Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1984 del 26/01/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 1984 Anno 2018
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso 19214-2014 proposto da:
AUTOTREND SRL, elettivamente domiciliato in ROMA CORSO
VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo STUDIO GREZ E
ASSOCIATI SRL, rappresentato e difeso dagli avvocati
GIACOMO SGOBBA, FEDERICO MASSA;
– ricorrente contro

COMUNE DI BARI, elettivamente domiciliato in ROMA
2017
3129

VIALE DELLE MILIZIE 2, presso lo studio dell’avvocato
ROBERTO CIOCIOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato
ALESSANDRA BALDI;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 126/2014 della COMM.TRIB.REG.
di BARI, depositata il 21/01/2014;

Data pubblicazione: 26/01/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO

MARIA STALLA.

Rilevato che:
§ 1. Autotrend srl propone cinque motivi di ricorso per la cassazione della
sentenza n. 126/6/14 del 21 gennaio 2014 cori la quale la commissione
tributaria regionale della Puglia, in riforma della prima decisione, ha
ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento notificatile dal Comune di Bari

detenuto, e destinato ad attività di vendita di autoveicoli con centro di
assistenza.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – il
presupposto dell’imposizione doveva individuarsi, ex art.62 d.lgs. 507/93,
nell’occupazione o detenzione di locali produttivi di rifiuti, a qualsiasi uso
adibiti; – le cause di esenzione o riduzione dell’imposta dovevano essere
denunciate e comprovate dalla società contribuente; nella specie, gli
avvisi di accertamento escludevano correttamente daka tassazione una
superficie (di 664,60 mq.) produttiva di rifiuti speciali, in quanto destinata

ad officina ed impianti, senza che la società avesse denunciato e
dimostrato l’esistenza di una maggiore superficie esente; – attesa
l’avvenuta emanazione, da parte del consiglio comunale di Bari, della
delibera n. 143/98 di assimilazione quantitativa e qualitativa dei rifiuti
speciali non pericolosi a quelli urbani, non rilevava, ad escludere la
tassazione, la circostanza che la società avesse provveduto, negli anni di
riferimento, allo smaltimento dei rifiuti speciali assimilati tramite ditte terze
autorizzate.
Resiste con controricorso il Comune di Bari.
Le parti hanno depositato memoria.
§ 2.1 Con il primo motivo di ricorso Autotrend srl lamenta difetto di
motivazione nonché violazione e falsa applicazione – ex art.360, 1^ co. n.
3 cod.proc.civ. – della normativa Tarsu di riferimento (artt.60 e 62 d.lgs.
507/93; 1.296/06; artt.7 e 21 d.lgs. 22/97; art.195, 2″ co., lett.e) e 198,
2^ co., lett.g) d.lgs. 152/06). Per avere la commissione tributaria regionale
ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento in oggetto, nonostante che: – la
delibera consiliare n. 143/98, meramente riproduttiva della definizione
legale di rifiuti assimilati di cui all’abrogato art 17, terzo comma, legge
128/98, non avesse valenza di regolamento sulla assimilazione dei rifiuti

Ric.n.19214/14 rg. – Adunanza in cam.cons. del 19 dicembre 2017

per Tarsu dal 2006 al 2010; ciò con riguardo ad un immobile da essa

speciali a quelli urbani, omettendo di individuare le caratteristiche, non solo
qualitative, ma anche quantitative, dei rifiuti speciali assimilati; – in ogni
caso, essa non potesse derogare al divieto di assimilazione per le superfici
superiori (come nella specie) a mq. 750, di cui all’articolo 4, primo comma,
lettera d) d.lgs. 114/98 (Riforma della disciplin relativa al settore del

