Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19829 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. I, 22/09/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 22/09/2020), n.19829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22443/2015 proposto da:

L.R.F., in proprio e quale titolare dell’omonima impresa

corrente in (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma Piazzale

Clodio 13, presso lo studio dell’avvocato Olga Geraci, e

rappresentato e difeso dall’avvocato Natale Arena, in forza di

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Brolo, in persona del Vice Sindaco f.f. di Sindaco,

domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avv. Arturo Merlo,

per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 616/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 29/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/07/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 4/2/1998 (r.g. 112/1998) L.R.F., titolare dell’omonima impresa e nella qualità di capogruppo dell’associazione temporanea di imprese (a.t.i.) costituita con la R.B. Maker s.r.l., assuntrice dei lavori di completamento del campo sportivo di (OMISSIS), convenne in giudizio il Comune di Brolo dinanzi al Tribunale di Patti al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalla unilaterale risoluzione del rapporto contrattuale e alla sospensione dei lavori, ritenute illegittime, nonchè dall’immobilizzo e dalla rimozione forzata di un escavatore e di un “martellone”, fatti oggetto di apposte riserve.

I lavori in appalto erano stati affidati all’a.t.i. con Delib. 18 marzo 1992 del Consiglio comunale; dopo l’entrata in vigore della L.R. Siciliana n. 10 del 1993, recante modifiche alla L.R. n. 21 del 1985, e della L.R. n. 25 del 1993, con Delib. Commissariale 15 ottobre 1993, n. 157, era stata autorizzata la stipulazione del contratto di appalto, avvenuta il successivo 22/10/1993; in data 30/12/1993, in seguito all’annullamento della Delib. n. 157 del 1993 da parte del CO.RE.CO., era stata disposta la sospensione dei lavori e il contratto era stato rescisso con Delib. 24 marzo 1994, n. 34.

Si oppose il Comune di Brolo, resistendo alla domanda dell’attrice e sostenendo che alla Delib. n. 34 del 1994, non poteva attribuirsi valenza di recesso unilaterale ma solo valore ricognitivo della caducazione del contratto, verificatasi per effetto dell’annullamento disposto dall’organo tutorio.

Il giudizio venne riunito ad altro (recante r.g. 36/1998), pure promosso dal L.R., nella predetta duplice veste, per chiedere il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata stipulazione del contratto.

Con ordinanza del 26/10/2006, emessa ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c., il Tribunale di Patti ritenne che vi fosse stata risoluzione unilaterale da parte del Comune di Brolo del contratto di appalto, riconobbe il danno da mancato utile e illegittima sospensione dei lavori e condannò il Comune a pagare al L.R., nella duplice veste, Euro 64.462,90, oltre accessori, a titolo di risarcimento danni, Euro 2.456,13, a titolo di interessi per ritardato pagamento del primo s.a.l., Euro 2.223,82 a saldo lavori eseguiti, nonchè gli interessi moratori, variamente scaglionati, sulla somma di Lire 9.435.256; rigettò le ulteriori domande proposte dal L.R. nel procedimento 36/1998 r.g. per la mancata stipula del contratto; condannò il Comune al pagamento delle spese di lite.

Il Comune di Brolo rinunciò al deposito della sentenza quanto al giudizio rubricato n. 112/1998 e di conseguenza il Tribunale dichiarò il relativo giudizio concluso, previa separazione dei due procedimenti, proseguendo a parte quello rubricato al n. 36/1998.

2. Avverso la predetta ordinanza ex art. 186 quater del 26/10/2006, divenuta definitiva in data 19/1/2007, hanno proposto appello sia il Comune di Brolo, sia il L.R..

Riunite le due impugnazioni, la Corte di appello di Messina con sentenza del 29/7/2014 ha accolto l’appello del Comune e ha respinto quello del L.R., rigettando le domande tutte proposte da quest’ultimo, a spese compensate.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 15/9/2015 ha proposto ricorso per cassazione L.R.F., titolare dell’omonima impresa, anche nella qualità di capogruppo dell’associazione temporanea di imprese (a.t.i.) con la R.B. Maker s.r.l., assuntrice dei lavori di completamento del campo sportivo, svolgendo quattro motivi.

