Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19831 del 20/09/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/09/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 20/09/2010), n.19831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELL’UNIVERSITA’ 11, presso lo studio dell’avvocato FABBRI FRANCESCO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLI PAOLO,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

“BIPOP CARIRE S.P.A.” (gia’ Cassa di Risparmio di Reggio Emilia);

– intimata –

e sul ricorso 24387-2006 proposto da:

BIPOP CARIRE S.P.A., facente parte del Gruppo Bancario Capitalia, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato

PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale

atto Notaio FABRIZIO SANTASUOSSO di BRESCIA del 01/08/2 006 rep n.

30303;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELL’UNIVERSITA’ 11, presso lo studio dell’avvocato FABBRI FRANCESCO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLI PAOLO,

giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 236/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 13/08/2005 R.G.N. 84/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato FABBRI FRANCESCO;

udito l’Avvocato SERRANI TIZIANA per delega PESSI ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’8 – 29 gennaio 2003, il Tribunale di Reggio Emilia dichiarava l’illegittimita’ del demansionamento attuato nei confronti di M.N. dalla Cassa di Risparmio di Reggio Emilia a partire dal 27.9.96 e reiterato dall’8.1.97, con la condanna della Cassa a risarcire alla M. il danno temporaneo alla salute (Euro 6.972,17) ed il danno all’immagine per la dequalificazione (Euro 4.500,00); dichiarava, inoltre, l’illegittimita’ del licenziamento disciplinare – per giusta causa – intimato dalla societa’ datrice di lavoro alla M. in data 11.2.97, con la condanna della Cassa a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro e nelle mansioni antecedenti la dequalificazione, con il pagamento delle retribuzioni ed il versamento della contribuzione; disponeva, infine, il pagamento di rivalutazione monetaria ed interessi legali, separatamente conteggiati, su tutte le suddette somme.

Avverso tale decisione, con distinti ricorsi rispettivamente depositati il 23.1.2004 ed il 28.1.04, proponevano appello sia la M., la quale ne chiedeva la riforma nella parte concernente i danni per la dequalificazione ed il riconoscimento di interessi legali calcolati sulle somme non rivalutate, sia la Bipop Carire S.p.A. (gia’ Cassa di Risparmio di Reggio Emilia), la quale insisteva per la legittimita’ del licenziamento, con la conseguente reiezione delle domande formulate in ordine allo stesso dalla lavoratrice, tenendosi conto, in ogni caso, dell’aliunde perceptum.

Con sentenza dell’11 marzo – 13 agosto 2005, l’adita Corte di Appello di Bologna, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da M.N., condannava la societa’ appellata a corrispondere a quest’ultima rivalutazione monetaria ed interessi legali sugli importi via via rivalutati; respingeva l’appello incidentale proposto dalla societa’ appellata avverso la suddetta sentenza; confermava nel resto l’impugnata sentenza.

A sostegno della decisione, premesso che l’esame di ogni questione concernente la sussistenza del demansionamento era preclusa dalla mancata impugnazione di tale capo di sentenza, osservava che, in assenza di elementi di segno contrario, doveva ritenersi che correttamente il Giudice di primo grado aveva valutato i richiesti danni, biologico, esistenziale ed all’immagine, escludendo ogni pregiudizio alla professionalita’ per effetto del demansionamento, protrattosi per appena quattro mesi e mezzo, mentre rettificava, nel senso sopra precisato, la statuizione concernente gli accessori sulle somme liquidate. Quanto all’appello incidentale proposto dalla societa’, il Giudice di appello escludeva che l’intervista rilasciata dalla M. ad un quotidiano, relativamente alla sua vicenda lavorativa ed, in particolare all’ingiusto demansionamento subito, giustificasse il provvedimento espulsivo, e che la documentazione predisposta dalla lavoratrice a sostegno delle sue pretese fosse stata frutto di indebita appropriazione.

Per la cassazione di tale pronuncia, ricorre M.N. con due motivi. Resiste Bipop Carire S.p.A con controricorso, con cui propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, cui resiste la M. con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria, ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, la M., denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonche’ omessa, insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione, ed, ancora, violazione degli artt. 2059 e 32 Cost., dopo avere illustrato le censure mosse dinanzi al Giudice di appello, sostiene che quest’ultimo, nel rigettare l’impugnazione inerente alla misura di liquidazione del danno biologico, sia incorsa in vizio di motivazione.

