Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19825 del 28/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/09/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 28/09/2011), n.19825

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

INTESA SANPAOLO S.P.A. (quale incorporante il SANPAOLO IMI S.P.A.),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio

dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.L., + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FLAMINIA

195, presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, rappresentati e

difesi dall’avvocato FERRARO GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

N.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3071/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/08/2006 r.g.n. 1645/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato TOSI PAOLO;

udito l’avvocato GIUSEPPE FERRARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DOTT.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 3071/05, depositata il 3 agosto 2006, rigettava l’appello proposto da San Paolo IMI spa (già Banco di Napoli spa) nei confronti di L. C. ed altri, in ordine alla sentenza del Tribunale di Napoli del 27 giugno 2001.

2. Gli appellati adivano il Tribunale chiedendo la condanna del Banco di Napoli al pagamento delle somme dovute a titolo di perequazione, secondo quanto riconosciuto dalla sentenza del Pretore del lavoro di Napoli del 31 ottobre -1 novembre 1994, che aveva dichiarato il loro diritto, quali pensionati del suddetto Banco di Napoli, andati in pensione prima del 31 dicembre 1990, a conservare il sistema di variabilità delle pensioni così come preesistente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 503 del 1992.

Tanto in ragione della delibera del Banco di Napoli del 17 gennaio 1983, che prevedeva ad integrazione del sistema perequativo legale vigente, un aumento annuale degli assegni di pensione di un importo pari alle percentuali (100%, 90%, 80%, a seconda dell’anzianità contributiva) della differenza tra il trattamento complessivo in godimento al 1 gennaio e quello che sarebbe spettato, a parità di condizioni, in caso di cessazione del servizio entro la stessa data.

3. Per la cassazione della suddetta sentenza resa in grado di appello ricorre Intesa San Paolo spa (quale incorporante San Paolo Imi spa), nei confronti di C.L., + ALTRI OMESSI prospettando tre motivi i ricorso.

4. Resistono con controricorso i suddetti intimati, e, quali eredi di V.P., in vece dello stesso, D.C., P.M., P.A. e Pa.Ad..

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 414 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4).

Ad avviso della ricorrente, la Corte d’Appello sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione in quanto controparte non avrebbe formulato specifica domanda di accertamento del diritto ai mantenimento degli aumenti perequativi già maturati nel trattamento pensionistico successivo al luglio 1996 e non avrebbe esposto, altresì, le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della domanda medesima, cioè delle pretese successive al 1996, con la conseguente nullità, ex art. 414 c.p.c., della domanda.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore:

se costituisce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 414 c.p.c. la pronuncia di ufficio sulla sussistenza del diritto al mantenimento degli aumenti perequativi maturati al 26 luglio 1996, senza che i pensionati abbiano formulato, nel giudizio di quantificazione, alcuna specifica domanda di accertamento di tale diritto, come richiesto dall’art. 112 c.p.c., e senza che abbiano esposto gli elementi di diritto fondativi della domanda medesima, come richiesto dall’art. 414 c.p.c. 1.1. Il motivo non è fondato; pertanto, lo stesso deve essere rigettato.

Osserva il Collegio che è pacifico in giurisprudenza (si v., da ultimo, Cass., sentenza n. 455 del 2011) il principio che il giudice di merito ha il potere – dovere di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione;

tale potere incontra peraltro il limite del rispetto dell’ambito delle questioni proposte in modo che siano lasciati immutati il petitum e la causa petendi, senza l’introduzione nel tema controverso di nuovi elementi di fatto.

E pertanto il vizio di ultra o extra petizione ricorre allorchè il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato) ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato). Ne consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato.

Tale situazione non si è verificata nel caso di specie, ove si osservi che la domanda introduttiva del giudizio aveva ad oggetto la condanna del Banco di Napoli al pagamento delle somme dovute a titolo di perequazione in ragione di quanto statuito dal Pretore di Napoli con la citata sentenza del 31 ottobre – 7 novembre 1994.

Non è dunque ravvisabile il prospettato vizio, tenuto conto che il giudice di appello ha proceduto, in conformità ai principi sopra richiamati, ad una legittima interpretazione della domanda oggetto del giudizio, assistita dagli elementi fondativi della medesima.

2. Con il secondo motivo di impugnazione è prospettata violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione alla L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 55 (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il giudice: di appello avrebbe attribuito una erronea portata alla norma di interpretazione autentica della citata L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 55 ed ai suoi rapporti con il giudicato, rendendo il trattamento perequativo dei dipendenti del Banco di Napoli, andati in pensione prima del 31 dicembre 1990, sostanzialmente indifferente alla esistenza o meno della suddetta norma di interpretazione autentica.

Il quesito di diritto è stato così formulato: se costituisce violazione o falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., in relazione alla L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 55 l’avere statuito il mantenimento degli aumenti di pensione maturati al 26 luglio 1996 per il periodo successivo a tale data procedendo alla determinazione del rateo di pensione senza tenere conto del quadro normativo vigente al momento di attrizione della variazione.