Con atto notificato il 24/10/2015 ha proposto controricorso il Comune di Brolo, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Il ricorrente ha depositato due memorie illustrative, datate 31/1/2020 e 10/2/2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 75,77 c.p.c., art. 83 c.p.c., comma 3, art. 100 c.p.c., artt. 125 e 182 c.p.c..

1.1. Il ricorrente L.R. ricorda di aver eccepito all’udienza del 27/1/2000 la carenza di mandato del difensore del Comune perchè le Delib. Giunta Municipale (n. 34, n. 40 e n. 41), recanti autorizzazione della costituzione in giudizio, tutte immediatamente esecutive, avrebbero dovuto essere trasmesse al CO.RE.CO, a norma della L.R. n. 44 del 1991, art. 18 e ciò non era avvenuto, con conseguente decadenza, e aveva rilevato che le procure di cui alle comparse di risposta erano state rilasciate successivamente alla predetta decadenza.

Il ricorrente aggiunge poi che con ordinanza del 29/9/2000 il Tribunale aveva rilevato la decadenza delle delibere autorizzative alla resistenza in giudizio e ai sensi dell’art. 182 c.p.c., comma 2, aveva assegnato termine al Comune per l’emissione di nuovo valido atto autorizzativo.

La Delib. 13 dicembre 1998, n. 40, richiamata in epigrafe nell’atto di appello, dichiarata invalida, non autorizzava il Sindaco a proporre l’appello e a resistere all’appello del L.R.: il relativo vizio era rilevabile d’ufficio e avrebbe dovuto condurre alla dichiarazione dell’inammissibilità dell’appello e alla carenza di legittimazione in proposito del Sindaco.

1.2. Il motivo appare inammissibile sotto plurimi profili.

1.3. Il giudizio di appello è stato introdotto e si è svolto nel vigore del nuovo ordinamento delle autonomie locali, disciplinato dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la rappresentanza processuale del Comune, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, dovendo in tal caso la parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione (Sez. 5, n. 4583 del 15/02/2019, rv. 652719 – 01; Sez. 5, n. 34599 del 30/12/2019, Rv. 656464 – 01; Sez. lav. 19/6/2010 n. 13968).

Nulla deduce il ricorrente circa le previsioni statutarie del Comune di Brolo e tanto basta a rendere la censura non specifica e non autosufficiente.

1.4. In secondo luogo, il ricorrente non deduce e tantomeno dimostra di aver eccepito alcunchè nel corso del giudizio di appello, cosa che rende inammissibile la tardiva doglianza, trattandosi comunque di vizio autorizzativo sanabile, a tutto concedere, ex art. 182 c.p.c..

1.5. In terzo luogo, il ricorrente non si confronta, tacendo completamente al proposito, con il fatto che in seguito alla sua eccezione in primo grado, il Comune, fruendo di apposito termine ex art. 182 c.p.c., aveva depositato tre delibere autorizzativa di giunta municipale, tra le quali la n. 258 del 26/10/2000, che riproponeva appunto il tenore della Delib. n. 40, viziata dalla mancata approvazione dell’autorità tutoria.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L.R. n. 44 del 1991, art. 16 e art. 18, comma 7, L.R. n. 21 del 1985, art. 36, comma 4, lett. f), L.R. n. 5 del 1971, art. 23,L.R. n. 19 del 1972, art. 17 e dell’art. 112 c.p.c..

2.1. Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune di Brolo e condiviso dalla Corte di appello, il ricorrente sostiene che con la Delib. Commissariale n. 157 del 1993, non si era proceduto all’aggiudicazione dei lavori, già avvenuta con la precedente Delib. Consiglio Comunale 18 marzo 1992, n. 22, regolarmente approvata dall’organo tutorio, ma solo all’aggiornamento del prezzo relativo, stante il lungo tempo intercorso fra il 18/3/1992 e la stipula del contratto il 22/10/1993.

Il ricorrente rimprovera quindi alla Corte di appello di non aver opportunamente valutato che con la Delib. n. 157 del 1993, non erano stati aggiudicati i lavori ma era stato solamente aggiornato il corrispettivo di appalto, affidato a trattativa privata con la precedente Delib. Comunale 18 marzo 1992; pertanto l’annullamento della Delib. n. 157 del 1993 avrebbe inciso solo sull’aggiornamento del prezzo e non sull’aggiudicazione, sicchè, a prescindere dall’aggiornamento del prezzo, il contratto di appalto avrebbe dovuto essere ritenuto esecutivo e vincolante.

