Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19847 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 22/09/2020), n.19847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15560-2018 proposto da:

G.C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GHERA,

rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO GAROFALO;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI,

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ENZO MORRICO, che la rappresentano e

difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2059/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 14/12/2017 R.G.N. 207/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PATRIZIA SCAPPATURA, per delega verbale Avvocato

DOMENICO GAROFALO;

udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda di G.C.R. intesa all’accertamento della illegittimità dei due licenziamenti intimati da Telecom Italia s.p.a., per motivi disciplinari e per superamento del periodo di comporto, e della domanda di risarcimento del danno per violazione degli obblighi di protezione gravanti sulla datrice di lavoro ex art. 2087 c.c..

1.1. La Corte di merito, per quel che ancora rileva, premesso che i due licenziamenti erano stati comunicati nella medesima data e che non emergevano dati istruttori significativi dell’anteriorità dell’uno rispetto all’altro, richiamato il principio della ragione più liquida nella trattazione delle questioni, ha preso in considerazione il licenziamento collegato al superamento del periodo di comporto (laddove il giudice di prime cure si era espresso in relazione al licenziamento disciplinare) e lo ha ritenuto fondato osservando che alla data del (OMISSIS), alla luce delle emergenze istruttorie, risultava superato il limite di 365 giorni di assenza per malattia da computarsi, in conformità della previsione collettiva, nell’ambito di un periodo di 18 mesi consecutivi “precedente ogni nuovo ultimo episodio morboso”. Ha respinto la domanda risarcitoria riconducendo, alla stregua della prova espletata, le condotte datoriali denunziate all’ambito delle normali dinamiche relazionali dell’ambiente di lavoro, prive di intrinseci connotati di ingiuriosità e di vessatorietà.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.C.R. sulla base di tre motivi: la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo parte ricorrente deduce nullità della sentenza per mancanza di motivazione e/o per motivazione apparente per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., censurando la sentenza impugnata per illogicità ed incoerenza in relazione al calcolo dei giorni di calendario utili a ritenere maturato il periodo di comporto. In particolare deduce l’errore del giudice di merito nell’avere ascritto all’arco temporale (OMISSIS) un periodo di 208 giorni di assenza per malattia laddove il dato numerico esatto dei giorni corrispondenti a tale periodo era pari a 205; ciò escludeva che si fosse verificato superamento del periodo di comporto.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2963 c.c., dell’art. 155c.p.c., dell’art. 32 c.c.n.l. Telecomunicazione del 9.9.1996 e dell’art. 36 c.c.n.l. Telecomunicazioni del 28.6.2000 c.c.n.l.. Premesso di convenire con la sentenza impugnata sul fatto che il dies a quo (utile sia per il calcolo a ritroso del cd. limite esterno, pari a 18 mesi, che del cd. limite interno, pari a 365 giorni) era costituito dalla data del (OMISSIS), osserva che il computo a giorni del limite esterno del comporto doveva avvenire ex numeratione dierum, secondo i giorni di calendario, mentre il calcolo dei termini mensili o annuali, in base al disposto dell’art. 155 c.p.c., comma 2, e dell’art. 2693 c.c., doveva essere effettuato indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni di ciascun mese e senza tenere conto del dies a quo; denunzia, pertanto, l’errore della sentenza impugnata per avere computato nel numero di giorni di assenza per malattia utili ai fini del comporto anche il giorno (OMISSIS) che quale dies a quo andava escluso dal relativo calcolo; deduce, inoltre, l’errore del giudice d’appello perchè nel calcolo dei giorni di malattia ininterrotta non aveva considerato i giorni di calendario ma aveva sommato i periodi di malattia quali risultanti dai certificati medici senza tenere conto che alcuni di tali certificati erano stati emessi il giorno di scadenza del certificato precedente; per tale ragione assume che il numero massimo dei giorni di assenza per malattia riferibile al periodo (OMISSIS)/(OMISSIS) era pari a 205 e non a 208 come, invece, ritenuto dalla Corte di merito; tanto escludeva il superamento del periodo di comporto.

3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5 e dell’art. 2697 c.c. censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto provati 158 giorni di assenza per malattia sulla base delle buste paga prodotte da controparte che assume inidonee, anche alla luce delle contestazioni formulate dalla lavoratrice, a dimostrare i giorni di assenza per malattia.

4. Il primo motivo di ricorso è infondato.

4.1. Si premette che l’errore ascritto al giudice di merito con il motivo in esame non è prospettato sub specie di errore percettivo, denunziabile con ricorso per revocazione (proposto dalla odierna ricorrente dinanzi alla Corte di appello che lo ha dichiarato inammissibile – v. ricorso per cassazione, pag. 9 e memoria ricorrente, pag. 4), ma come vizio destinato a rifluire in apparenza di motivazione per la asserita incomprensibilità del fatto che al secondo periodo considerato erano ascritti 208 giorni di assenza per malattia laddove in esso si contavano solo 205 giorni.

