Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19831 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19831 Anno 2013
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 27158-2010 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A.

01585570581, (già

FERROVIE DELLO STATO SOCIETA’ DI TRASPORTI E SERVIZI
PER AZIONI), in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
DELLA CROCE ROSSA 1, presso lo studio dell’avvocato
2013
2297

CARINO PATRIZIA, che la rappresenta e difende giusta
procura speciale notarile in atti;
– ricorrente contro

RENDA

DOMENICO

RNDDNC47E09G273U,

elettivamente

Data pubblicazione: 28/08/2013

domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 209, presso lo
studio degli avvocati BUZZI ALBERTO e PELLICCIONI
PATRIZIA, che lo rappresentano e difendono giusta
delega in atti;
– controricorrente

di ROMA, depositata il 25/05/2010 r.g.n. 913/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 1785/2010 della CORTE D’APPELLO

1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 25.5.2010, la Corte di Appello di Roma, rigettando il gravame proposto
dalla Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., confermava la decisione di primo grado che aveva
accolto la domanda di Renda Domenico e condannato la società al pagamento della
somma di euro 1.471,03 per ritardato pagamento degli emolumenti corrisposti al
lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro. Rilevava la Corte del merito che il

erano stati corrisposti in data 25.12.1999, in ritardo rispetto ad un rapporto cessato
consensualmente il 18.10.1999 e che l’atto di transazione stipulato tra le parti in data
25.1.2000 presso l’Ufficio provinciale del lavoro di Palermo non fosse, per le espressioni
utilizzate, tale da esprimere una univoca e precisa volontà del lavoratore di rinunciare
specificamente al diritto oggetto della controversia. Clausola di stile doveva ritenersi
quella contenuta nel riferimento ad “ogni eventuale ragione di credito verso la società in
dipendenza del pregresso rapporto di lavoro” ed infondato era anche il motivo di gravame
secondo cui, ai sensi dell’art. 1183, comma 1, c. c., doveva essere concesso alla società
un congruo lasso di tempo per il pagamento, avendo riguardo l’articolo richiamato
all’ipotesi delle obbligazioni in cui non sia determinato il tempo dell’adempimento e non
essendovi dubbi sulla decorrenza del diritto azionato dalla cessazione del rapporto.
Infondato era anche il motivo sulla impossibilità di pagamento immediato ricondotta alla
complessità organizzativa della società.
Per la cassazione della decisione ricorre la Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., con unico
motivo, illustrato con memoria ai sensi dell’art. 378 c.pc.
Resiste con controricorso il Renda, che espone ulteriormente le proprie difese in
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La società ricorrente denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un
punto essenziale della controversia, osservando che il punto 6 del verbale transattivo
contempla l’ulteriore pagamento, da parte datoriale, della somma di lire 500,000 a titolo di
transazione generale novativa e che quindi doveva intendersi rinunziata ogni eventuale
1

trattamento di fine rapporto e le altre indennità maturate alla cessazione del rapporto

ragione di credito in dipendenza del rapporto di lavoro. Assume che la clausola sia chiara
nel suo significato e che, alla data di sottoscrizione del verbale di conciliazione, avvenuta il
25.1.2010, il Renda era a conoscenza che il T.F.R. era stato corrisposto con la busta paga
del dicembre 1999 con due mesi di ritardo rispetto alla data di quiescenza. La elencazione
dei contenziosi evidenziati al punto 6 è, secondo la ricorrente, meramente esemplificativa,
essendo inimmaginabile un’elencazione completa di tutti i potenziali contenziosi che
potevano essere attivati dal lavoratore e nel caso considerato, per le ragioni esposte, il

sindacale e quindi era inoppugnabile.
Il ricorso è infondato.
La dichiarazione sottoscritta dal lavoratore può assumere valore di rinuncia o di
transazione, con riferimento alla prestazione di lavoro subordinato ed alla conclusione del
relativo rapporto, sempre che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del
documento, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od
obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui
medesimi. Il relativo accertamento costituisce giudizio di merito, censurabile, in sede di
legittimità, soltanto in caso di violazione dei criteri dell’ermeneutica contrattuale o in
presenza di vizi della motivazione (cfr. Cass.25.1.2008 n. 1657). Peraltro, in conformità
con quanto già espresso da questa Corte, deve osservarsi che la necessità dell’esatta
determinazione o, quanto meno, determinabilità dell’oggetto della rinuncia costituisce (condizione di validità di qualsiasi manifestazione negoziale di volontà abdicativa, ancorché
intervenuta – trattandosi di transazione su pretese del lavoratore scaturenti da un
pregresso rapporto di lavoro – in sede di conciliazione davanti all’apposita commissione
presso l’ufficio provinciale del lavoro, con la conseguenza che detta transazione non
preclude al lavoratore l’azione giudiziaria a tutela di quei diritti che non siano stati
specificamente individuati (o non siano individuabili) come oggetto della rinuncia effettuata
a fini transattivi (cfr. Cass. 26.9.1991 n. 10056).
Ciò premesso, a prescindere dall’accertamento insindacabile compiuto dalla Corte del
merito, non inficiato dai rilievi genericamente formulati con riguardo alla natura meramente
esemplificativa dei contenziosi attivabili dal lavoratore e con riguardo alla natura novativa
della transazione, deve rilevarsi la mancata completa trascrizione del testo integrale del
2

contenzioso era del tutto prevedibile. Inoltre, la transazione era avvenuta in sede

verbale di conciliazione e la mancata produzione del verbale nei termini richiesti con
riguardo al giudizio di legittimità . Al riguardo è stato sancito che” in tema di giudizio per
cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.,
così come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di
improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui
quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme
processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche

documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di
trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la
sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo
comma, cod. proc. civ., ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di
inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati
necessari al reperimento degli stessi” (cfr. Cass., sez. un., 3.11.2011 n. 22726). Ciò
comporta che l’onere possa ritenersi soddisfatto solo ove venga effettuata tale ultima
specifica indicazione, ed il principio è stato ribadito da ultimo da Cass. 9.4.2013 n. 8569,
secondo cui, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366,
primo comma, n. 6, cod. proc. civ., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti
processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti
oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza, si
provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento
del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di
cassazione, al fine di renderne possibile l’esame. A ciò consegue che il mero richiamo di
atti e documenti del giudizio di merito, dei quali venga lamentata la mancata o erronea
valutazione, non è sufficiente ove il ricorrente si limiti, come nel caso esaminato, soltanto
ad indicarli, senza riprodurli, neppure individuando in quale sede processuale siano stati
prodotti.
Alle esposte considerazioni consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della società e si liquidano nella
misura indicata in dispositivo, tenuto conto della assenza del difensore del controricorrente
all’udienza di discussione. eo-3

mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese di lite del
presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 1500,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
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09e.

Così deciso in Roma, il 26.6.2013

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