La Corte di appello, poi, aveva omesso ogni motivazione circa l’argomentazione accolta dal Tribunale secondo cui la stipula del contratto costituiva uno degli “effetti prodotti” dalla Delib. n. 157 del 1993, fatti salvi dalla L.R. n. 44 del 1992, art. 18, comma 7, in caso di successivo annullamento della Delib. dichiarata immediatamente esecutiva.

Si trattava pertanto di contratto non travolto dall’annullamento tutorio ma di risoluzione unilaterale della L. n. 2248 del 1865, ex art. 335, all. F, come del resto confermavano plurimi atti successivi dell’Amministrazione Comunale (Delib. Consiliare n. 34 del 1994, ordinanza sindacale n. 123 del 22/11/1994, Delib. Giunta Municipale 27 ottobre 1995, n. 456 e lo stesso ordine di sospensione lavori del 30/12/1993).

Il ricorrente conclude osservando che la sentenza n. 537/2002 della stessa Corte di appello di Messina, resa inter partes nella causa promossa dal L.R. per ottenere il pagamento del primo s.a.l. e passata in giudicato, aveva ritenuto che l’annullamento tutorio non avesse travolto gli effetti prodotti dalla Delib. Commissariale annullata perchè immediatamente esecutiva.

2.2. Come correttamente messo a fuoco dal Comune controricorrente nelle sue difese, il ricorrente rievoca la decisione di primo grado, ribaltata in appello, e ne sostiene la correttezza sul presupposto della ritenuta esistenza del contratto di appalto, nonostante l’intervenuto annullamento tutorio, dovendosi considerare salvi gli effetti prodotti nel periodo di efficacia provvisoria della Delib. di affidamento provvisoriamente esecutiva, a trattativa privata, dei lavori del lotto di completamento dell’appalto.

2.3. La Corte di appello si è conformata nel decidere a un risalente, ma mai smentito, arresto di questa Corte, secondo il quale l’operatività o meno del contratto per effetto della intervenuta o mancata approvazione tutoria funge da condicio juris che incide retroattivamente sulla efficacia del contratto e lo priva di ogni attitudine a costituire fonte di obbligazione per i contraenti (Sez. 3, n. 7529 del 08/07/1991, Rv. 472997 – 01).

E’ il caso di aggiungere che questa Corte successivamente ha ribadito tale principio, osservando che in tema di attività negoziale fra la P.A. ed il privato, il contratto stipulato, pur già perfetto nei suoi elementi costitutivi, richiede per la sua operatività l’approvazione dell’autorità di controllo, che agisce come condicio juris sospensiva dell’efficacia del negozio, con la conseguenza che il diniego dell’autorità tutoria lo rende non più eseguibile. Salvo trarne la conseguenza, tuttavia, che il comportamento dell’amministrazione, che abbia preteso l’adempimento della prestazione prima dell’approvazione del contratto stesso da parte della competente autorità di controllo, è suscettibile di dar luogo, ove tale approvazione non sia intervenuta, a responsabilità precontrattuale, secondo la previsione dell’art. 1337 c.c., in considerazione dell’affidamento ragionevolmente ingenerato nell’altra parte (Sez. 1, n. 23393 del 11/09/2008, Rv. 605071 01; Sez. 1, n. 9636 del 12/05/2015, Rv. 635222 – 01).

2.4. Il ricorrente non considera poi il complesso e tormentato regime normativo scaturente dalla L.R. Siciliana n. 10 del 1993.

La L.R. n. 21 del 1985, art. 36, lett. f), consentiva, a certe condizioni, l’affidamento dei lavori di realizzazione dei lotti successivi degli appalti pubblici alla stessa ditta affidataria del lotto precedente.

Il D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 9, recante attuazione della direttiva 89/440/CEE in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici (ora abrogato dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 256, con decorrenza 1/7/2006), introdusse la previsione di una serie di ipotesi in cui era possibile l’affidamento di appalti di lavori pubblici a trattativa privata, con o senza previa pubblicazione di un bando di gara.

