Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19842 del 26/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 19842 Anno 2018
Presidente: ORICCHIO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIANLUCA

ORDINANZA
sul ricorso 16342/2014 proposto da:
MANCINELLI ROBERTO, rappresentato e difeso in forza di
procura speciale rilasciata a margine del ricorso dagli avvocati
Francesco Scorsone e Caterina Zuardi Scorsone, elettivamente
domiciliato in Roma, Via Alberico II, n. 10, presso il loro studio;

– ricorrente contro
MANCINELLI LUCIANA, rappresentata e difesa dall’avvocato
Mario Pistoiese in forza di procura speciale rilasciata a margine
del controricorso, elettivamente domiciliata presso il suo studio
in Roma, Via Fabio Massimo n. 60;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2530/2013 della Corte d’appello di
Roma, depositata il 7 maggio 2013;

Dg■

Data pubblicazione: 26/07/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16 febbraio 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso;
viste le memorie difensive depositate da entrambe le parti ex
art. 380 bis 1 c.p.c.

avanti al Tribunale di Roma, il proprio padre, Alfredo Mancinelli,
chiedendo di accertarsi l’avvenuta cessione dell’azienda di
ristorazione di cui era titolare; emettersi sentenza ex art. 2932
c.c. a seguito dell’inadempimento del convenuto al contratto
preliminare di trasferimento della proprietà dell’immobile per
effetto di riscatto; in ogni caso accertarsi in capo all’attore la
detenzione qualificata dell’immobile in base a un contratto di
locazione; in caso d’accertamento di un’impresa familiare
condannarsi al risarcimento di tutti i danni, compresi quelli per
la perdita di avviamento o per i miglioramenti apportati
all’azienda, quantificati in C 500.000,00; in via d’ulteriore
subordine la condanna ai danni subiti per ingiustificato
arricchimento ex art. 2041 c.c.;
che si costituiva Alfredo Mancinelli opponendosi alla
domanda;
che, con sentenza n. 18433/2008, il Tribunale rigettava
tutte le domande con condanna dell’attore alle spese del
giudizio;
che contro tale decisione Roberto Mancinelli proponeva
appello, assumendo l’illegittimità della sentenza per
travisamento dei fatti, erronea e contraddittoria motivazione,
violazione della normativa in tema di prove;
che si costituiva Luciana Mancinelli, in qualità di erede del
padre, chiedendo il rigetto dell’appello, la condanna alle spese e
il risarcimento del danno per lite temeraria;

-2-

Ritenuto che Roberto Mancinelli conveniva in giudizio,

che la Corte d’appello, con sentenza depositata il 7 maggio
2013, rigettava il gravame e condannava l’appellante, ai sensi
dell’art. 96 c.p.c., al pagamento in favore dell’appellata della
somma di € 5.000,00, oltre alla rifusione delle spese di lite;
che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso

che Luciana Mancinelli ha resistito con controricorso.
Considerato

che con riferimento all’eccezione di

inammis’sibilità del ricorso, in ragione della riproduzione
integrale degli atti processuali e di altri documenti, l’espunzione
dei documenti integralmente riprodotti consente di comprendere
il significato delle doglianze (Cass. 18 settembre 2015, n.
18363);
che con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione
e falsa applicazione artt. 110, 112, 132 c.p.c. (art. 360, comma
1, n. 4 c.p.c.). Si evidenzia, al riguardo, che la Corte d’appello
ha totalmente omesso di considerare che anche Roberto
Mancinelli, a seguito del decesso del proprio padre, intervenuto
dopo la proposizione dell’appello, è divenuto suo erede,
unitamente alla sorella Luciana Mancinelli. Tale circostanza,
ampiamente dedotta e formalizzata con l’avvenuto deposito
della comparsa di costituzione in giudizio in tale sua qualità, con
la proposizione di precise richieste, è stata totalmente ignorata
dalla Corte;
che il motivo è infondato;
che in materia di impresa familiare, ove sia stato promosso
da parte di alcuni dei familiari un giudizio nei confronti del
titolare dell’impresa per il riconoscimento di pretese creditorie
derivanti dalla partecipazione all’attività, l’intervenuto decesso
del titolare medesimo e la successiva riassunzione del giudizio
ad opera di altro familiare, già estraneo alla precedente fase

Roberto Mancinelli, sulla base di due motivi;

giudiziale, per resistere, jure successionis, alle pretese degli
attori non integra un’ipotesi di litisconsorzio necessario e non
determina la necessità della nomina di un curatore speciale,
dovendosi escludere la sussistenza di un conflitto di interessi in
quanto la controversia riguarda sempre le originarie pretese

alle quali gli attori vantano un interesse iure proprio – e non le
domande di coeredi beneficiati nei confronti dell’eredità, a nulla
rilevando il miro fatto che, per l’eventuale successivo
soddisfacimento della pretesa, l’azione esecutiva possa essere
portata nei confronti della massa ereditaria, ivi comprese le
quote spettanti agli altri eredi (Cass. 15 luglio 2009, n. 16477);
che, analogamente, non si determina alcuna confusione con
la massa ereditaria per il diritto di credito nascente dalla
domanda ex art. 2932 c.c. e per la cessione dell’azienda, né per
la richiesta di risarcimento del danno, relativa comunque a una
pretesa creditoria;
che con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2556 e 2724 c.c. (art. 360, comma 1, n.
3 e 5 c.p.c.). Si denuncia, sul punto, l’erronea valutazione da
parte della Corte d’appello allorquando ha ritenuto che l’attore
non abbia provato, come era suo onere, né l’avvenuto accordo
in ordine alla cessione, né il pagamento del prezzo e che il
Tribunale abbia spiegato esaurientemente che, in assenza di
qualsiasi principio di prova scritta, la prova testimoniale non era
ammissibile. Posto che la mancanza del contratto scritto per
provare la cessione non determina l’inesistenza di tale
pattuizione, essendo richiesta

ad pro bationem,

la Corte

d’appello ha impedito la diversa prova offerta, ritenendo
inesistenti documenti atti a comprovare un principio di prova
scritta, così violando il disposto del n. 1 dell’art. 2724 c.c. e non

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creditorie per la partecipazione all’impresa familiare – rispetto

considerando la ricorrenza della previsione di cui al n. 2 dell’art.
2724 c.c., in ragione della qualità delle parti. Il ricorrente,
inoltre, si duole dell’affermazione relativa all’esistenza
dell’impresa familiare e al mancato assolvimento dell’onere di
dimostrare che detta impresa non aveva avuto concreta

domanda ex art. 2932 c.c. e di quella di risarcimento del danno,
nonché la condanna di responsabilità aggravata

ex art. 96

c.p.c.;
che il motivo è infondato;
che l’impossibilità morale di procurarsi la prova scritta che,
ai sensi dell’art. 2724, comma 1, n. 2, c.c., rende ammissibile il
ricorso alla prova testimoniale, non è configurabile a fronte della
mera astratta posizione di preminenza della persona dalla quale
la dichiarazione scritta doveva essere pretesa, o di un vincolo
affettivo con la persona stessa, ma non è comunque esigibile
l’allegazione di circostanze ostative assolute, sicché tale
situazione non può essere negata in presenza di circostanze,
anche di dettaglio, particolari o speciali, concorrenti a
specificare la situazione di oggettivo impedimento psicologico,
dovendosi volgere l’operato del giudice, con specifica sensibilità,
alla valutazione delle circostanze allegate, sia in relazione al tipo
di rapporto dedotto inter partes, sia alla possibile incidenza di
eventi o situazioni particolari (Cass. 7 luglio 2016, n. 13857);
che, nel caso di specie, le deduzioni sull’impossibilità
morale risultano del tutto generiche;
che inammissibile, per difetto di specificità, è il richiamo a
“tutti i documenti espressamente indicati nell’indice del fascicolo
di parte” al fine di dimostrare l’esistenza di un principio di prova
per iscritto, non potendosi chiedere alla Corte di legittimità di

attuazione. Si contesta, altresì, il mancato accoglimento della

effettuare una nuova e autonoma istruttoria rispetto a quanto
effettuato nei due gradi del giudizio di merito;
che non è stato adeguatamente illustrato il rilievo dei
documenti riprodotti in copia fotostatica nel corpo del ricorso, in
relazione alla prova testimoniale che non è stata ammessa e il

che la Corte d’appello ha escluso la mancanza di prova
dell’avvenuto accordo in ordine alla cessione e del pagamento
del prezzo, richiamando la motivazione del Tribunale che ha
esaurientemente spiegato l’impossibilità di ammettere la prova
per testi in mancanza di un principio di prova scritta;
che del tutto infondata è la deduzione concernente il
mancato assolvimento dell’onere della prova sull’inesistenza
dell’impresa familiare. Come correttamente evidenziato dai
giudici del gravame, a fronte della dimostrazione scritta fornita
dal padre della costituzione dell’impresa familiare, sarebbe stato
onere dell’appellante dimostrare che tale impresa non era mai
diventata operativa;
che riguardo al mancato riconoscimento della qualità di
conduttore in capo al figlio, la Corte d’appello ha valutato sia le
ricevute dei pagamenti dei canoni sia il telegramma del 27
novembre 2004, ritenendo che il contratto di locazione deve
essere provato per iscritto e che i versamenti possono essere
interpretati come corrispettivo per l’affitto dell’azienda;
che in ordine alla violazione dell’art. 2932 c.c. e sul danno
si richiede una inammissibile rivalutazione delle risultanze
istruttorie;
che altrettanto inammissibile è la richiesta di censura della
motivazione sotto il profilo del difetto di motivazione insufficienza e contraddittorietà – alla luce della nuova di
formulazione dell’articolo 360, comma 1, n. 5 c.p.c. che – oltre

cui contenuto non è stato riprodotto;

all’anomalia motivazionale che si esaurisce nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa e
obiettivamente incomparabile” (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014,

solo l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario,
la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, e che sia stato oggetto di discussione tra le parti, e
abbia carattere decisivo (Cass. 23 marzo 2017, n. 7472);
che del tutto generica risulta la contestazione della
condanna ex art. 96 c.p.c.;
che le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate
come da dispositivo;
che poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che
ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui
al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo
di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese di lite che liquida in C 5200,00, di cui
euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del

n. 8053), nella specie non configurabile – consente di sindacare

2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

Il Presidente
i,°Au/ìv

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

26 LUG. 2018

Seconda Sezione civile, il 16 febbraio 2018.

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