Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19840 del 26/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 19840 Anno 2018
Presidente: ORICCHIO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIANLUCA

ORDINANZA

sul ricorso 3093/2014 proposto da:
CASAGRANDE GIUSEPPE e CASAGRANDE MARIUCCIA,
rappresentati e difesi in forza di procura speciale rilasciata a
margine del ricorso dagli avvocati Daniele Granara e Gabriele
Pafundi, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo
in Roma, viale Giulio Cesare 14 A-4;
– ricorrenti contro
TRAVERSARO LIVIA, rappresentata e difesa in forza di procura
speciale rilasciata a margine del controricorso dagli avvocati
Gianmarco Bo e Alessio Petretti, elettivamente domiciliata presso
lo studio di quest’ultimo in Roma, via Degli Scipioni 268-A;
– con troricorrente avverso la sentenza n. 779/2013 della Corte d’appello di Genova,
depositata il 14 giugno 2013;

eL

Data pubblicazione: 26/07/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
5 febbraio 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso;
vista la memoria depositata dalla difesa dei ricorrenti ai sensi
dell’articolo 380 Bis 1 c.p.c.

Giuseppe e Mariuccia Casagrande convenivano in giudizio,
dinanzi alla Pretura Circondariale di Chiavari, sezione distaccata
di Sestri LeVante, Livia Traversaro affinché fosse accertato, ai
sensi dell’art. 950 c.c., il confine tra i fondi di loro proprietà, siti
in Comune di Sestri Levante, e quelli della convenuta e che fosse
ordinato di apporre i termini di confine, con condanna della
convenuta alla restituzione di una porzione di terreno, dalla
stessa occupata, con la costruzione del muro di confine;
che la convenuta si costituiva assumendo che il muro di
confine – che sorreggeva una terrazza e relative scale – esisteva
fin dalla data di costruzione della sua casa e che medio tempore
non era intervenuta alcuna modificazione dello stato dei luoghi,
fatta salva la posa di alcuni rivestimenti e addizioni ornamentali.
Eccepiva, inoltre, l’intervenuta usucapione della proprietà di
qualsiasi area sottostante alla terrazza, di cui chiedeva in via
riconvenzionale subordinata l’accertamento, con apposizione di
termini su cui allineare il confine;
che, all’esito dell’istruttoria, il giudice adito, con sentenza del
30 gennaio 2003 rigettava la domanda e condannava gli attori
alla rifusione delle spese di causa;
che avverso tale pronuncia proponevano appello Giuseppe e
Mariuccia Casagrande;
che Livia Traversaro si costituiva chiedendo il rigetto del
gravame e, in via subordinata, la declaratoria dell’intervenuto

Ritenuto che con atto di citazione notificato il 9 aprile 1997

acquisto per usucapione della proprietà di ogni area sottostante
alla terrazza;
che, con sentenza depositata il 14 giugno 2013, la Corte
d’appello di Genova ha rigettato l’appello;
che per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso

che Livia Traversaro si è costituita con controricorso.
Considerato che con il primo motivo i ricorrenti denunciano
la violazione o -falsa applicazione dell’art. 950 c.c., in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Secondo quanto evidenziato,
l’azione di regolamento dei confini ha ad oggetto l’accertamento
dell’effettiva estensione dei fondi limitrofi, non essendo in
contestazione i rispettivi titoli di acquisto o il diritto di proprietà.
La Corte d’appello, al contrario, avrebbe risolto la situazione di
incertezza oggettiva adottando criteri soggettivi, quali le
deposizioni testimoniali di parte convenuta, così violando l’art.
950 c.c.;
che con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Secondo i
ricorrenti, in particolare, la decisione sarebbe contraddittoria con
riferimento alla raggiunta prova dell’epoca di costruzione del
muro. Sul punto, la Corte d’appello, senza disporre indagine
tecnica alcuna, ha affermato che il muro era stato realizzato nel
1958, ponendo a suo fondamento le incerte deposizioni dei
testimoni introdotti dalla parte convenuta;
che i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati;
che in tema di azione di regobamento di confini, diretta a
determinare l’estensione e la configurazione dei fondi contigui,
rese confuse dall’incertezza del confine, la prova della suddetta
estensione e configurazione può essere data con ogni mezzo, e il

-3-

Giuseppe e Mariuccia Casagrande sulla base di cinque motivi;

giudice, dato il carattere di

vindicatio duplex incertae partis

dell’azione medesima, è del tutto svincolato dal principio actore
non probante reus absolvitur, dovendo, invece, determinare il
confine in relazione a quegli elementi che gli sembrano attendibili
(Cass. 7 settembre 2012, n. 14993; Cass. 3 maggio 2001, n.