conseguente necessaria esclusione dal computo delle superfici destinate
alla vendita dei veicoli.
§ 2.2 II motivo è infondato.
Come rilevato dalla commissione tributaria regionale, la delibera
consiliare n. 143/98 – riportata, nel suo contenuto essenziale, nel ricorso e
controricorso – individuava i rifiuti speciali non pericolosi assimilati ai rifiuti
urbani con sufficiente determinatezza e specificità sia qualitativa, sia
quantitativa.
Sotto il primo profilo (qualitativo), rileva il rinvio all’elencazione dei rifiuti
speciali non pericolosi assimilabili a quelli urbani di cui al n. 1, punto 1.1.1
lett.a) della delibera CIPE del 27 luglio 1984, adottata ai sensi del d.P.R. 10
settembre 1982, n. 915. La delibera comunale in esame, in particolare,
impegnava l’amministrazione a smaltire altresì le sostanze assimilate
elencate in quest’ultima previsione, ad esclusione dei rifiuti da imballaggi
secondari e terziari.
Sotto il secondo profilo (quantitativo) la delibera comunale medesima
riferiva tale impegno “nel limite quantitativo di 10 kg/mq. ovvero 0,1
mc/mq. di produzione annua riferiti alla superficie destinata all’attività”.
Ora, il motivo di ricorso in esame non muove alcuna specifica censura al
ragionamento così adottato dalla commissione tributaria regionale,
risolvendosi piuttosto nella mera riedizione della tesi difensiva già svolta
nei gradi di merito.
Tale ratio decidendi deve comunque ritenersi in linea con quanto più
volte affermato da questa corte di legittimità, seconda cui: “in tema di
tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, per effetto dell’art. 17,
comma 3, della I. n. 128 del 1998, abrogativo dell’art. 39 della I. n. 146 del
1994, venendo meno l’assimilazione “ope legis” ai rifiuti urbani di quelli
provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purché aventi

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commercio) e 195, secondo comma, lettera e) d.lgs 152/06, con

una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli
tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, risulta
pienamegte operativdTart. 21, comm72, leTh

1997,
J deTd.-Tgs. n. 22 di T1997,

attributivo ai Comuni della facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani
quelli derivanti dalle attività economiche, sicché, a partire dall’annualità

regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle
attività economiche ai rifiuti urbani ordinari” (da ultimo, Cass. 22223/16).
Nel caso di specie, la disciplina comunale di assimilazione è stata adottata
proprio con la delibera 143/98 in esame (recepita dai regolamenti Tarsu
successivamente adottati), alla quale non era precluso – a seguito del venir
meno del criterio legale di assimilazione automatica – di richiamare e fare
propria l’elencazione dei rifiuti speciali non pericolosi di cui alla menzionata
deliberazione interministeriale.
La decisione della commissione tributaria regionale risulta inoltre
conforme anche a quanto ulteriormente stabilito da questa corte di
legittimità, secondo cui: “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti
solidi urbani (TARSU), la facoltà, riconosciuta ai comuni dall’art. 62, comma
3, del d.lgs. n. 507 del 1993, di individuare, ai fini della determinazione
della superficie non tassabile, categorie di attività produttive di rifiuti
speciali, tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione
rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta, non è
correttamente esercitata ove il regolamento comunale si limiti a prevedere
un limite quantitativo di riduzione applicabile indistintamente a tutte le
attività produttive, occorrendo, invece, la specificazione delle categorie di
attività produttive dei predetti rifiuti (le cui superfici sono altrimenti esenti
da tassazione) assimilabili a quelle produttive di rifiuti ordinari” (da ultimo,
Cass. 10548/17, a conferma di quanto già stabilito da SSUU 7581/09). Ciò
in quanto, come evidenziato, la delibera in oggetto conteneva la richiesta
specificazione quali-quantitativa delle categorie dei rifiuti assimilati, così da
idoneamente produrre tutta la sua efficacia regolamentare derivata
dall’articolo 62, terzo comma, d.lgs. 507/93.
Va inoltre considerato che la commissione tributaria regionale, come
meglio si vedrà, ha preso partitamente in esame anche il problema della

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d’imposta 1997, assumono decisivo rilievo le indicazioni proprie dei

estensione tassabile nella concretezza della fattispecie, verificando la
corretta esclusione – da parte dell’amministrazione comunale – di
determinate superfici; senza con ciò ravvisare alcun limite massimo ed
i nvalicabile di superficie imponibile.

Il che va detto anche per la superficie dell’area di vendita, costituente

sopravvenuto regime di cui al digs.152/06 (art.1, co.184, 1.296/06).
§ 3.1 Dalla ricostruzione del secondo motivo cli ricorso pare evincersi che

la società deduca violazione di legge e carenza di motivazione nella parte
i n cui la commissione tributaria regionale avrebbe considerato tassabili (per

un totale di metri quadrati 2476, invece che di 1876) anche superfici
(officina ed impianti, area magazzino produttiva di imballaggi, area
scoperta pertinenziale) che tali non erano, in quanto produttive di rifiuti
speciali (come da relazione tecnica prodotta in giudizio) smaltiti in proprio.
§ 3.2 Si tratta di doglianza inammissibile.

