Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1984 del 29/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/01/2020, (ud. 27/09/2019, dep. 29/01/2020), n.1984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 704-2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato RAGNOLI GIUSEPPE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 3124/2018 della CORTE D’APPELLO di VEN EZI A,

depositata il 16/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. il Tribunale di Venezia, con ordinanza in data 15 maggio 2017, dichiarava inammissibile, per tardività, il ricorso proposto da S.M. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla competente Commissione territoriale e finalizzato a domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

2. a seguito dell’impugnazione presentata dal migrante la Corte d’appello di Venezia, pur riconoscendo la tempestività dell’originario ricorso, riteneva che lo stesso fosse infondato nel merito;

in particolare la corte distrettuale, con sentenza depositata in data 16 novembre 2018: i) rilevava che nessuna discriminazione per motivi religiosi poteva essere ipotizzata rispetto al richiedente asilo (il quale aveva raccontato di aver lasciato il suo paese perchè non si sentiva più libero di praticare la propria religione), dato che questi apparteneva al gruppo quasi totalmente maggioritario all’interno del Pakistan; ii) reputava, sulla base delle fonti internazionali disponibili e ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), che nel Pakistan non vi fossero condizioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente o una situazione di violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato; iii) constatava come il richiedente non avesse sviluppato alcuna specifica argomentazione a suffragio della propria domanda di riconoscimento della protezione umanitaria;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S.M. prospettando un unico motivo di doglianza;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Considerato

Che:

4. il motivo di ricorso presentato deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): il provvedimento impugnato avrebbe compiuto un’erronea valutazione della realtà sociopolitica del Pakistan e della regione del Punjab ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, omettendo di apprezzare in una maniera specifica la situazione sociale e politica ivi esistente, e sarebbe così giunto a una valutazione che contrastava con il consolidato orientamento della giurisprudenza di merito;

5. il motivo è inammissibile;

ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

la corte territoriale si è ispirata a simili criteri, prendendo in esame plurime informazioni (offerte da Human Rights Watch ed E.A.S.O.) aggiornate sulla situazione esistente in Pakistan;

la critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal collegio d’appello facendo leva su decisioni di merito non recenti di segno contrario, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

6. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si cl’t atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2020

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