Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19838 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2020, (ud. 11/06/2020, dep. 22/09/2020), n.19838

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34144-2018 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERTO CARONCINI

51, presso lo studio dell’avvocato BARBARA MORABITO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO PIRARI;

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIEMONTE, 39,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA CALABRO’, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE LUIGI CUCCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 122/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 23/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO

GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettò l’impugnazione avanzata da S.R. avverso la sentenza di primo grado, che aveva disatteso (per quel che qui ancora rileva) la di lei domanda di declaratoria d’acquisto per usucapione della particella 123 di un fondo sito in Dorgali, località Pranos, di cui risultava proprietario S.M.;

che la Corte locale, prese in esame le doglianze dell’appellante, giunse al rigetto dell’appello tenendo conto dell’insieme convergente delle seguenti emergenze di causa:

– dall’atto di divisione risalente al 1980, peraltro non prodotto in giudizio, non poteva trarsi il sicuro convincimento che la particella 123 fosse stata attribuita all’appellante e, in ogni caso l’attribuzione non importava, in via automatica, la sussistenza del rapporto possessorio;

– la cartina riportante la divisione non corrispondeva alla forma a “L” della particella;

– la prova testimoniale (analiticamente presa in rassegna alle pagg. 4/8) non aveva consentito di accertare la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 1158 c.c.;

– v’era in atti una lettera del 1996 nel quale il sacerdote G.P. aveva dichiarato che il Consiglio d’amministrazione dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Nuoro aveva autorizzato S.M. a eseguire delle migliorie sul fondo, del quale faceva parte la particella di cui si discute, del quale quest’ultimo godeva per contratto, e che successivamente, nel 1999, aveva acquistato;

– correttamente il Tribunale non aveva tenuto conto dell’esito di un giudizio possessorio, conclusosi in senso favorevole all’appellante, poichè “è indubbio che tale azione tende a porre rimedio alla situazione concreta e attuale di possesso a prescindere dalla legittimità o meno dello stesso in capo al soggetto istante”;

– non poteva rinvenirsi nelle affermazioni risultanti dal processo possessorio alcuna confessione dell’appellato, poichè da esse non era dato trarre che lo scambio di terreni intervenuto fra le parti avesse riguardato anche la particella (OMISSIS);

– non aveva alcun rilievo la circostanza che anteriormente all’acquisto del 1999 l’appellato fosse mero detentore del fondo, poichè l’appellante non aveva “dimostrato la sussistenza dei presupposti necessari al perfezionamento della fattispecie della prescrizione acquisitiva”;

ritenuto che S.R. ricorre avverso la decisione d’appello sulla base di un unitario e articolato complesso censuratorio, ulteriormente illustrato con memoria, e che l’intimato resiste con controricorso;

ritenuto che la ricorrente denunzia “vizio di motivazione ex art. 111 Cost. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”, nonchè erronea applicazione degli artt. 1140,1141,1142,1158 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando che la Corte locale non aveva considerato che le parti per un certo tempo avevano proceduto allo scambio dei rispettivi terreni; che il possesso intermedio andava presunto ai sensi dell’art. 1142 c.c.; che la sentenza era incorsa in “vizio di motivazione” per avere ignorato le risultanze probatorie favorevoli all’attrice e, in particolare:

– per non avere tenuto conto dell’esito del procedimento possessorio (provvedimento cautelare del 28/2/2007 e sentenza del 10/11/2010), che aveva accertato che la ricorrente aveva subito spoglio;

– che nel verbale d’udienza del 6/4/2006 S.M. aveva sconfessato la tesi sostenuta in questo processo, avendo ammesso di aver avuto concesso il fondo in affitto dall’attrice e non già dall’Istituto Diocesano;

– il sacerdote M. aveva, con nota del 30/6/2006, contraddetto la precedente dichiarazione del 2003 e non avendo la sentenza ciò considerato, si era in presenza di un omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

– il complessivo apprezzamento della prova orale effettuata dalla Corte di Sassari non poteva essere condiviso per le plurime ragioni analiticamente indicate in ricorso;

considerato che l’esposto motivo non supera il vaglio d’ammissibilità per le ragioni che seguono:

a) risulta evidente che il ricorso, sotto l’usbergo delle denunziate violazione di legge e omesso esame di un fatto controverso e decisivo miri ad un inammissibile riesame di merito, invero da ben oltre un decennio questa Corte è ferma nel chiarire che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. U., n. 1031, 05/05/2006, Rv. 589877; conf. ex plurimis, Cass. nn. 4178/2007, 4178/2007; 8315/013, 26110/015, 195/016, 24054/017, 24155/017);

b) nella sostanza, scevra da dissimulazione, la ricorrente con il motivo in esame insta per un riesame delle insindacabili valutazioni del giudice del merito e la denunzia di violazione di legge non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. nn. 11775/019, 6806/019, 30728/018);

c) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (si rimanda alla sentenza delle S.U. n. 8053/2014); non residuano spazi per ulteriori ipotesi di censure che investano il percorso motivazionale, salvo, appunto, l’ipotesi, che qui non ricorre e, peraltro, neppure viene adombrata, del difetto assoluto di motivazione;

c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cent. n. 8053 cit.) e qui il fatto storico, consistito nella fallita prova del possesso ad usucapionem della ricorrente, non poggia affatto, come peraltro ha precisato la sentenza d’appello, sul rapporto fattuale del controricorrente col fondo, del quale era divenuto proprietario e, di conseguenza, a parte ogni altra considerazione, la circostanza che la sentenza non faccia riferimento alla nota del sacerdote M. del 2006 non assume rilievo di sorta;

d) la Corte locale ha escluso, con precipua motivazione (pag. 10), che S.M. avesse reso dichiarazioni confessorie in seno al processo possessorio, di talchè in questa sede non è consentito accedere alla diversa ricostruzione perorata dalla ricorrente;

e) non è dubbio che le valutazioni del giudice del possessorio non possono avere una refluenza diretta e immediata nel giudizio petitorio volto all’accertamento dell’acquisto della proprietà per usucapione, dovendo l’attore, in quest’ultima sede, non limitarsi a provare di essere stato privato del possesso o della detenzione qualificata, essendo suo onere dimostrare la sussistenza di un comportamento possessorio continuo e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un diritto reale, manifestato con il compimento di atti conformi alla qualità ed alla destinazione del bene e tali da rivelare sullo stesso, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria, in contrapposizione all’inerzia del titolare (Sez. 2, n. 18392, 24/8/2006, Rv. 592054; conf. Cass. n. 8662/010; nello stesso senso, Cass. n. 17881/013);

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle svolte attività, siccome in dispositivo;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

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