2.1. Il motivo non è fondato.

Sul problema della perequazione automatica delle pensioni integrative del personale del Banco di Napoli si è formata una giurisprudenza costante, sulla base della quale i lavoratori collocati a riposo prima del 31 dicembre 1990 conservavano il diritto all’integrazione, diritto che sopravvive alla L. n. 421 del 1992 ed al D.Lgs. n. 503 del 1992.

Tale regime perequativo terminava il 26 luglio 1996: in tal senso, ex multis, Cass., S.U., sentenze n. 9023 e n. 9024 del 2001, cui la giurisprudenza successiva si è uniformata.

Con la L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 55, si è stabilito che la normativa sopra richiamata doveva intendersi nel senso che la perequazione automatica delle pensioni, come prevista dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11, si applicava al complessivo trattamento percepito dai pensionati di cui al D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3.

La suddetta norma di interpretazione autentica ha superato il vaglio di legittimità costituzionale, sollecitato da questa stessa Corte di Cassazione sotto diversi profili, come da sentenza della Corte costituzionale n. 362 del 2008, dovendosi escludere una pur limitata sopravvivenza del sistema di perequazione automatica.

E’ noto peraltro che:

– il giudicato, anche esterno, può essere rilevato dal giudice pur in sede di legittimità (cfr. Cass., S.U., sentenza n. 24664 del 2007, secondo la quale: posto che il giudicato va assimilato agli elementi normativi, cosicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi, ne consegue che il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito);

– nella specie, i resistenti sostengono fondatamente come le fonti del giudicato fossero in atti;

– sussiste a favore degli stessi un duplice giudicato, nel senso che la loro pretesa è stata riconosciuta da sentenza dichiarativa dell’illegittimità della delibera del consiglio di amministrazione (quella che toglieva il beneficio) e da sentenza che, nel merito, ha riconosciuto il diritto azionato, con conferma in sede di legittimità;

– la legge di interpretazione autentica, anche se corroborata da sentenza di legittimità costituzionale, non è idonea a rimuovere gli effetti del giudicato, del quale gli attori possono giovarsi.

In ragione dei richiamati principi (Cass., sentenza n. 20975 del 2009), la sentenza della Corte d’Appello di Napoli è esente dai vizi prospettati, avendo la stessa ritenuto intangibile ed incontrovertibile il diritto dei pensionati alla perequazione, secondo il regime aziendale previgente, così come ricostruito dalle sentenze divenute definitiva (Cass., sentenza n. 19937 del 2004).

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza, ai sensi degli artt. 299 e 359 c.p.c., limitatamente alla posizione di A.G. (art. 360 c.p.c., n. 4).

Afferma la ricorrente che l’ A. era deceduto il (OMISSIS), in data anteriore la costituzione nel giudizio di appello del suo difensore, avvenuta, anche per conto dello stesso, il 25 maggio 2004 “giusta procura a margine del ricorso ex art. 414 c.p.c.”.

Deduce, quindi, che il decesso della parte prima della costituzione in giudizio determina le estinzione della procura e, in ogni caso, per effetto della automatica interruzione del processo e della mancata attivazione dei meccanismi processuali per la sua valida prosecuzione, la nullità di tutti gli atti successivi del processo, almeno nei confronti della parte colpita dall’evento, compresa la sentenza conclusiva.

Il quesito di diritto è stato prospettato come segue: se importi la nullità della sentenza impugnata, nei confronti di G. A., ai sensi dell’art. 299 c.p.c. e dell’art. 359 c.c., la circostanza che questi sia deceduto in data antecedente la costituzione nel giudizio di appello, avvenuta a cura del suo difensore nel giudizio di primo grado, giusta procura a margine del ricorso introduttivo.

3.1. Il motivo è inammissibile sussistendo il difetto di interesse all’impugnazione sul punto.

Ed infatti, la morte di G.A. interveniva nel 2003, successivamente alla proposizione del ricorso in appello, intervenuta nel 2002 (v. pag. 5 del controricorso), e prima della costituzione in giudizio a cura del difensore dello stesso nel giudizio di primo grado, in virtù di procura apposta margine del ricorso introduttivo del giudizio.

Il giudizio di appello, dunque, veniva correttamente incardinato dall’odierna ricorrente, nè si verificavano le condizioni di legge per l’interruzione dello stesso.

Tuttavia, come la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare (Cass., sentenza n. 259 del 2011, resa con riguardo a fattispecie relativa al giudizio di impugnazione, in grado di appello), anche se tale evento non viene dichiarato, nè notificato dal procuratore della parte cui esso si riferisce, a norma dell’art. 300 c.p.c., il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato contro i soggetti effettivamente legittimati (nel caso di specie gli eredi dell’ A.), circostanza che nella specie si è verificata, avendo la società ricorrente provveduto a notificare il ricorso per cassazione a M.M. e A.G., nella qualità di eredi.

4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, aumentato l’onorario in ragione dell’unico difensore.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro seimila/00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2011

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