Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19827 del 09/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/08/2017, (ud. 11/05/2017, dep.09/08/2017),  n. 19827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente –

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. APRILE Ercole – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27589-2012 proposto da:

D.L.T., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DELLA

LIBERTA’ 10, presso lo studio dell’avvocato GEMMA PATERNOSTRO,

rappresentato e difeso dall’avvocato OLINTO RAFFAELE VALENTINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BARI in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 37/2012 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 20/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/05/2017 dal Consigliere Dott. DIOTALLEVI GIOVANNI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.L.T. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento relativo all’anno 2004 con il quale l’Ufficio aveva disposto la ripresa a tassazione di un maggior reddito d’imposta a seguito di accertamento analitico – induttivo.

Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso con sentenza n. 71/15/2011, ritenendo che lo scostamento del 20% rispetto ai ricavi dichiarati non costituisse una grave incongruenza, tale da legittimare l’accertamento dell’Ufficio.

Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello L’Agenzia delle Entrate, ribadendo le condizioni che avrebbero confermato la correttezza dell’accertamento. Chiedeva la riforma della sentenza di primo grado.

Si costituiva il contribuente chiedendo il rigetto dell’appello.

La CTR della Puglia, con la sentenza n. 37/11/2012 accoglieva il ricorso in appello dell’Agenzia delle Entrate, determinando in Euro 15.000,00 i maggiori ricavi attribuibili al contribuente. Secondo la CTR il ricorso al metodo induttivo utilizzato dall’Ufficio era stato pienamente legittimo in relazione al comportamento antieconomico dell’imprenditore reiterato in più periodi d’imposta consecutivi (triennio 2004/2006) in base al quale l’Ufficio può presumere maggiori ricavi con spostamento dell’onere della prova sulla parte privata, nonchè con riferimento agli investimenti effettuati e alle spese personali sopportate dall’imprenditore.

La parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, parzialmente sovrapponibili, al quale ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in relazione alla ritenuta antieconomicità dell’impresa.

Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 lett. D), in merito alla quantificazione di maggior ricavi senza motivazione;

Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 lett. D), avverso le incongruenze rilevate in base all’accertamento disposto;

Con il quarto motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. sempre in relazione al tipo di accertamento e alla ritenuto inversione dell’onere della prova.

Ritiene il Collegio che i motivi, per la loro parziale sovrapponibilità, possano essere trattati unitariamente.

Ciò premesso, è opportuno ribadire che il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito nella L. n. 427 del 1993, prevede, al comma 3, che “Gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e successive modificazioni, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 – bis del presente decreto”.

Orbene, la censura relativa in particolare al primo motivo, è palesemente inammissibile, appuntandosi sulla questione relativa agli studi di settore e della assenza dei presupposti di legge per accedere all’accertamento in via induttiva che non hanno costituito la ratio decidendi della decisione impugnata, orientata a valorizzare gli elementi in concreto accertati dall’Ufficio e, segnatamente, lo scostamento del 20% dei ricavi dichiarati rispetto a quelli previsti, che però non costituiscono da soli la presunzione semplice della grave incongruenza, ma che in base alla loro reiterazione risultante dalla verifica, concretizzano un comportamento antieconomico che integra una presunzione grave precisa e concordante. Tale circostanza, insieme alle spese per il personale e agli investimenti effettuati, hanno fatto correttamente presumere la non veridicità dei ricavi dichiarati, a seguito della verifica contabile compiuta.

Parimenti inconducente rispetto alla decisione impugnata appare dunque il richiamo a precedenti di questa Corte che si sono occupati di fattispecie nelle quali l’Ufficio aveva fatto riferimento a ricavi stimati sulla base degli studi di settore, e che peraltro la Commissione di primo grado ha rivisitato criticamente, rideterminando i maggiori ricavi con una diminuzione di Euro 15.000.

Orbene, rispetto a tali valutazioni le censure esposte nel primo, secondo e terzo motivo paiono non cogliere il ragionamento esposto dalla CTR. Il giudice d’appello ha invero mostrato di fare buon governo dei principi espressi da questa Corte secondo i quali gli studi di settore costituiscono, come si evince dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, uno degli strumenti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile, il reddito reale del contribuente: tale accertamento, poi, può essere presuntivamente condotto anche sulla base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, come è avvenuto nel caso in esame, a prescindere, quindi, dall’analisi induttiva del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 commi 2 e 3, (Cass. n. 3197 del 11/02/2013) qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente.

Con riferimento anche al quarto motivo di ricorso, in tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (cfr. Cass. n. 7871 del 18/05/2012) e ciò indipendentemente dalla riscontrata regolarità formale delle scritture contabili, atteso che la grave incongruità o abnormità del dato economico esposto in dichiarazione priva le stesse scritture contabili di qualsiasi attendibilità (cfr. Cass. n. 20201 del 24/09/2010; id. Cass. n. 26167 del 06/12/2011, secondo cui in tema di IVA, la circostanza che un’impresa commerciale dichiari per più annualità un volume di affari di molto inferiore agli acquisti ed applichi modestissime percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce una condotta commerciale anomala, di per sè sufficiente a giustificare, da parte dell’Amministrazione, una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54; id. n. 3197 del 11/02/2013; id. Cass. n. 6929 del 20/03/2013; id. Cass. n. 14941 del 14/06/2013; Cass. n. 26508/2014.

In definitiva, la CTR ha dato conto del fatto che l’accertamento svolto dall’Ufficio, al di là della regolarità formale dei dati contabili, si è basato su una verifica concreta della gestione dell’attività evidenziando una grave distonia fra il ricavo dichiarato dalla parte contribuente e quello emerso dalla contabilità, chiaramente esposta nell’avviso di accertamento comunicato alla parte contribuente, salvaguardando in modo esaustivo il diritto della parte contribuente a conoscere le motivazioni poste a base della verifica e della ripresa a tassazione. L’utilizzo di tali elementi giustificava, dunque, pienamente il ricorso al metodo induttivo.

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere respinto. La natura della controversia e i fatti oggetto della medesima giustificano la compensazione delle spese tra le parti.

PQM

 

La Corte, respinge il ricorso. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2017

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