La Corte d’Appello, a fronte della censura secondo cui il parametro utilizzato dal Tribunale di Reggio Emilia per la determinazione della base giornaliera sarebbe stato insufficiente, si era espressa nei seguenti termini: “…premesso che l’esame di ogni questione inerente la sussistenza del demansionamento e’ preclusa dalla mancata impugnazione di tale capo della sentenza” osserva che la parte appellante non ha fornito alcuna prova dell’insufficienza del criterio in base al quale il Tribunale ha liquidato il danno biologico e che risulta pienamente congruo sulla base di quanto evidenziato dall’indagine tecnica espletata in primo grado. “Secondo la ricorrente in cassazione la Corte sarebbe incorsa in vizio di contraddittorieta’ della motivazione per avere posto a carico dell’appellante l’onere di fornire la prova della insufficienza del criterio utilizzato dal Giudice di primo grado, laddove l’unica forma possibile di liquidazione del danno biologico e’ quella equitativa.

Osserva il Collegio che la conclusione raggiunta dalla Corte d’Appello risulta corretta in quanto l’onere di fornire gli elementi allegatori e probatori idonei a dimostrare l’asserita iniquita’ dei criteri di liquidazione del danno utilizzati dal Tribunale gravava interamente sull’appellante (cfr., in tal senso, Cass., 11 giugno 2007, n. 13676; Cass., 10 novembre 2004, n. 21369); onere – ritenuto dalla Corte di merito – non assolto.

Giova, peraltro, rilevare che il giudice di merito non e’ tenuto ad analizzare e discutere ogni singolo dato acquisito al processo, ne’ a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti ed adempie all’obbligo della motivazione quando giustifica compiutamente la propria decisione in base alle circostanze ed agli elementi che ritiene risolutivi ai fini della statuizione adottata (cfr. ex plurimis Cass., 28 giugno 2006, n. 14972; Cass., 5 aprile 2005, n. 7086; Cass., 14 novembre 2002, n. 16034; Cass., 1 ottobre 2002, n. 14075). Ne discende che la sentenza impugnata, laddove ritiene pienamente congruo, sulla base di quanto evidenziato dall’indagine tecnica espletata in primo grado, il danno biologico liquidato in primo grado e rileva come l’appellante non le abbia fornito elementi per giungere ad opposta conclusione, contiene certamente motivazione idonea a sostenere la decisione di rigetto dell’appello.

Anche la censura relativa al mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno morale e del danno esistenziale e’ infondata.

Secondo la ricorrente la Corte d’Appello di Bologna sarebbe incorsa in vizio di motivazione laddove avrebbe omesso di esaminare il motivo di impugnazione relativo al mancato riconoscimento da parte del Tribunale del danno morale asseritamente subito ed avrebbe invece errato nel rigettare il motivo concernente il mancato riconoscimento del danno esistenziale.

Dal momento che la M. in primo grado non aveva mai chiesto specificamente il ristoro dei danni non patrimoniali enucleati nel ricorso in appello ed in particolare del danno esistenziale, ne’ aveva allegato o provato fatti rilevanti a tal fine, la Corte di Appello ha correttamente ritenuto inammissibili le questioni sollevate sul punto dalla lavoratrice.

Infondata e’ anche l’ulteriore censura secondo cui il Giudice di appello non avrebbe motivato in ordine ai rilievi svolti dall’appellante avverso i parametri quantitativo e temporale adottati in primo grado per la liquidazione del danno all’immagine.

La Corte d’Appello ha, infatti, argomentato sul punto, osservando che non avendo la M. dedotto alcun pregiudizio diverso da quello inerente il risarcimento di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18 correttamente il Tribunale aveva liquidato il danno all’immagine con riferimento al solo demansionamento. La motivazione della Corte non solo e’ idonea a supportare la decisione adottata, ma anche corretta in punto di diritto tenuto conto che, nel regime di tutela reale L. n. 300 del 1970, ex art. 18 avverso i licenziamenti illegittimi, la predeterminazione legale del danno risarcibile in favore del lavoratore (con riferimento alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione) anche se non esclude che il lavoratore possa chiedere il risarcimento del danno ulteriore (come il danno alla professionalita’) che gli sia derivato dal ritardo della reintegra, poiche’ deve escludersi quanto alla prova di siffatto ulteriore danno, che possa ritenersi “in re ipsa”, occorre, pur sempre che sia il lavoratore a dimostrare di avere subito danni alla propria professionalita’ e alla propria immagine ulteriori e diversi da quelli gia’ indennizzati attraverso l’attribuzione della indennita’ risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto per il periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegrazione (Cass., 7 luglio 2009, n. 15915;

Cass. 13 luglio 2002 n. 1023).

