Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19841 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. II, 23/07/2019, (ud. 20/02/2019, dep. 23/07/2019), n.19841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12782/2015 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOLA

RICCIOTTI 9, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO COLACINO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ AGRARIA DI ALLUMIERE, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DORA, 1, presso lo studio dell’avvocato MARIA ATHENA LORIZIO,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/02/2019 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato COLACINO Vincenzo, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato LORIZIO Maria Athena, difensore del resistente che

ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.G. ebbe a proporre domanda al Commissario per la Liquidazione degli Usi Civici nel 1990 per il riconoscimento della natura allodiale di suo terreno sito in località (OMISSIS), stante le pretese avanzate su detto predio dall’Università Agraria di Allumiere, che lo riteneva bene soggetto ad uso civico.

Resistette l’Università Agraria di Allumiere contestando la pretesa del M. e rivendicando al demanio civico il terreno de quo.

Ad esito della procedura il Commissario per la Liquidazione degli Usi Civici per il Lazio con la sentenza impugnata riconobbe l’esistenza del peso sull’immobile del M..

Questi propose gravame avanti la Corte romana che, sempre opponendosi l’Università Agraria di Allumiere, rigettò il reclamo e condannò il M. alla rifusione delle spese di lite.

Il M. ha proposto ricorso per cassazione articolando unico motivo, confortato anche da nota difensiva.

L’università Agraria di Allumiere ha resistito con controricorso.

La questione è stata,dapprima, trattata in camera di consiglio ed è stata rimessa alla Pubblica Udienza.

All’odierna udienza pubblica, sentite le conclusioni del P.G. – rigetto ricorso – e dei difensori delle parti,questa Corte ha risolto la lite siccome illustrato in presente sentenza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dal M. s’appalesa siccome infondato.

Con l’unico mezzo d’impugnazione sviluppato, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione delle norme L. n. 510 del 1891, ex artt. 3 e 9 – liquidazione usi civici nelle Provincie pontificie – ed art. 2909 c.c., in relazione alla transazione del 1904 e successiva sentenza arbitrale resa il 14.3.1908 tra la Società generale Allume Romano ed il Comune di Allumiere, in quanto il Collegio romano ha ritenuto ancor oggi sussistenti usi civici – non meglio identificati – a peso del suo terreno nonostante l’affrancazione stabilita con la richiamata sentenza della Giunta degli Arbitri,disposta secondo la procedura stabilita dall’invocata normativa speciale del 1891.

In particolare il M. osservava come la procedura completata tra il 1904 ed il 1908 non era finalizzata a dar attuazione all’affrancazione invertita, prevista dal R.D. n. 510 del 1891, art. 9 citato, poichè il bene non già venne assegnato in dominio al Comune bensì in enfiteusi – poi rinunciata nel 1950 -, senza l’enunciazione della concorrenza delle particolari ragioni di utilità collettiva prescritte per operare mediante la “affrancazione invertita “, modalità di carattere residuale prevista dalla legge del 1891 per il mantenimento dell’uso civico in un ambito di dichiarato – art. 1 cit. R.D. – scopo teso alla liquidazione degli stessi – così Cass. sez. 2 n. 5891/07 -.

L’argomentazione difensiva elaborata da parte ricorrente s’appalesa siccome priva di fondamento.

A ragione la Collegio romano non ha individuato l’intervenuta affrancazione del fondo,pacificamente soggetto a servitù di uso civico di pascolo,in forza degli atti di transazione e sentenza di omologa del 1904 – 1908.

Come già rilevato da questa Corte – Cass. sez. 2 n. 2704/19 -, l’istituto dell’affrancazione invertita, R.D. n. 510 del 1891, ex art. 9, conservato in vigore dalla L. n. 1766 del 1927, art. 7, trovava applicazione nell’ipotesi che il procedimento ordinario di affrancazione – divisione del fondo gravato da uso civico con porzione che rimaneva in signoria al proprietario e così diveniva di natura allodiale, e con cessione di porzione in proprietà all’Ente esponenziale della collettività di fruitori – non fosse sufficiente – a giudizio della Giunta d’Arbitri – a garantire alla collettività degli utenti l’esercizio della pregressa servitù civica quando ritenuto ancora indispensabile per le necessità di vita dei consociati.

