne informazioni sensibili utilizzabili dal regime, oltre che di abuso delle forze dell’ordine (come da rapporti indicati); ma anche alla protezione umanitaria, in particolare riferimento al periodo trascorso in Libia, dove il richiedente aveva lavorato dovendo poi fuggire per lo scoppio della guerra civile, con una condizione relativa ai rimpatri come da documento UNHCR del settembre 2018, riportato per estratto (primo motivo); violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, lett. e) e vizio motivo, per il mancato esercizio dal Tribunale dei poteri officiosi, in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, tenuto conto dell’onere probatorio attenuato del richiedente, latore di elementi genericamente ritenuti non credibili, senza “cenno alcuno al contesto socio-politico e giuridico-ordinamentale del (OMISSIS)”, avendo egli i requisiti per l’ottenimento delle misure di protezione richieste, tenuto anche conto dei richiamati provvedimenti di giudici di merito concessivi in favore di cittadini (OMISSIS) (secondo motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

3. la valutazione di credibilità del richiedente deve essere sempre frutto di una valutazione complessiva di tutti gli elementi e non può essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti, quando invece venga trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto (Cass. 8 giugno 2020, n. 10908); sicché, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, il giudice deve osservare l’obbligo di compiere le valutazioni di coerenza e plausibilità delle dichiarazioni del richiedente, non già in base alla propria opinione, ma secondo la procedimentalizzazione legale della decisione sulla base dei criteri indicati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5 (Cass. 11 marzo 2020, n. 6897; Cass. 6 luglio 2020, n. 13944; Cass. 9 luglio 2020, n. 14674);

3.1. la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, a norma del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5 e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero mancanza assoluta della motivazione, motivazione apparente o perplessa od obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340); la verifica di credibilità è sottratta al controllo di legittimità, al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, devono essere sottoposte non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 7 agosto 2019, n. 21142; Cass. 19 giugno 2020, n. 1195).

3.2. nel caso di specie, il Tribunale ha con argomentazione congrua escluso la credibilità del richiedente, in riferimento alle riferite minacce nell’ambito familiare, contestualizzata in una vicenda economica di successione ereditaria, senza giustificazione del mancato ricorso alla protezione della pubblica autorità ritenuta inconferente (per le ragioni esposte dall’inizio al secondo capoverso di pg. 8 del decreto), anche sorretta da puntuale disamina della specifica situazione del (OMISSIS), sulla base di recenti e aggiornate informazioni tratte da fonti ufficiali, specificamente indicate (dal penultimo capoverso di pg. 10 al secondo di pg. 11 del decreto) ed aggiornate (in particolare: Amnesty International Report 2017/2018; Human Rights Watch, Word Report 2018 – (OMISSIS)) rappresentanti, dopo l’insediamento del nuovo presidente B. a superamento del precedente ventennio di dittatura di Y.J., un percorso di miglioramento della situazione politica ed economica, di lenta normalizzazione e ritorno alla democrazia, con garanzia della sicurezza del Paese dalle truppe dell'(OMISSIS), di sostegno e formazione delle nuove forze pubbliche del (OMISSIS): in corretto adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria (Cass. 12 novembre 2018, n. 28990; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 20 maggio 2020, n. 9230);

3.3. il ricorrente si è invece limitato ad una contrapposizione di argomentazioni (basate sull’estratto di un rapporto nazionale sulle pratiche dei diritti umani 2018, relativo a comportamenti di agenti di polizia e a sviluppi dei processi a carico di esponenti del precedente periodo di dittatura, tra loro pure disarticolati e frammentari; oltre che su uno studio di psicopatologia politica del (OMISSIS) di un Centro di studi di Palermo: a pgg. da 6 a 8 del ricorso) di sostanziale contestazione della valutazione del giudice di merito, congruamente argomentata per le ragioni dette, insindacabile in sede di legittimità;

3.4. la censura è pertanto inidonea ad attingere quella specificità dimostrativa di inattualità delle informazioni poste dal giudice di merito alla base del suo ragionamento decisorio, in assenza di puntuali fonti alternative o successive, tali da consentire l’effettiva verifica di violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26728; Cass. 20 ottobre 2020, n. 22769); 3.5. generico è poi il riferimento al periodo di transito in Libia (nei quattro alinea del terzo capoverso di pg. 5 del ricorso), di cui il Tribunale ha dato puntuale conto (ai primi tre alinea di pg. 3 del decreto), con trascrizione di un documento UNHCR poco pertinente, relativo alla “Posizione sui rimpatri in Libia” del settembre 2018 (a pgg. 12 e 13 del ricorso), qui non in discussione, in assenza di alcun collegamento con una personale condizione di vulnerabilità del richiedente: ribadito l’indirizzo di questa Corte, secondo cui l’allegazione, da parte del medesimo, che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese e il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perché l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide; potendo tuttavia il paese di transito rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. 6 febbraio 2018, n. 2861; Cass. 6 dicembre 2018, 31676; Cass. 5 giugno 2020, n. 10835);

4. il ricorrente deduce violazione degli artt. 3 CEDU, 33 Convenzione di Ginevra, in riferimento del principio di “non refoulement”, nucleo intangibile della protezione dovuta dallo Stato allo straniero sa rischio di seria minaccia alla propria vita, in caso di rimpatrio (terzo motivo);

5. esso è inammissibile;

5.1. il principio è collegato al diritto di asilo, interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa contenuta nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 e nel D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 (Cass. 26 giugno 2012, n. 10686; Cass. 15 settembre 2020, n. 19176), specificamente riguardante la diversa materia dei provvedimenti di espulsione di competenza amministrativa, qui non in discussione, costituendo in tale materia l’introduzione, in sede di opposizione alla misura espulsiva, di una misura umanitaria (specificamente regolata tra le diverse di protezione internazionale ed oggetto del precedente mezzo scrutinato) a carattere negativo, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3898; Cass. 8 aprile 2019, n 9762; Cass. 17 febbraio 2020, n. 3875; Cass. 31 dicembre 2020, n. 29971);

6. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza assunzione di un provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto difese e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile; nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2021

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