Essa si intitola discorsivamente: “sulla corretta delimitazione delle aree
sottoposte a tassazione”, ma omette poi di specificare (anzi, anche soltanto
di indicare) quali vizi, tra quelli tassativamente contemplati nell’articolo 360
cod.proc.civ., verrebbero asseritamente qui in considerazione; così come di
enucleare in maniera puntuale e circostanziata tanto le norme che si
sarebbero violate, quanto gli specifici passaggi motivazionali asseritamente
attestanti la ‘non corretta’ delimitazione delle aree tassabili ad opera del
giudice di merito. In maniera tale, appunto, da indurre la corte di
legittimità – adita con una tipica impugnazione a critica vincolata – ad una,
di per sé inammissibile, attività di ricostruzione-interpretazione della
volontà impugnatoria della ricorrente, non meglio esplicitata.
Vale comunque osservare come il motivo in esame, quand’anche in
ipotesi rapportato alla doglianza di cui al n.5 dell’art.360, 1^ co.
cod.proc.civ., sarebbe inammissibile anche per un’ulteriore ragione; insita
nella indebita sottoposizione al vaglio di legittimità di una questione di fatto
concernente l’individuazione dell’area concretamente tassabile nonché,
ancor più in radice, nell’assenza di qualsivoglia ‘omesso esame’ su fatto
decisivo, secondo quanto prescritto dalla nuova formulazione del n.5)
art.360 cit., qui applicabile ratione temporis.

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limite di assimilazione solo all’esito della completa attuazione normativa del

Innanzitutto, corretta deve ritenersi la decisione della commissione
tributaria regionale di inquadrare il problema nell’ambito del principio di
generale debenza del tributo per effetto

della

detenzione ovvero

occupazione dei locali, salva l’emersione – ad onere dichiarativo e
dimostrativo del contribuente – di presupposti di esenzione ovvero

(TARSU), l’art. 62, comma 1, del d.lqs. 15 novembre 1993, n. 507, pone a
carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di
produzione di rifiuti, sicché, ai fini dell’esenzione dalla tassazione prevista
dal comma 2 del citato art. 62 per le aree inidonee alla produzione di rifiuti
per loro natura o per il particolare uso, è onere del contribuente indicare
nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di
inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi
direttamente rilevabili o ad idonea documentazione” (Cass.ord.19469/14,
così Cass. 3772/13 ed altre).
Posta tale premessa, la commissione tributaria regionale – lungi
dall’incorrere in ‘omesso esame’ sul fatto decisivo costituito dalla superficie
tassabile – ha poi compiutamente vagliato (sent. pag.7) questo aspetto;
così come risultante dall’operato raffronto delle superfici indicate nell’atto di
accertamento con quelle risultanti dalla verifica operata in loco dalla polizia
municipale. Il che ha indotto la commissione tributaria regionale a rilevare
come la superficie totale accertata di metri quadrati 3891,83 fosse stata
tassata per la minor parte di metri quadrati 3227,23, posto che “la restante
superficie di metri quadrati 664,60 attiene all’officina ed alle zone occupate
dagli impianti, ovvero da aree nelle quali si formano, per l’appunto, rifiuti
speciali”. Il giudice di merito dà altresì conto delle ragioni (mancata
dichiarazione di alcune superfici da parte della contribuente, nonché
mancata confrontabilità tra superfici accertate peritalmente e superfici
indicate dalla società nella denuncia originaria, non prodotta in giudizio) di
ritenuta inattendibilità della relazione tecnica prodotta dalla società
contribuente.
§ 4.1 Con il terzo e quarto motivo di ricorso la società lamenta violazione
di legge nonché – ex art.360, 1^ co. n. 5 cocl.procciv. – omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti,

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riduzione: “In tema di tassa per Io smaltimento dei rifiuti solidi urbani

individuabile nella deduzione della illegittimità dei regolamenti del Comune
di Bari in materia (nn. 29/05, 152/06, 43/08), in quanto adottati da organo
incompetente (giunta comunale in luogo del consiglio comunale).
§ 4.2 I due motivi – suscettibili di trattazione unitaria per la stretta
connessione delle questioni giuridiche dedotte – sono per più versi