In particolare, il comma 2, contemplava la possibilità di affidare gli appalti di lavori pubblici di cui all’art. 1, comma 1 (lavori pubblici per importo pari o superiore a 5 milioni di ECU, IVA esclusa, da parte di una amministrazione aggiudicatrice), a trattativa privata, senza pubblicazione preliminare di un bando di gara, tra l’altro, nel caso (contemplato dalla lettera e)) di nuovi lavori consistenti nella ripetizione di opere similari affidate all’impresa titolare di un primo appalto della medesima amministrazione aggiudicatrice, purchè tali lavori fossero conformi a un progetto di base oggetto di un primo appalto, attribuito secondo le procedure dei pubblici incanti, della licitazione privata o dell’appalto-concorso. In tal caso, il ricorso alla trattativa privata era consentito nel triennio successivo all’aggiudicazione dell’appalto iniziale e doveva essere previsto nel bando di gara relativo al primo appalto.

La L.R. Siciliana 12 gennaio 1993, n. 10, art. 40, sostituì della previgente L.R. n. 21 del 1985, art. 36, in tema di ricorso alla trattativa privata, disponendo al comma 1, che “Qualunque sia l’importo e l’oggetto del contratto, il ricorso alla trattativa privata, con o senza gara, per gli enti di cui all’art. 1 della presente legge, viene stabilito dall’organo competente secondo i rispettivi ordinamenti, ed è consentito nei casi indicati nel d.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 9, con le eccezioni e modifiche di cui al presente articolo”.

Tuttavia il comma 2, seconda parte, dello stesso articolo escludeva l’affidamento a trattativa privata per i nuovi lavori di cui al D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 9, comma 2, lett. e).

La legislazione regionale siciliana ha così inteso negare la possibilità di affidamento dei lavori pubblici a trattativa privata per nuovi lotti, prevista invece in linea generale dalla legislazione nazionale.

Vi sarebbe da dire, tuttavia, che il Decreto n. 406 del 1991, era stato introdotto per recepire le indicazioni di matrice comunitaria provenienti dalla Direttiva del Consiglio 89/440/CEE del 18/7/1989, volta a modificare la precedente direttiva 71/305/CEE in tema di procedure di aggiudicazione di pubblici appalti, modificandone l’art. 5 in tema di casi di ammissibilità del ricorso a procedure negoziate, con l’introduzione di disposizioni conformi a quelle del predetto D.Lgs. n. 406 del 1991. Potrebbe quindi in questa prospettiva dubitarsi del contrasto fra la legislazione regionale del 1993 e la legislazione nazionale e la direttiva comunitaria che aveva inteso attuare, in violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, secondo cui la potestà legislativa è esercitata dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.

Tale problematica è tuttavia ininfluente nel caso concreto per il fatto che la norma transitoria prevista dalla L.R. n. 10 del 1993, art. 77, comma 7, prevedeva che le disposizioni di cui alla L.R. 29 aprile 1985, n. 21, art. 36, comma 2, come sostituito dall’art. 40 della stessa legge, non si applicassero ai lavori già appaltati o concessi per i quali il bando di gara fosse stato già pubblicato alla data di sua pubblicazione.

Il divieto non operava quindi in tale ipotesi in cui il bando di gara attribuiva al vincitore la ragionevole aspettativa di ottenere a trattativa privata gli stralci successivi.

L’art. 77, comma 6, della citata L.R., per i lavori approvati e finanziati relativamente ai quali alla data di pubblicazione della legge il bando di gara, in caso di trattativa privata senza gara, non fosse ancora stato stipulato il contratto, imponeva che il progetto fosse sottoposto nuovamente all’esame dell’organo che sul medesimo ha espresso parere tecnico, ai soli fini dell’accertamento e dell’attestazione del livello di progettazione alla stregua delle previsioni dell’art. 20.

Nelle more, tuttavia, venne emanata la successiva L.R. Siciliana 1 settembre 1993, n. 25, il cui art. 152, introdusse varie modifiche alla L.R. 12 gennaio 1993, n. 10.

In particolare, per i lavori approvati e finanziati relativamente ai quali alla data di pubblicazione della L.R. n. 10 del 1993, in caso di trattativa privata senza gara, non fosse stato stipulato il contratto, venne previsto (comma 4) che entro trenta giorni dall’entrata in vigore della L. n. 25 del 1993, gli enti fossero tenuti alla stipula dei relativi contratti dandone immediata comunicazione all’ente finanziatore.