Col secondo motivo di ricorso in cassazione la M. deduce che i giudici bolognesi avrebbero errato laddove hanno escluso un suo diritto al risarcimento del danno professionale anche per il periodo successivo al licenziamento.

A tal fine richiama nuovamente la giurisprudenza di questa Corte secondo cui e’ ammissibile la domanda di risarcimento del danno alla professionalita’ determinato dall’illegittimo licenziamento, ulteriore e diverso rispetto a quello previsto normativamente dall’art. 18 Stat. Lav..

Sul punto, la Corte d’Appello ha rilevato come il particolare danno alla professionalita’ conseguente alla violazione dell’art. 2103 c.c. (l’unico del quale la M. avesse chiesto il risarcimento in primo grado) non poteva configurarsi per il periodo successivo alla risoluzione del rapporto e per il solo fatto della totale cessazione della prestazione lavorativa.

Pertanto, il danno alla professionalita’ dedotto e lamentato dalla ricorrente — quello connesso al mero fatto della cessazione del rapporto di lavoro — correttamente e’ stato ritenuto compreso in quello gia’ riconosciuto alla lavoratrice ex art. 18 Stat. Lav..

In proposito, va richiamata la giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo la quale l’indennita’ dovuta ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 e’ gia’ di per se’ destinata a risarcire il danno intrinsecamente connesso alla impossibilita’ materiale per il lavoratore non reintegrato di eseguire la propria prestazione lavorativa, con la conseguenza che ogni eventuale lesione della professionalita’ diversa ed ulteriore da quella legata al fatto oggettivo della cessazione della prestazione lavorativa va dedotta e provata dal lavoratore che ne pretenda il ristoro (Cass., 7 luglio 2009, n. 15915; Cass., 13 luglio 2002, n. 10203; Cass., 11 luglio 2002, n. 10116).

In conclusione, anche tale parte della sentenza impugnata non merita le critiche che le vengono mosse dalla M..

Con il ricorso incidentale la Bipop Carire S.p.A., denunciado violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 324, 329, 334 e 437 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta che la Corte di Appello non abbia ritenuto detraibile dal risarcimento del danno da illegittimo licenziamento l’eccepito aliunde perceptum. La censura non puo’ trovare accoglimento.

Invero, in ordine a detta eccezione inerente l’aliunde perceptum la Corte di merito ha rilevato che la stessa doveva ritenersi coperta dal giudicato, essendo riferita ad attivita’ libero professionale svolta a far data dal 1998, attivita’ di cui si e’ data notizia nel corso del giudizio di primo grado nella relazione inerente l’indagine tecnica espletata.

A nulla rileva, pertanto, l’assunto della societa’ secondo cui l’eccezione, in quanto “in senso lato”, sarebbe proponibile in ogni momento, tenuto conto che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente statuito che, in tema di conseguenze patrimoniali del licenziamento illegittimo il datore di lavoro per poter essere ammesso a dedurre e provare tardivamente circostanze idonee a dimostrare l’”aliunde perceptum” da parte del lavoratore deve provare altresi’ di non aver avuto tale conoscenza delle stesse e di avere, una volta conseguita tale conoscenza, formulato le relative deduzioni nell’osservanza del principio, ricavabile dagli artt. 414, 416 e 420 cod. proc. civ., di tempestivita’ di allegazione dei fatti sopravvenuti, all’uopo utilizzando il primo atto utile successivo alla conoscenza dei medesimi (Cass. 3 ottobre 1998 n. 9826; Cass. 9 febbraio 2001 n. 1890; Cass. 12 agosto 2004 n. 15693). Deve, pertanto, concludersi per il rigetto anche del ricorso incidentale.

L’esito del giudizio induce a compensare le spese tra le parti.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2010

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA