Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19842 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 22/09/2020), n.19842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16534-2014 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO

2, presso lo studio dell’avvocato EZIO BONANNI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati LUIGI

CALIULO, LIDIA CARCAVALLO, SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4621/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/07/2013 R.G.N. 9907/2007.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4621 del 2013, ha accolto l’appello proposto dall’Inps contro la decisione del Tribunale della stessa sede che aveva riconosciuto a B.G., A.L., V.P., P.R. e R.V. il diritto alla maggiorazione contributiva prevista dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, e successive modifiche, in conseguenza dell’esposizione all’amianto subita per un periodo ultradecennale di lavoro prestato alle dipendenze della ACRAF Angelini s.p.a., durante il quale avevano lavorato, ciascuno con le mansioni specificate, di tecnico di laboratorio o di ricercatore;

per l’effetto, ha rigettato la domanda dei lavoratori;

la Corte territoriale, dopo aver ricordato la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di accertamento dell’esposizione qualificata all’amianto ai fini del riconoscimento dei benefici richiesti, ha riportato le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel corso del giudizio d’appello ed ha escluso che nel periodo in questione i lavoratori fossero stati esposti all’amianto in misura superiore alla soglia fissata dal legislatore;

ciò in considerazione delle mansioni svolte e della presenza di amianto nell’ambiente di lavoro in misura limitata;

contro la sentenza, P.R. propone ricorso per cassazione fondato su plurimi motivi ed illustrato da memoria.

l’INPS resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorso è proposto per i seguenti motivi:

al) violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine alla eccezione di inammissibilità, improcedibilità e nullità dell’atto d’appello ed o difetto di interesse in ragione dell’avvenuto accredito in via amministrativa delle maggiorazioni contributive per esposizione ad amianto L. n. 257 del 1991, ex art. 13, comma 8, a seguito della sentenza di primo grado e della condotta processuale tenuta dall’Inps che aveva rinunciato a giudizi analoghi a quello relativo alla odierna ricorrente; a2) nullità della sentenza per difetto di pronuncia in ordine alle eccezioni preliminari e pregiudiziali formulate dalla difesa della P. nella comparsa di costituzione in grado d’appello depositate in cancelleria in data 9 maggio 2009; a3) omessa pronuncia in ordine alla eccezione di acquiescenza e o ex art. 329 c.p.c.; b) omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione e o falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost. in relazione all’accredito della contribuzione richiesta da parte dell’INPS che non era stato valutato come comportamento concludente e confessorio unitamente alle condotte già sopra descritte ed alla mancata valutazione della documentazione relativa ad altri colleghi, ivi comprese relazioni di c.t.u., ed attestante l’effettiva nocività dell’ambiente esposizione qualificata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e o 5; c) violazione e falsa applicazione degli artt. 434 c.p.c. e/o 437 c.p.c., in combinato disposto con la L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 e D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; d) violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 437 c.p.c. e con la L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ragione della condotta processuale dell’INPS già sopra descritta ed alla violazione del principio di non contestazione; e) violazione e o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 191 c.p.c. e ss. e art. 445 c.p.c. in combinato disposto con le norme di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31 e di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 che richiama integralmente quanto già scritto sub capo b) ed evidenzia come la c.t.u. espletata in appello non abbia spiegato come mai la contribuzione era stata comunque accreditata dall’Inps e la c.t.u. espletata in secondo grado non avesse considerato i dati della relazione Contarp, l’algoritmo tedesco in uso e le mansioni indicate; f) violazione e o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 191 c.p.c. e ss. e art. 445 c.p.c. e art. 421 c.p.c. e o artt. 416 e 437 c.p.c. in combinato disposto con il D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31 e della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, in ragione di quanto esposto sub capi da a) ad e) e della documentazione sopra indicata, in applicazione del principio della ricerca della verità materiale e della evidente erroneità delle conclusioni cui è giunta la c.t.u. espletata in appello;

i motivi, da esaminare congiuntamente, sono per certi versi inammissibili e per altri infondati;

sono infondati i motivi che censurano la sentenza in quanto avrebbe omesso di pronunciare sulle eccezioni di inammissibilità dell’appello, per difetto di interesse ad impugnare a seguito dell’avvenuto accredito della maggiorazione contributiva da parte dell’INPS;

questa Corte di cassazione (Cass. n. 16886 del 2015; Cass. n. 11813 del 2016) ha avuto modo di affermare che la cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongono al giudice conformi conclusioni in tal senso; ciò non è accaduto nel caso di specie;