Nel caso l’Amministrazione regionale diede applicazione all’art. 152 sopra ricordato, procedendo però ad una nuova approvazione del progetto con aggiornamento dei prezzi, con la Delib. Commissariale n. 157 del 1993, cosa che evidentemente rese necessaria l’approvazione dell’autorità tutoria, negata con il provvedimento emesso il 1/0/1993 con il quale venne ritenuta illegittima la modifica, favorevole all’appaltatore, del corrispettivo di appalto, disposta con riferimento alla L.R. n. 21 del 1985, art. 36, comma 4.

2.5. La L.R. Siciliana 3 dicembre 1991, n. 44, art. 18, comma 7, quanto alle deliberazioni dichiarate immediatamente esecutive, annullate dall’organo di controllo, prevede che restino salvi gli effetti delle deliberazioni verificatisi prima della decadenza o della pronuncia di annullamento.

Tale clausola di salvaguardia viene interpretata estensivamente, in modo palesemente esorbitante ed erroneo, da parte del ricorrente, che vi scorge una persistente salvezza dell’efficacia dei contratti stipulati sulla base della provvisoria esecutività della Delib. autorizzativa, che svuoterebbe di ogni portata ed efficacia l’annullamento da parte dell’organo tutorio.

Al contrario, si deve ritenere che la norma citata miri solo a preservare gli effetti scaturenti dalla intervenuta esecuzione medio tempore del contratto travolto dall’annullamento della Delib. di affidamento, garantendo all’impresa esecutrice il diritto a percepire il corrispettivo dei lavori eseguiti nel periodo di provvisoria vigenza del contratto caducato, secondo una logica protettiva dell’esecuzione in buona fede del contratto apparente, non dissimile da quella sottesa al disposto generale dell’art. 1458 c.c., comma 1.

2.6. Il ricorrente insiste nel sostenere che nella fattispecie si trattava non già di contratto travolto dall’annullamento tutorio ma di risoluzione unilaterale della L. n. 2248 del 1865, ex art. 335, all. F, come del resto confermerebbero plurimi atti successivi dell’Amministrazione Comunale (Delib. Consiliare n. 34 del 1994, ordinanza sindacale n. 123 del 22/11/1994, Delib. Giunta Municipale 27 ottobre 1995, n. 456 e lo stesso ordine di sospensione lavori del 30/12/1993).

Il ricorrente allega (sub 5), ma non trascrive, nè sintetizza, nel proprio ricorso il contenuto della Delib. n. 34 del 1994 a cui attribuisce valore di dichiarazione di risoluzione unilaterale del contratto da parte del Comune, non ponendo questa Corte in condizione, sulla base dell’esame del solo atto di impugnazione, pertanto nè specifico nè autosufficiente, di valutare la fondatezza della censura.

Non è possibile a questa Corte, quindi, sulla base del ricorso, verificare la tesi del L.R. secondo cui con la Delib. in questione il Comune avrebbe risolto, ovvero rescisso, il contratto di appalto.

I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Sez. 5, n. 29093 del 13/11/2018, Rv. 651277 – 01)

Il ricorrente quindi per il principio di autosufficienza ha l’onere di trascrivere nel ricorso per cassazione il testo integrale, o la parte significativa del documento su cui il ricorso si fonda, al fine di consentire il vaglio di decisività (Sez. 5, n. 13625 del 21/05/2019, Rv. 653996 – 01; Sez. 3, n. 6735 del 08/03/2019, Rv. 653255 – 01; Sez. 5, n. 31038 del 30/11/2018, Rv. 651622 01).

Gli altri atti e documenti, successivi alla Delib. n. 34 del 1994, anch’essi descritti solo sommariamente, si limitano a riferirsi alla Delib. descrivendola come di risoluzione del contratto e non vivono quindi di forza autonoma.

2.7. Ciò assorbe l’ulteriore rilievo che quand’anche alla Delib. 24 marzo 1994, n. 34, notificata il 16/6/1994, fosse stata inequivocamente configurata come atto di rescissione/risoluzione del contratto di appalto, e non quale atto ricognitivo della caducazione conseguente alla mancata approvazione tutoria della Delib. commissariale autorizzativa, tale manifestazione di volontà sarebbe stata comunque ininfluente perchè diretta a risolvere un rapporto contrattuale già caducato ipso jure.

