Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19845 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. II, 23/07/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 23/07/2019), n.19845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12544/2015 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARO n. 35,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO MAZZONI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2056/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/04/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione M.P. conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Roma il Fallimento (OMISSIS) Srl invocando l’emissione di sentenza dichiarativa del suo diritto di proprietà su un immobile sito in territorio del Comune di (OMISSIS). L’attore esponeva di aver acquistato la proprietà di detto bene con scrittura privata del 14.5.1994, contestualmente alla cui sottoscrizione aveva versato per intero il prezzo di acquisto, ottenendo il possesso del cespite; esponeva ancora che le parti avevano pattuito di differire la trascrizione della compravendita ad un momento successivo ma che prima di tale incombente era sopravvenuto il fallimento della società venditrice.

Si costituiva il Fallimento sostenendo che la scrittura del 14.5.1994 non era stata firmata da persona munita del potere di impegnare la società fallita; che non vi era traccia del saldo del prezzo pattuito in detto accordo; che pertanto l’atto non poteva essere considerato come una compravendita e doveva, anzi, essere ritenuto simulato; in via riconvenzionale, invocava la condanna dell’attore alla restituzione del cespite e al pagamento della relativa indennità di occupazione.

Con sentenza n. 24135/2005 il Tribunale di Roma rigettava la domanda dichiarando la nullità del contratto del 14.5.1994 e condannando il M. al pagamento dell’indennità di occupazione dell’immobile oggetto di causa.

Interponeva appello il Fallimento, invocando la condanna dell’originario attore anche al rilascio del bene e la precisazione del momento di decorrenza del suo obbligo di pagamento dell’indennità di occupazione.

Si costituiva il M. resistendo al gravame e svolgendo appello incidentale.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 2056/2014, la Corte di Appello di Roma accoglieva l’appello principale e riteneva rinunciato il gravame incidentale, a fronte della richiesta del M. – contenuta nella memoria di replica da quegli depositata in seconde cure – di dichiararsi la cessazione della materia del contendere a seguito dell’intervenuta ingiunzione, da parte del Comune di Ardea, della demolizione dell’immobile oggetto di causa.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione M.P. affidandosi a quattro motivi.

Il Fallimento (OMISSIS) Srl, intimato, non ha svolto attività difensiva in questo giudizio di cassazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vanno preliminarmente scrutinati il secondo e il terzo motivo, con i quali il ricorrente lamenta, rispettivamente, l’omesso esame dell’appello incidentale da parte della Corte di Appello di Roma (seconda censura) e la violazione dell’art. 306 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto rinunciato il predetto gravame, senza considerare che la rinuncia è atto che deve provenire solo dalla parte o dal procuratore espressamente autorizzato e che comunque ad essa non equivale la richiesta di dichiararsi cessata la materia del contendere (terza censura).

Le due doglianze, che per la loro connessione vanno esaminate congiuntamente, sono fondate.

Dall’esame della memoria di replica depositata dal M. in appello – consentita al Collegio, essendo stato dedotto un vizio di carattere processuale – risulta che costui aveva richiesto alla Corte di seconde cure di “… dichiarare l’avvenuta cessazione della materia del contendere”, se del caso previa remissione della causa sul ruolo istruttorio ed acquisizione delle necessarie informazioni dall’ente locale, a seguito dell’intervenuta ingiunzione, da parte del Comune di Ardea, della “demolizione di tutte le opere realizzare nel complesso (OMISSIS)”.

Con tale espressione il M. non ha rinunciato ad alcunchè, limitandosi – piuttosto – ad informare il Collegio di una situazione sopravvenuta – rappresentata dall’ingiunzione di demolizione intimata dal Comune di Ardea – ed invitando il medesimo a prendere atto della stessa e a ritenere cessata la materia del contendere, evidentemente in conseguenza di un factum principis.

La cessazione della materia del contendere non equivale a rinuncia ma ne costituisce – piuttosto – l’effetto. Infatti per potersi configurare rinunzia all’azione – che non richiede formule sacramentali, ma può essere anche tacita e va riconosciuta quando vi sia incompatibilità assoluta tra il comportamento dell’attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta – occorre il riconoscimento dell’infondatezza dell’azione, accompagnato dalla dichiarazione di non voler insistere nella medesima. Solo a queste condizioni la rinuncia all’azione determina, indipendentemente dall’accettazione della controparte – che è richiesta, invece, per la diversa ipot6esi della rinuncia agli atti del giudizio – l’estinzione dell’azione e la cessazione della materia del contendere, la quale va dichiarata, anche d’ufficio, in ogni caso in cui risulti acquisito agli atti del giudizio che non sussiste più contestazione tra le parti sul diritto sostanziale dedotto e che conseguentemente non vi è più la necessità di affermare la volontà della legge nel caso concreto (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2267 del 19/03/1990, Rv. 466036; Cass. Sez. L, Sentenza n. 12844 del 03/09/2003, Rv. 566523; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4505 del 28/03/2001, Rv. 545257; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1442 del 16/03/1981, Rv. 412092).

