Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19826 del 12/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/07/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 12/07/2021), n.19826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9781/2014 R.G. proposto da:

D.P., rappresentato e difeso dagli Avvocati Oreste

Cantillo e Guglielmo Cantillo in virtù di procura speciale a

margine del ricorso, presso gli stessi elettivamente domiciliato in

Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 17;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 26/2/2013 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, depositata

in data 6 marzo 2013;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 9 marzo 2021

dal Consigliere Dott. Corradini Grazia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 25/8/2010 la Commissione Tributaria Provinciale di Salerno rigetto parzialmente il ricorso proposto da D.P., titolare di una farmacia, contro l’avviso di accertamento con cui la Agenzia delle Entrate, sulla base di indagini bancarie sui conti correnti intestati al ricorrente e previa attivazione del contraddittorio, aveva rettificato i ricavi ed il volume di affari ai fini IVA per l’anno di imposta 2005 e richiesto in conseguenza i maggiori tributi e gli accessori.

Il contribuente aveva dedotto con il ricorso l’omessa motivazione dell’accertamento e nel merito che già in sede di contraddittorio aveva rilevato come avesse usato il conto corrente della farmacia anche per movimentazioni personali estranee alla attività della farmacia e la Commissione Tributaria Provinciale, respinta preliminarmente l’eccezione di carenza di motivazione dell’atto impugnato, nel merito accolse la tesi del ricorrente ed escluse quindi le movimentazioni bancarie che erano state giustificate e provate con la documentazione riproposta in sede di accertamento con adesione e nel giudizio a corredo della natura personale delle stesse, mentre per il resto rigettò il ricorso ritenendo che per vincere la presunzione derivante dalle movimentazioni evincibili dai conti correnti bancari il contribuente dovesse fornire una analitica e dimostrata estraneità dei singoli movimenti dalla tassazione, il che non era avvenuto per la maggior parte dei movimenti.

Investita dall’appello del contribuente che ripropose la questione della genericità della motivazione dell’accertamento basata su mere illazioni di ricavi che erano invece estranei alla attività di impresa e che spettasse all’Ufficio, nel caso di uso promiscuo del conto, dimostrare i maggiori redditi, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, Sezione distaccata di Salerno, con sentenza n. 26/2/2013, rigettò l’appello e condannò l’appellante alle spese ritenendo che la sentenza di primo grado avesse correttamente preso in esame le singole poste ed escluso dai recuperi i prelievi giustificati per spese personali, mentre per il resto il contribuente nulla aveva provato, pur avendo l’onere di dimostrare posta per posta la natura delle spese effettuate e di avere effettuato prelievi aventi finalità diverse da quelle attinenti alla sua professione.

Contro la sentenza di appello depositata in data 6.3.2015, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione.ntribuente, con atto notificato in data 16/24 aprile 2014, e successiva memoria, affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per omessa motivazione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, poiché la motivazione della sentenza poteva ritenersi apparente per apodittica totale condivisione, per relationem, delle statuizioni della sentenza di primo grado senza autonoma valutazione degli aspetti di fatto e di diritto della controversia, così da rendere impossibile ogni controllo sulla esattezza e logicità del ragionamento.

2. Con il secondo motivo si duole, in via subordinata, di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c. ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la sentenza impugnata completamente obliterato i quattro specifici motivi di appello proposti dal contribuente – con riguardo: alla nullità dell’accertamento perché basato su illazioni indimostrate; per non avere considerato che i conti correnti concernenti la attività di impresa erano intrattenuti con due diversi istituto di credito diversi da quelli considerato nell’avviso; per avere violato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, ignorando le osservazioni proposte dal contribuente già nella fase del contraddittorio; e per non avere considerato che il contribuente già alla data del 1.1.2015 possedeva una disponibilità nel conto corrente della Banca Nazionale del Lavoro ampiamente sufficiente a coprire le uscite contestate – limitandosi ad affermare genericamente che il contribuente non aveva dimostrato di avere effettuato prelievi aventi finalità diverse da quelle attinenti alla sua professione.