Nè, per vero, si comprende quale sarebbe il contratto vigente fra le parti e risolto in tal modo, visto che l’unico contratto stipulato è stato quello del 22/10/1993, recante i corrispettivi fissati con la Delib. Autorizzativa 15 ottobre 1993, non approvata dal CORECO, mentre la prima Delib. 18 marzo 1992, non ha mai dato luogo ad alcun contratto inter partes, che, per giunta l’a.t.i. non sarebbe stata disposta a stipulare alle condizioni economiche ivi previste, senza le maggiorazioni di prezzo accordate con la Delib. commissariale divenuta inefficace, come puntualizza il Comune controricorrente e sostanzialmente ammette il ricorrente (pag.4, p. 6, primo periodo, del ricorso).

2.8. Occorre infine valutare l’eccezione di giudicato esterno, proposta dal ricorrente, che sarebbe asseritamente rappresentato dalla sentenza n. 537/2002 della stessa Corte di appello di Messina resa inter partes nella causa promossa dal L.R. per ottenere il pagamento del primo s.a.l. e passata in giudicato; secondo il ricorrente la Corte di appello aveva ritenuto che l’annullamento tutorio non avesse travolto gli effetti prodotti dalla Delib. commissariale annullata perchè immediatamente esecutiva.

Il ricorrente riporta un brano della sentenza in questione, del tutto decontestualizzato, che appare perfettamente compatibile con la lettura della pronuncia offerta dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, laddove è stato ritenuto che l’applicazione ai lavori eseguiti dall’a.t.i. di cui al primo stato di avanzamento lavori dei corrispettivi previsti nel contratto del 22/10/1993 e nella Delib. autorizzativa, provvisoriamente esecutiva, del 15/10/1993, pur travolti dal successivo annullamento tutorio, fosse perfettamente corretta ai sensi della L.R. Siciliana 3 dicembre 1991, n. 44, art. 18, comma 7, visto che si trattava di preservare gli effetti scaturenti dalla intervenuta esecuzione medio tempore del contratto travolto dall’annullamento della Delib. di affidamento, garantendo all’impresa esecutrice il diritto a percepire il corrispettivo dei lavori eseguiti nel periodo della sua provvisoria vigenza.

La Corte di appello ha semplicemente e correttamente stabilito che i lavori già eseguiti prima dell’annullamento dovessero essere remunerati secondo i parametri previsti nel contratto venuto meno.

3. Il terzo e quarto motivo sono connessi e in parte sovrapposti e debbono essere affrontati quindi congiuntamente.

3.1. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa pronuncia su di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Il ricorrente osserva che nella liquidazione delle somme in favore dell’impresa il Tribunale aveva incluso nell’importo di cui al punto n. 1), attribuito a titolo di risarcimento dei danni, anche il pagamento di materiali utili esistenti in cantiere nella misura richiesta di Euro 1.549,37 e i danni da illegittima sospensione dei lavori dal 30/12/1993 fino alla comunicazione di avvenuta risoluzione, nella misura di Euro 28.953,51.

Il Tribunale inoltre aveva attribuito con le voci di cui successivi n. 2) e n. 3) alcune somme direttamente connesse a lavori eseguiti e regolarmente collaudati (e cioè gli interessi per ritardato pagamento del 1 s.a.l. e il saldo lavori e interessi).

Tali importi non erano neppure stati contestati dal Comune di Brolo con il conseguente vizio di ultrapetizione e comunque avrebbero dovuto essere confermate quali conseguenze dell’esecuzione del contratto prima dell’annullamento tutorio e prima della comunicazione della risoluzione unilaterale.

3.2. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c..

Diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello, che aveva ritenuto che le domande del L.R. fossero tutte superate dall’esclusione dell’esistenza di un valido rapporto contrattuale, tale conclusione poteva valere solo per la domanda sub A) e non per quella sub B) (riguardante il risarcimento dei danni per l’immobilizzo dell’escavatore) e quelle sub C),D) E) relativi agli interessi corrispettivi o compensativi sulle somme già liquidate dal Giudice di primo grado o liquidabili in forza dei motivi di appello.