è inammissibile il rilievo di mancato accoglimento della eccezione di acquiescenza, prevista dall’art. 329 c.p.c., che sarebbe stata determinata dall’accredito della contribuzione richiesta in giudizio da parte dell’INPS;

il motivo è del tutto generico e non specifica le concrete modalità con le quali sarebbe avvenuto tale accredito; peraltro, questa Corte di cassazione (vd. Cass. n. 3934 del 2016; n. 17480 del 2007) ha più volte espresso il principio secondo il quale l’acquiescenza tacita alla sentenza ex art. 329 c.p.c. può sussistere soltanto qualora l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, trattandosi di atti assolutamente incompatibili con la volontà di impugnare;

così questa Corte di legittimità ha ritenuto non integrati i presupposti di operatività dell’art. 329 c.p.c. nell’ipotesi in cui la parte aveva prestato acquiescenza ad una sentenza alla quale, sebbene priva di efficacia immediatamente esecutiva, aveva dato spontanea attuazione;

in relazione ai profili di censura attinenti alla invocata valutazione di consulenze tecniche compiute in altri giudizi, si rileva che la succinta esposizione anche per stralci del loro contenuto non consente comunque di poterne evincere la decisività, dovendosi, inoltre, richiamare sul punto il principio enunciato da Cass. n. 3960 del 19/02/2018, in forza del quale “Le prove raccolte in un diverso giudizio danno luogo ad elementi meramente indiziari. Ne consegue che la mancata valutazione di tali prove non è idonea ad integrare il vizio di motivazione, in quanto il difetto riscontrato non può costituire punto decisivo, implicando non un giudizio di certezza ma di mera probabilità rispetto all’astratta possibilità di una diversa soluzione”;

in ordine alle censure rivolte alla sentenza per aver recepito gli esiti della c.t.u., in mancanza di considerazione delle critiche del consulente di parte, si rileva che, a fronte del richiamo contenuto in sentenza ai criteri adoperati dal consulente, la censura avrebbe richiesto una maggiore specificazione, anche in termini di allegazioni documentali (mediante opportuna riproduzione delle parti della relazione di consulenza oggetto di contestazione e degli atti di parte di riferimento), risultando, al contrario, generica (cfr. Cass. n. 11482 del 03/06/2016: “In tema di ricorso per cassazione, per infirmare,sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità”);

per quanto attiene ai motivi relativi ai mezzi istruttori non ammessi o che si sarebbero dovuti disporre d’ufficio, va richiamato il principio in forza del quale la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione (censura non utilmente esposta secondo i canoni di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) e non della violazione di legge (Cass. 21603 del 20/9/2013 e, analogamente, con riferimento all’esercizio dei poteri istruttori officiosi, Cass. n. 12717 del 25/05/2010), senza tralasciare che è posto un onere di allegazione circa l’avvenuta sollecitazione dei predetti poteri, nella specie non assolto (“nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori” Cass. Sez. L. 23 ottobre 2014, n. 22534);

con riguardo alle censure attinenti all’omesso rinnovo della c.t.u. si richiama il seguente arresto giurisprudenziale, al quale questa Corte intende dare continuità: “In tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova ctu, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto” (Cass. n. 22799 del 29/09/2017);

con riferimento alle censure attinenti alla presunta violazione, sotto molteplici profili, dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e ai prospettati vizi motivazionali si richiama il principio secondo il quale “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia” (Cass. n. 23940 del 12/10/2017), mentre tutte le altre censure finiscono con il proporre una nuova valutazione del merito non consentita in sede di legittimità (Cass. n. 8758 del 04/04/2017: “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito; in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con esclusione di statuizioni sulle spese a carico della ricorrente, stante la dichiarazione sostitutiva ex art. 152 disp. att. c.p.c..

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

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