3. Con il terzo motivo lamenta, in ulteriore subordine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti consistenti negli elementi dedotti con il motivo precedente.

4. Con il quarto motivo deduce, con motivo ulteriormente subordinato, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poiché il contribuente aveva vinto la presunzione di imputazione a ricavi dei versamenti e prelevamenti relativi ai conti correnti a lui intestati offrendo la prova contraria consistente nella indicazione dei dati identificativi del beneficiario e la causale dell’operazione, mentre la Agenzia delle Entrate aveva ingiustificatamente escluso che si trattasse di operazioni non imponibili.

5. Con il quinto ed ultimo motivo sostiene, infine, la violazione della L. 27 luglio 2002 n. 212, art. 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perché, sempre in una prospettiva subordinata, la motivazione dell’accertamento doveva essere integrata anche sotto il profilo probatorio con le ragioni per le quali venivano disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, mentre nella specie l’Ufficio le aveva ritenute insufficienti senza fornire alcuna motivazione al riguardo ed aveva poi omesso la distinzione tra azienda e famiglia rendendo il risultato finale inattendibile.

4. Il ricorso è infondato.

5. Il primo motivo con cui si deduce omessa motivazione o motivazione apparente della sentenza d’appello con conseguente nullità della stessa non si confronta con la motivazione offerta dal giudice d’appello, il quale, a fronte della sostanziale riproposizione in appello dei motivi già posti in sede di ricorso, ha motivato per relationem alla sentenza del primo giudice, che ha condiviso e fatto propria, aggiungendo peraltro che il primo giudice aveva analiticamente ed in modo corretto esaminato la vicenda escludendo i prelievi per il complessivo importo di Euro 16.670,79, per i quali il contribuente aveva fornito la prova della destinazione ad uso personale dei movimenti bancari collegati, mentre per gli altri non aveva addotto alcuna prova, pur essendo suo onere quello di dimostrare posta per posta la natura delle spese effettuate e di avere effettuato prelievi aventi finalità diverse da quelle attinenti alla sua attività.

5.1. Posto che si trattava di sentenza confermativa di quella di primo grado era in primo luogo consentita la cd. motivazione per relationem, come d’altro riconosce anche il ricorrente, mentre, in tema, in particolare, di processo tributario, è nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61 nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della Commissione Tributaria Regionale solo qualora sia completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (v. per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 24452 del 05/10/2018 Rv. 650527 01); però nella specie il giudice d’appello non si è limitato ad aderire alla sentenza di primo grado, bensì ha preso in esame autonomamente i motivi di appello, pur se riproduttivi di quelli del ricorso iniziale, dando atto del procedimento logico attraverso cui li ha ritenuti infondati, con riguardo al principale argomento per cui non erano sufficienti le deduzioni del ricorrente il quale avrebbe invece dovuto dimostrare, posta per posta, la natura delle spese effettuate e le finalità delle stesse, diverse da quelle attinenti all’esercizio della gestione della farmacia, il che non era avvenuto, non avendo il contribuente portato, neppure in appello, nuove prove.

5.2. Non si può quindi parlare di motivazione inesistente ovvero apparente come assume il ricorrente, poiché dalla stessa, come sopra trascritta, si evince che la sentenza ha affrontato tutti i temi posti dalla causa e dai motivi di appello con riguardo alla prova presuntiva derivante dalle movimentazioni finanziarie che doveva essere vinta dalla prova contraria che avrebbe dovuto portare il contribuente in modo analitico in relazione ai singoli movimenti (posta per posta), non essendo sufficienti mere allegazioni, in mancanza di vere e proprie prove non offerte neppure in appello, mentre già in primo grado erano stati esclusi dai pretesi ricavi quei movimenti per i quali il contribuente aveva dimostrato che erano estranei alla attività della impresa commerciale della farmacia (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15884 del 26/06/2017 Rv. 644726 – 01; Sez. 5 -, Sentenza n. 24452 del 05/10/2018 Rv. 650527 – 01; Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 20883 del 05/08/2019 Rv. 654951 – 01).