Sotto un primo profilo, essi deducono come ‘omesso esame’ circa un
fatto decisivo quella che, a tutto concedere, potrebbe concretare una
‘omessa pronuncia’ su un motivo di opposizione all’avviso di accertamento
(dunque, astrattamente rilevante ex art.360, co. n. 4, e non n.5,
cod.proc.civ.).
Sotto un secondo profilo, essi individuano il ‘fatto decisivo’ asseritamente
omesso non già in un elemento della fattispecie sostanziale di minore
imposizione tributaria dedotta in giudizio con l’opposizione all’avviso di
accertamento, bensì in un evento di ordine processuale; appunto insito
nell’avvenuta deduzione in giudizio della illegittimità dei regolamenti
perché, si sostiene, non adottati dal consiglio comunale. Questa
impostazione priva di coerenza e chiarezza le censure in esame;
concretando un’ulteriore indebita sovrapposizione di piani tra l’omesso
esame di fatto sostanziale primario e l’omessa pronuncia su domanda
giudiziale.
Sotto un terzo profilo, i motivi non si fanno carico di esplicitare le ragioni
del proprio fondamento a fronte di una situazione fattuale che si pone in
frontale contraddizione con il loro assunto di partenza. Ciò perché i
regolamenti Tarsu richiamati negli avvisi di accertamento opposti risultano
essere stati adottati proprio con deliberazione del consiglio comunale, e
non della giunta; vale a dire, con deliberazione di quello stesso organo il
cui mancato coinvolgimento nell’espletazione della potestà regolamentare
in materia viene posto a basamento esclusivo delle doglianze. Si tratta di
profilo, quest’ultimo, che anzi ben poteva fondare, nella decisione della CTR
(ma nemmeno di questo le censure si fanno carico), il rigetto implicito del
motivo di opposizione in questione, non già l’omesso esame ovvero
l’omessa pronuncia paventati dalla ricorrente.

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inammissibili.

§ 5.1 Con il quinto motivo di ricorso la società deduce violazione di legge,
per non avere la commissione tributaria regionale considerato l’intervenuta
decadenza dell’amministrazione comunale in relazione all’anno di imposta
2006.
§ 5.2 Il motivo è infondato.

avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a
pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a
quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto
essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o
irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17
del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive
modificazioni”.
Alla data di entrata in vigore di questa disposizione (1^ gennaio 2007) il
rapporto tributario in oggetto, relativo all’anno 2006, doveva ritenersi
ancora pendente: sia quanto a termine di versamento del tributo (2007)
sulla base della tariffa annuale, sia quanto ad assoggettabilità ad
accertamento ex artt.71 e 72 d.lgs. 507/93.
Ricorre, in proposito, quanto stabilito da Cass. 24187/16, secondo cui:
“In tema di TAIRSU, il termine di decadenza quinquennale ex art. 1, comma
161, della I. n. 296 del 2006 si applica solo ove il comune abbia provveduto
all’emissione di avviso di accertamento, essendo stata omessa dal
contribuente la denuncia prescritta ex art. 70 del d.lgs. n. 507 del 1993
oppure risultando tale denuncia infedele o incompleta, mentre opera il
termine di decadenza triennale qualora l’ente non abbia provveduto ad
alcuna rettifica dei dati dichiarati dal contribuente, procedendo
direttamente alla liquidazione dell’imposta ed alla notifica della cartella
esattoriale”.
Posto che, nel caso di specie, si trattava proprio di rettifica di
dichiarazione iniziale, il termine di decadenza del 31. dicembre del quinto
anno successivo di cui alla menzionata disciplina ex 1.296/06 (trattandosi,
come detto, di rapporto pendente) risulta rispettato, a fronte di avviso
notificato il 5 gennaio 2012.

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In base all’art. 1, comma 161, legge finanziaria 2007 (1.296/06): “(…) Gli

Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso, con condanna della società
ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo.
Pqm

rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione, che liquida in euro 6.000,00; oltre
rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge;

v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come
modificato dalla L. n. 228 del 2012;

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a
carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso
principale.

Così deciso nella camera di consiglio della quinta sezione civile in data
19 dicembre 2017.

La Corte

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