La sentenza impugnata ha ritenuto che “come condivisibilmente spiega l’appellante” il raccordo tra limite esterno e limite interno andava operato sulla data del (OMISSIS), e che a tale data si erano perfezionati entrambi i periodi in questione posto che: a) le assenze per malattia risultavano documentate dalle buste paga che le identificavano relativamente al periodo decorrente dal mese di (OMISSIS) e dai prodotti certificati medici a decorrere da quello del (OMISSIS) (v. sentenza, pag. 12, penultimo capoverso); b) calcolando a ritroso dal (OMISSIS) il periodo di 18 mesi consecutivi precedente ogni ultimo episodio morboso ai sensi dell’art. 32, comma 10 c.c.n.l. settembre 1996, il dies ad quem del limite esterno del comporto risultava determinato al (OMISSIS); c) relativamente al periodo dal (OMISSIS) al (OMISSIS) i certificati esponevano 208 giorni di assenza per malattia; il totale dei dati così ricostruiti assommava a 366 giorni di assenza per malattia. Il giudice di appello ha, inoltre, rimarcato che lo stesso ricorso introduttivo conteneva una contestazione del tutto generica del superamento del periodo di comporto e dall’altro che non era stata mai nemmeno contestata la idoneità dimostrativa delle prodotte buste paga che attestavano le assenze dal lavoro per il titolo in questione.

4.2. Quanto sopra rilevato consente innanzitutto di escludere l’apparenza di motivazione la quale sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico – giuridico alla base del decisum perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 03/11/2016 n. 22232).

Le ragioni in fatto ed in diritto che sostengono il rigetto della impugnativa di licenziamento per superamento del periodo di comporto sono infatti chiaramente percepibili nella loro concatenazione fattuale e giuridica.

Nè la apparenza di motivazione può farsi discendere dalla pretesa incongruenza del computo dei giorni riferiti al limite cd. interno in quanto, a rigore, la sentenza non dice che nel periodo (OMISSIS)/(OMISSIS) si sono verificati 208 giorni di assenza per malattia ma che i certificati, a decorrere da quello del (OMISSIS) al (OMISSIS), documentano 208 giorni di assenza per malattia (v. sentenza, pag. 13).

L’assunto del superamento del periodo di comporto è frutto, quindi, di accertamento di fatto del giudice di merito, il quale poteva essere incrinato solo dalla deduzione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di omesso esame di un fatto storico, di rilevanza decisiva, oggetto di discussione fra le parti, omissione neppure formalmente prospettata dall’odierna ricorrente.

5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

5.1. La verifica nel merito della dedotta violazione e falsa applicazione delle norme collettive articolata con il motivo in esame risulta preclusa in quanto parte ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ha omesso (salvo che per le norme di raccordo – v. ricorso, pag. 15, secondo capoverso, in concreto non investite da censura), di fornire le indicazioni necessarie alla loro individuazione al fine di renderne possibile l’esame, ovvero di precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte, nell’ambito del giudizio di merito, come prescritto (Cass. Sez. Un. 34469 del 2019); detti testi contrattuali, in violazione del disposto dell’art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4, sanzionato a pena di improcedibilità, non risultano depositati unitamente al ricorso per cassazione.

5.2. La denunzia di violazione e falsa applicazione delle norme codicistiche in tema di computo dei termini risulta anch’essa inammissibile sia quale conseguenza della rilevata inammissibilità della deduzione di violazione delle norme collettive alle quali è correlata la censura in esame, sia in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, le regole di computo secondo il calendario comune, di cui all’art. 2963 c.c. e art. 155 c.p.c., trovano applicazione soltanto in assenza di clausole contrattuali di diverso contenuto (Cass. n. 7676 del 2017), circostanza non evincibile dalla trascrizione, solo parziale e quindi non autosufficiente, nel ricorso per cassazione delle norme collettive richiamate.

5.3. Parimenti inammissibile la censura che ascrive alla sentenza impugnata la errata valutazione dei certificati di malattia, sotto il profilo della corretta determinazione dei giorni di assenza dagli stessi risultanti, per la dirimente considerazione che il relativo contenuto non è stato trascritto o riassunto nel ricorso per cassazione nè è stata indicata la sede di relativa produzione nell’ambito del giudizio di merito, come prescritto (Cass. n. 29093 del 2018, Cass. n. 195 del 2016Cass. n. 16900 del 2015, Cass. n. 26174 del 2014, Cass. 24/10/2014 n. 22607 del 2014, Cass. Sez. Un, n. 7161 del 2010).

6. Il terzo motivo di ricorso è da respingere.

6.1. La sentenza impugnata ha osservato che il ricorso introduttivo conteneva una contestazione generica in ordine al superamento del periodo di comporto e che non era stata nemmeno contestata la idoneità dimostrativa delle buste paga, ritualmente prodotte, in relazione alla attestazione di assenze di lavoro per il titolo in oggetto. Tanto esclude la fondatezza della censura che ascrive alla Corte di merito la violazione della regola dell’onere probatorio posto che la decisione in concreto adottata non è frutto dell’applicazione di tale regola ma del positivo riscontro del numero dei giorni di malattia tratto dalle buste paga, ritualmente versate in atti dalla datrice di lavoro, valutate alla stregua della complessiva condotta processuale della lavoratrice.

6.2. Le ulteriori deduzioni, incentrate sulla avvenuta contestazione della imputabilità a malattia delle assenze indicate nel prospetto riepilogativo predisposto dall’azienda, risultano inammissibili per la dirimente considerazione che le stesse non sono sorrette dalla trascrizione o riassunto delle difese articolate sul punto e, prima ancora, della indicazione dell’atto nel quale le stesse erano state formulate, come prescritto ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

7. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

8. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

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