Ne consegue che “Non può essere dichiarata la cessazione della materia del contendere quando il riconoscimento che il convenuto abbia fatto della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio dall’attore sia subordinato all’accertamento di un diverso assetto dei rapporti tra le medesime parti, sia pure con riguardo ad un distinto periodo di tempo, dovendo in tal caso il giudice, anche se ritenga che tale ultimo accertamento sia estraneo a quanto forma oggetto della causa, pronunciare sul merito della domanda dell’attore” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10553 del 09/10/1995, Rv. 494189); ovvero quando una delle parti abbia “… dato atto che successivamente all’introduzione della lite si sono verificati fatti astrattamente idonei a privarla di interesse alla prosecuzione del giudizio, quando nelle rispettive conclusioni ciascuno dei litiganti abbia insistito nelle rispettive originarie richieste così dimostrando il proprio interesse alla decisione della controversia” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 622 del 22/01/1997, Rv. 501935; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6395 del 01/04/2004, Rv. 571708; Cass. Sez. L, Sentenza n. 27460 del 22/12/2006, Rv. 594039); o ancora quando, pur essendo – come nel caso di specie – sopravvenuta nel corso del processo una situazione astrattamente idonea ad eliminare completamente la posizione di contrasto fra le parti in causa, facendo venir meno la necessità della decisione, persista comunque l’interesse di una di esse ad un accertamento giudiziale del diritto azionato (Cass. Sez. L, Sentenza n. 14144 del 16/12/1999, Rv. 532268) o sussista comunque opposizione di una delle parti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1950 del 10/02/2003, Rv. 560353). In definitiva “La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso. In mancanza di tale accordo, l’allegazione di un fatto sopravvenuto, assunto come idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere da una sola parte, dev’essere valutata dal giudice” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16150 del 08/07/2010, Rv. 613959).

Va inoltre considerato che “La rinuncia all’azione, ovvero all’intera pretesa azionata dall’attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede, in capo al difensore, un mandato ad hoc, senza che sia a tal fine sufficiente quello ad litem, in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell’originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore quale espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4837 del 19/02/2019, Rv. 652581; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28146 del 17/12/2013, Rv. 629194; cfr. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1439 del 04/02/2002, Rv. 552063, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3734 del 10/04/1998, Rv. 514440 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 2572 del 07/03/1998, Rv. 513476).

Nel caso di specie l’ipotetica rinuncia è caduta sull’intera domanda originariamente proposta dal M. e, quindi, avrebbe dovuto essere formulata nei termini rigorosi previsti dall’art. 306 c.p.c., in quanto la disposizione del diritto controverso non rientra tra i poteri del procuratore di scegliere la più opportuna strategia di difesa.

Da quanto precede consegue che, nella fattispecie, la Corte di Appello di Roma ha errato nel ritenere rinunciata la domanda del M. e nel non pronunciarsi su di essa, da un lato in quanto l’eventuale rinuncia, in quanto interessante l’intera pretesa della parte, avrebbe dovuto essere formulata da quest’ultima o dal procuratore munito di apposita procura speciale, e dall’altro perchè la richiesta di declaratoria della cessazione della materia del contendere non poteva comunque essere ritenuta equivalente alla rinuncia, in difetto di un’esplicita dichiarazione di ambo le parti attestante la loro intenzione di soprassedere all’accertamento giudiziale del diritto controverso, ritenendolo superfluo.

Va infatti ribadito che la cessazione della materia del contendere costituisce il riflesso processuale del venire meno della ragion d’essere della lite, per la sopravvenienza di un fatto che priva le parti di ogni interesse a proseguire il giudizio, ma di per sè non dà luogo ad una autonoma formula terminativa del processo civile, il quale, pur quando ne siano cessate le ragioni, deve concludersi secondo le forme e gli istituti a tale scopo previsti dal codice di rito, e cioè per cancellazione della causa dal ruolo seguita da estinzione del processo, per estinzione conseguente a rinunzia o inattività delle parti, o con sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere; la pronunzia della quale ultima presuppone che le parti si diano atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conformi conclusioni in tal senso al giudice, restando escluso, che questi possa dichiarare cessata la materia del contendere al di fuori delle predette ipotesi senza dar luogo a decisione extrapetita.

Dall’accoglimento del secondo e terzo motivo deriva l’assorbimento della prima e della quarta censura.

La decisione impugnata va quindi cassata, in relazione alle censure accolte, e il giudizio va rinviato ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, anche per le spese del presente giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

la Corte accoglie secondo e terzo motivo e dichiara assorbiti i restanti. Cassa la decisione impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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