Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19835 del 28/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/09/2011, (ud. 06/07/2011, dep. 28/09/2011), n.19835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

-AMA – AZIENDA MUNICIPALE AMBIENTE – S.P.A. di Roma, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato PALLINI MASSIMO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ARTURO MARESCA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 131, presso lo studio dell’avvocato ZACCARIA GIUSEPPE EGIDIO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenzà n. 4669/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/09/2009 R.G.N. 8212/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

uditi gli Avvocati PALLINI MASSIMO E MARESCA ARTURO;

udito l’Avvocato ZACCARIA GIUSEPPE EGIDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di V.E., proposta nei confronti della società AMA, avente ad oggetto la condanna di detta società al pagamento delle differenze retributive , di cui alla sentenza del Pretore del lavoro di Roma del 28 dicembre 1992 n. 13317, passata in giudicato, con la quale era stato riconosciuto il suo diritto all’inquadramento nel 4 livello dirigenti del CCNL dirigenti delle; aziende industriali dal 1 giugno 1985.

La Corte del merito rilevava, innanzitutto, che il ricorso di primo grado non poteva ritenersi nullo per mancata indicazione del CCNL e dell’inquadramento in quanto, insieme al ricorso, erano stati notificati i conteggi nei quali risultavano specificati, sia il CCNL, sia l’inquadramento che corrispondevano a quanto stabilito nella sentenza sull’an. Riteneva, poi, la predetta Corte, che la sentenza passata in giudicato non poteva considerarsi inesistente per impossibilità, inesigibilità o abnormità del suo disposto in quanto la eccepita inapplicabilità del CCNL e la mancata previsione di una articolazione in livelli d’inquadramento, dovevano essere fatti valere, con i normali mezzi d’impugnazione, avverso la sentenza che aveva accertato il diritto alla superiore qualifica e non in sede , quale quella presente, di quantificazione.

Nè aggiungeva la Corte territoriale non vi era alcunchè di abnorme, impossibile o assurdo che il giudice avesse riconosciuto l’applicabilità di un CCNL diverso da quello applicato dall’azienda.

Avverso questa sentenza la società ricorre in cassazione sulla base di due censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società, deducendo violazione dell’art. 414 c.p.c., n. 4, assume che nel caso in cui nel ricorso introduttivo del giudizio manchi l’indicazione del CCNL e dell’inquadramento contrattuale in applicazione dei quali si reclama il diritto a differenze retributive, il ricorso è nullo.

La censura è infondata.

Infatti il ricorrente, nel chiedere l’affermazione del principio di diritto di cui innanzi ed in base al quale , secondo la sua prospettazione, la sentenza di appello dovrebbe essere annullata, non tiene conto della specifica ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata sul punto in questione.

La Corte del merito, invero, non ritiene nullo il ricorso di cui trattasi sul rilevo fondante che questo è stato notificato alla controparte in uno ai conteggi nei quali sono indicati il CCNL e l’inquadramento e tanto, secondo la Corte territoriale, è sufficiente a rendere il ricorso idoneo al raggiungimento del suo scopo dovendosi questo valutare complessivamente.

Orbene questa specifica ratio non è in alcun modo censurata, sicchè il motivo in esame per come articolato non può comportare la cassazione della sentenza impugnata.

Con la seconda critica la società, denunciando violazione dell’art. 161 c.p.c. e vizio di motivazione, assume che il giudicato formatosi sulla sentenza del Pretore di Roma del 1992 sarebbe inesistente per abnormità, impossibilità ed ineseguibilità dell’oggetto del suo dispostivo in quanto si riferisce ad un contratto collettivo non applicato dall’AMA e che non prevede l’inquadramento riconosciuto.

Nè, aggiunge, la società ricorrente, la Corte di Appello ha fornito, su tale punto, una sufficiente e logica motivazione.

La critica è infondata.

Difatti la Corte del merito, nel rilevare che il giudicato posto a base della domanda di quantificazione non può considerarsi inesistente – per il solo fatto che si riferisce ad un contratto collettivo non applicato dall’AMA e non prevedente dei livelli d’inquadramento atteso che si tratta di circostanze che avrebbero dovute essere fatte valere nel giudizio sull’an fornisce una motivazione congrua e giuridicamente corretta.

Devesi in proposito affermare che l’applicabilità di un certo contratto collettivo accertata giudizialmente in sede dì rivendicazione di una diverso inquadramento, ancorchè il contratto collettivo non sia applicato normalmente dal datore di lavoro, non costituisce statuizione abnorme, impossibile od ineseguibile in quanto attiene proprio al tema decidendum della controversia, relativo all’accertamento dell’an, stabilire, nella dialettica processuale, quale sia il contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro dedotto in giudizio. E se la relativa statuizione non è corretta questa è impugnabile con i normali mezzi. Conseguentemente ben può formarsi sul punto un giudicato sulla applicazione tra le parti di un determinato contratto collettivo senza che tale statuizione, per il solo fatto di non essere conforme alla pretese, realtà normativa dell’azienda, sia da considerare abnorme.

Analoghe considerazioni valgono per il riferimento, nel dispositivo della sentenza sull’an, ad un determinato livello d’inquadramento in quanto se tale riferimento èr nella valutazione di una delle parti del processo inesatto, anche in questo caso vi sono i mezzi d’impugnazione previsti dalla legge al fine di rimediare al preteso errore. Ma se questi mezzi non vengono tempestivamente e rituralmente esperiti non può la parte farli valere in sede di opposizione alla domanda di quantificazione, che si fonda sull’accertamento dell’an passato in giudicato e quindi divenuto norma tra le parti in causa, attraverso l’escamotage della inesistenza del relativo giudicato facendo valere eccezioni non dedotte nel relativo giudizio sull’an. Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso pertanto va respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 520,00 per esborsi, oltre Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2011

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