che, nel caso di specie, la Corte d’appello ha confermato la
pronuncia del Tribunale sulla base delle risultanze istruttorie (non
solo le prove testirrioniali ma anche la documentazione allegata,
tra cui la copia del progetto e le fotografie richiamate in
sentenza), per cui risulta inammissibile la richiesta di una loro
diversa valutazione;
che il secondo motivo di censura, così come formulato, non
può essere ricondotto alla nuova formulazione dell’art. 360,
comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012
conv. con la legge n. 134 del 2012, con cui è denunciabile in
cassazione solo l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti, non evidenziandosi
un fatto che sarebbe stato omesso;
che, nel caso di specie, i ricorrenti si sono limitati a
richiamare, in maniera frammentaria, estratti dalle dichiarazioni
verbalizzate di alcuni dei testi escussi, lì dove l’apprezzamento
compiuto dal giudice del merito si è fondato non solo sulle
deposizioni dei testi indicati in parte motiva – che i ricorrenti
vorrebbero contrastare – ma anche sulla documentazione
richiamata in sentenza;
che l’ammissione della consulenza tecnica rientra nei poteri
discrezionali del giudice, e il diniego della relativa richiesta può
essere censurato nel giudizio di legittimità solo se non sia stato
motivato (Cass. 15 luglio 2008, n. 19458; Cass. 28 febbraio
2006, n. 4407);

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6189);

che la Corte d’appello ha escluso l’utilità dell’espletamento di
una consulenza tecnica d’ufficio sulla base del quadro probatorio
evidenziato nella motivazione;
che con il terzo motivo si prospetta la violazione dell’art.
345, comma 3, c.p.c. per avere la corte d’appello ritenuto

essendo indispensabili ai fini della decisione (art. 360, comma 1,
n. 3 c.p.c.). I ricorrenti deducono che la documentazione
fotografica prodotta nel secondo grado di giudizio è stata
acquisita solo in tale fase perché in precedenza non era in loro
disponibilità. Tale documentazione sarebbe indispensabile al fine
della decisione perché smentisce in modo certo e inequivocabile
la difesa avversaria, evidenziando che nell’agosto del 1973 non
esisteva alcun muro di confine. In particolare, la fotografia
certificata dall’ufficio competente della Regione Liguria
riguarderebbe un punto decisivo della controversa, ovverosia
l’esistenza del muro;
che con il quarto motivo, parte ricorrente prospetta la
violazione dell’art. 950, comma 3, c.c. per avere la Corte
d’appello deciso il confine tra i fondi in contestazione senza aver
disposto una CTU, volta all’esatta individuazione dei confini
delineati sulle mappe catastali, in relazione all’art. 360, comma
1, n. 5 c.p.c., evidenziando l’omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti;
che con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 345,
comma 3, c.p.c. per avere la corte territoriale omesso di ritenere
indispensabili ai fini della decisione i documenti prodotti nel
secondo grado di giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5
c.p.c.;

inammissibili i documenti prodotti in sede di gravame, pur

che i motivi, stante la loro stretta connessione, devono
essere esaminati congiuntamente;
che nel giudizio di appello, costituisce prova nuova
indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo
previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012,

in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata
pubblicata dopo 1’11 settembre 2012), quella di per sé idonea a
eliminare ogni possibile incértezza circa la ricostruzione fattuale
accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola
senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era
rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a
prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per
propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie
del primo grado (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24164; Cass., Sez.
Un., 4 maggio 2017, n. 10790);
che, nel caso di specie, la Corte d’appello ha compiuto una
specifica valutazione negativa della rilevanza dei documenti
offerti in produzione, ritenendo, con motivazione adeguata, che
quelli indicati dagli appellanti non possedessero il carattere della
decisività, stante il quadro probatorio in precedenza delineato e
la non apprezzabilità, ictu ocuii, dai rilievi dell’esistenza del muro
di confine, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa degli
attuali ricorrenti;
che non sussiste, pertanto, alcun fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli
atti processuali, e che sia stato oggetto di discussione tra le parti,
e abbia carattere decisivo (Cass. 23 marzo 2017, n. 7472);
che il principio secondo cui il provvedimento che dispone la
consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del
merito, incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con

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conv., con modif., con la I. n. 134 del 2012 (applicabile nel caso

l’altro principio secondo cui il giudice deve sempre motivare
adeguatamente la decisione adottata su una questione tecnica
rilevante per la definizione della causa (Cass. 1 marzo 2007, n.
4853);
che, quando il giudice disponga di elementi istruttori e di

comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione
adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel
potere, mentre se la soluzione sèelta non risulti adeguatamente
motivata, è sindacabile in sede di legittimità sotto l’anzidetto
profilo (Cass. 3 gennaio 2011, n. 72);
che, nel caso di specie, la Corte d’appello ha congruamente
motivato la mancanza di utilità dell’espletamento di una
consulenza tecnica d’ufficio, all’esito del quadro probatorio
delineato in parte motiva;
che le spese seguono soccombenza e si liquidano come da
dispositivo;
che poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha
aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al
d.P.R. 30 Maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso
delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che si

cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di

liquidano in euro 2900,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a
spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012,
dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da

unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camerà di consiglio della Seconda
Sezione civile, il 5 febbraio 2018.
Il Presidente

90n Ah. i i o Giudiziario
nti4 , a NERI

DEPOSITATO IN

CANCELLERIA

Roma, 26 LUG, 2018

parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo

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