6. Anche il secondo ed il terzo motivo, con cui si deduce omessa pronuncia con riguardo ai motivi di appello, ovvero omesso esame di fatti decisivi per il giudizio consistenti in quelli dedotti con l’atto di appello – a parte la inammissibilità discendente dalla astratta incompatibilità tra le due censure che non risente della modifica della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (applicabile nella specie) ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b) (conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), anche con riferimento, peraltro, all’impugnazione delle sentenze emesse dalle Commissioni tributarie regionali (per l’applicabilità della modifica di cui innanzi anche all’impugnazione delle sentenze emesse dalle CTR si vedano, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629829-01, e Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8054, Rv. 629832-01) – sono comunque infondati, poiché, in primo luogo l’omessa pronuncia consiste proprio nella carenza assoluta di una decisione, mentre nella specie una pronuncia vi è stata, come già rilevato, sia per relationem alla sentenza di primo grado che con autonoma valutazione in sede di appello.

6.1. L’omesso esame di fatti decisivi riguarda poi i fatti storici e non gli argomenti, per cui la pretesa violazione di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – tenuto conto del fatto che è applicabile nella specie, ratione temporis, la nuova formulazione risultante dalla modifica di cui al D.L. n. 13 del 2012, convertito dalla L. n. 43 del 2012, poiché la sentenza di appello è stata pubblicata in data 6.3.2013 – si pone in contrasto con l’indirizzo di questa Corte (Cass. n. 21152/14), secondo cui tale disposizione, già nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate. La censura si s’infrange ora anche contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis (e cioè con riguardo al testo novellato ancora nel 2012 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonché, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez.un. 19881 del 2014). E, sul punto, ha ulteriormente precisato questa Corte (Cass., sez. un., 10 luglio 2015, n. 14477), che la nuova previsione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. legittima solo la censura per l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non essendo invece più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione (v. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02).

6.2. Solo incidentalmente si rileva poi che, così come sottolineato correttamente dalla Agenzia delle Entrate nelle controdeduzioni, le questioni relative alla destinazione di altri conti alla attività della farmacia ed alla presenza di disponibilità presso un conto idoneo a giustificare le uscire contestate non erano state dedotte con il ricorso di primo grado ed erano quindi inammissibili; né il ricorrente ha dimostrato di averle dedotte non avendo trascritto la parte del ricorso iniziale con cui le avrebbe proposte.

7. il quarto motivo deduce erroneamente violazione di legge mentre nel corpo del motivo sostiene invece che vi sarebbe stata una erronea valutazione delle prove dedotte.

7.1. Il vizio di violazione di legge implica infatti necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, al contrario, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, come nel caso in esame in cui la censura non pone un problema interpretativo della norma bensì di una erronea interpretazione dei fatti e delle prove dedotte in causa per avere il giudice di appello ritenuto che mancasse la prova della giustificazione dei versamenti e dei prelevamenti pur essendo stata offerta in causa tale prova, ad avviso del ricorrente, attraverso la indicazione delle causali dei movimenti. Si tratta in tal caso di una richiesta di rivalutazione delle prove dedotte in causa che non può essere richiesta al giudice di legittimità, essendo di esclusiva competenza del giudice di merito, il quale, peraltro, ha fatto corretta applicazione di principi giuridici consolidati, dei quali non dà conto il ricorrente, per cui la presunzione D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 32, consente all’Amministrazione finanziaria di riferire “de plano” ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, salva la prova contraria da parte di costui (v. per tutte Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 10249 del 26/04/2017 Rv. 644098 – 01). Al contrario, la tesi del ricorrente per cui le risultanze della contabilità imporrebbero all’Ufficio di fornire la prova della destinazione delle movimentazioni, in caso di uso promiscuo dei conti anche per finalità personali del titolare dell’impresa, non trova alcun riscontro normativo ed è comunque erronea poiché in tema di accertamenti bancari sui conti correnti del contribuente opera la presunzione di ricavi, a fronte della quale il contribuente deve fornire una prova analitica – che non può essere integrata da formule generiche come quella di riversamento in conto di contanti prelevati in eccesso – della natura delle movimentazioni sui propri conti in modo da superare la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32.