Istituto, appunto regolato dal R.D. n. 510 del 1891, art. 9, punto 3, che così testualmente suona:

“Quando la Giunta di arbitri riconoscerà indispensabile per la popolazione di un Comune o parte di esso o per una università od associazione di cittadini che si continui nell’esercizio dell’uso e l’estensione del terreno da cedersi in corrispettivo dell’affrancazione sia giudicata dalla Giunta stessa insufficiente alla popolazione o parte di essa od all’Università od associazione per proseguire come per il passato nell’esercizio della pastorizia o delle altre attività,avuto riguardo alla condizione speciale dei luoghi, la Giunta di arbitri ammetterà gli utenti all’affrancazione di tutti o parte del fondo gravato, mediante pagamento di un annuo canone al proprietario”.

Dunque,l’intero fondo o parte maggiore d’esso era da assegnare in proprietà all’Ente esponenziale della collettività interessata dietro versamento di canone annuo all’ex proprietario per così proseguire nel pregresso godimento dei terreni ritenuto indispensabile ai bisogni della collettività.

In tal modo l’uso civico risulterà liquidato, non già, con l’assegnazione, siccome bene allodiale, al proprietario di porzione dell’originario bene gravato, bensì mediante l’assegnazione del bene in signoria all’Ente collettivo dei fruitori dietro corresponsione di censo all’ex proprietario.

Nella specie è dato pacifico che l’atto di transazione del 1904, non già, prevedeva la cessione di parte del latifondo, interessato dall’uso civico, all’Ente esponenziale della collettività interessata – all’epoca il Comune di Allumiere -, bensì la costituzione di un diritto reale di enfiteusi sul latifondo – rimasto in signoria del proprietario – a favore di detto Comune dietro pagamento di censo.

Evidente – sulla scorta delle stesse asserzioni della parte ricorrente – appare, dunque, come non risulti rispettato lo schema previsto dalla norma evocata, con la conseguenza che nemmeno s’è verificata l’affrancazione,con trasformazione in bene allodiale, del terreno oggetto di causa,rimasto sempre gravato dalla servitù d’uso civico mai liquidata.

Non assume rilievo dirimente l’arresto di questa Corte – Cass. sez. 2 n. 5891/07 – evocato dal M. a sostegno della sua censura, poichè, come rettamente rilevato dalla Corte capitolina, il solo riferimento al termine “affrancazione” presente negli atti del primo novecento – per altro non ritrascritti in ricorso – non appare dato sufficiente a ritenere siccome operata la liberazione del fondo dal peso, senza che,anche, sia stato rispettato il procedimento di affrancazione prescritto dalla legge del 1891, come nella specie non appare avvenuto.

Quindi se anche lo scopo preminente perseguito dalla disciplina legislativa de qua come inequivocabilmente desumibile dalla norma ex art. 1 cit. R.D. – che disponeva l’abolizione delle servitù civiche nei territori ex pontifici – era quello ritenuto dal citato arresto,tuttavia un tanto doveva avvenire secondo la procedura nella stessa prescritta in presenza di situazioni particolari rimesse all’apprezzamento prudente della Giunta di arbitri, R.D. n. 510 del 1891, ex art. 9, punto 3. Va comunque evidenziato – come rettamente ricordato nella citata sentenza n. 2704/19 – che il diritto reale riconosciuto in capo al Comune per soddisfare le ricordate esigenze della collettività di utenti la pregresso servitù d’uso civico non già consentiva di annoverare i beni interessati al patrimonio disponibile dell’Ente pubblico, bensì palesava la sua natura demaniale poichè destinato a consentire di esercitare il pregresso godimento fondato sulla servitù civica.

Dunque l’affrancazione invertita non portava alla liquidazione dell’uso civico, bensì lo concentrava sul bene ceduto in proprietà all’Ente esponenziale della collettività dei fruitori proprio per consentire loro di goderne come in passato, che dunque non ne poteva disporre se non ai fini dell’esercizio dell’uso civico.

In questa prospettiva, comunque, la rinuncia all’enfiteusi, operata dal Comune nel 1950, non avrebbe avuto alcun effetto di liberazione anche dalla servitù civica d’uso gravante sul bene oggetto del diritto reale parziario in capo all’Ente pubblico, poichè come visto detto peso permaneva a gravare il bene passato in signoria dell’Ente esponenziale dei fruitori secondo la disciplina ex R.D. n. 510 del 1891.

Stante la complessità della questione e la presenza del precedente di questa Corte,reputa il Collegio concorrano giuste ragioni per compensare tra le parti le spese di lite di questo giudizio di legittimità.

Poichè le liti in tema di uso civico non sono soggette al pagamento del contributo unificato,non concorrono le condizioni per il raddoppio di detto contributo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di lite di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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