3.3. Le censure, al di là dell’impropria etichetta formale, visto che la domanda dell’attore è stata integralmente respinta, con esclusione quindi dell’omessa pronuncia lamentata, e che non vi è stato, nè risulta ritualmente lamentato, l’omesso esame di un fatto storico decisivo, denunciano comunque anche la violazione di legge per non aver la Corte di appello tenuto conto della L.R. n. 44 del 1991, art. 18, comma 7, quanto ad alcune voci oggetto di liquidazione in primo grado e ritenute tutte travolte per effetto del venir meno del rapporto contrattuale.

3.4. Orbene, le ricordate statuizioni dell’ordinanza definitoria di primo grado sono state in parte travolte per effetto dell’accoglimento dell’appello dispiegato dal Comune in punto automatica caducazione del contratto di appalto in conseguenza dell’annullamento da parte dell’autorità tutoria della Delib. Commissariale n. 157 del 1993, che non lascia spazio a quelle pretese che al contratto stesso si ricollegavano, come evidentemente deve ritenersi per il risarcimento danni da sospensione lavori.

Nè appare consentito al ricorrente invocare, come fa a tal proposito a pagina 33 del ricorso, la tutela aquiliana ex art. 2043 c.c., senza dimostrare di aver proposto ritualmente tale domanda nel giudizio di merito, cosa per vero esclusa dalla sentenza impugnata e dal suo stesso ricorso.

3.5. Analogo discorso vale per la pretesa di pagamento dei materiali utili esistenti in cantiere, al qual proposito neppure viene dedotto che essi siano stati appresi dalla Pubblica Amministrazione.

3.6. Diversamente occorre però ragionare per la voce di cui al punto 2) dell’ordinanza definitoria che attiene agli interessi rivendicati dall’impresa per il ritardato pagamento del primo s.a.l. (punto 1H) delle richieste attoree), e per la voce di cui al punto 3) dell’ordinanza definitoria, relativa al saldo dei lavori eseguiti, al netto dell’acconto e relativi interessi (punto 2) delle conclusioni attoree) che evidentemente rientrano nella tutela interinale accordata dalla L.R. n. 44 del 1991, art. 18, comma 7, all’appaltatore che abbia eseguito opere in forza di contratto annullato ex post per mancata approvazione tutoria, da regolarsi sulla base della fictio di validità e vigenza del contratto annullato.

3.7. Al proposito non convince l’obiezione del controricorrente che vorrebbe tali pretese consumate per la loro mancata deduzione nel giudizio sfociato nella sentenza 537/2002, visto che tali domande sono state proposte proprio nel presente giudizio, accolte in primo grado ed erroneamente rigettate con la sentenza di riforma in appello.

3.8. Il motivo in parte qua, merita quindi accoglimento.

3.9. Resta da esaminare la pretesa sub B) delle conclusioni di appello relativa ai danni richiesti con la riserva n. 4 per l’immobilizzo dell’escavatore sulla scarpata in taglio, limitata (conclusione n. 1), lettera I) di primo grado) ai danni maturati sino alla rimozione coattiva di escavatore e martellone fatta valere separatamente in altro giudizio.

Questa domanda non è stata accolta dal Tribunale con l’ordinanza definitoria ex art. 186 c.p.c. e ad essa si riferiva il terzo motivo di appello del L.R..

Sul punto la risposta della Corte di appello è del tutto fuori fuoco perchè riconduce anche la predetta richiesta risarcitoria alla richiesta di “riconoscimento di ulteriori danni derivanti dal recesso unilaterale del Comune”: il che non è, perchè la pretesa era fondata sul comportamento tenuto dall’Amministrazione nel non consentire l’allontanamento del mezzo richiesto dall’impresa e non si fondava affatto sul contratto annullato.

In ogni caso, anche volendo scorgere un labile nesso fra la presenza dei mezzi sul teatro di cantiere e il contratto intercorso, non si può negare che si verteva in tema di effetti prodotti dal contratto nel periodo di sua provvisoria vigenza, riconducibili alla tutela della L.R. n. 444 del 1991, ex art. 18, comma 7.

3.10. Anche sul punto la sentenza impugnata merita la cassazione.

4. Alla pronuncia consegue il rinvio alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, respinti i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

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