7.2. In ogni caso la questione proposta in sede di ricorso per cassazione come violazione di legge è erronea, poiché, premesso che il ricorrente svolgeva attività di gestione di una farmacia, si applica il principio giurisprudenziale consolidato per cui – al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente – nel caso di attività di impresa, detta presunzione opera sia con riferimento ai versamenti che ai prelevamenti risultanti dalle verifiche effettuate sulle movimentazioni del conto corrente (v., da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 30786 del 28/11/2018 Rv. 651566 – 01); cosicché, anche in tal caso, spetta al titolare del reddito di impresa dimostrare, con prova analitica la eventuale natura “privata” delle singole operazioni.

7.3. Il contribuente ha invece soltanto dedotto, genericamente che si trattava di “restituzione parziali di prestiti” ovvero di “versamenti derivanti da ripetuti prelievi dal conto corrente” e cioè apparenti e generiche giustificazioni prive di qualsiasi riscontro documentale, che non potevano integrare la prova contraria prevista dalla legge.

8. E’ infine infondato anche il quinto motivo, attinente alla pretesa omessa motivazione dell’accertamento, poiché ad esso aveva già dato ribosta il giudice di primo grado, come riconosce il contribuente a pagina 3 del ricorso, alla quale ha aderito il giudice di appello ed inoltre lo stesso ricorrente ha riportato a pagina 2 del ricorso il contenuto della motivazione dell’accertamento che era certamente sufficiente, poiché, anche con riguardo alla sola parte trascritta dal ricorrente, riportava le norme di legge applicate, gli importi recuperati a tassazione e contestava al contribuente l’omessa dichiarazione dei ricavi sulla scorta delle acclarate movimentazioni bancarie, assumendo che non era stata dimostrata l’inclusione delle operazioni nella dichiarazione né che esse si riferivano ad operazioni non imponibili, il tutto a seguito di contraddittorio che si era articolato fra le parti in ben tre incontri e nel corso del quale il contribuente aveva spiegato le sue ragioni, ritenute insufficienti dall’Ufficio in sede di motivazione dell’accertamento (pag. 15 del ricorso).

8.1. Con il ricorso il contribuente sostiene che il difetto di motivazione deriverebbe dalla mancata risposta alle contestazioni mosse in sede di contraddittorio, ma, a parte il rilievo che ciò non risulta dedotto con il ricorso iniziale e difetta di autosufficienza, in ogni caso la risposta alle argomentazioni svolte in sede di contraddittorio vi è stata e non sarebbe causa di nullità. Infatti, in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni addirittura le osservazioni del contribuente L. n. 212 del 2000 ex art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (v. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8378 del 31/03/2017 Rv. 643641 – 01). Non è poi vero neppure che la motivazione dell’accertamento debba contenere le prove, come sostiene il contribuente, poiché è al contrario consolidata la interpretazione giurisprudenziale per cui, qualora la motivazione dell’avviso di rettifica rinvii a processi verbali della Guardia di Finanza ovvero ad altri atti, come le indagini finanziarie, individuando in tal modo la causa giustificativa della pretesa impositiva, è requisito formale di validità dell’atto il richiamo a quegli elementi (già conosciuti dal contribuente in occasione del contraddittorio) che si distingue da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 6524 del 09/03/2020 Rv. 657410 – 01).

10. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e – fermo restando il carico delle spese disposto dal giudice del merito – il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo in favore dell’Agenzia delle Entrate. Sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, essendo stato il ricorso notificato il 22 aprile 2014.

PQM

La Corte: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della Agenzia delle Entrate che liquida in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2021

 

 

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