Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19823 del 12/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/07/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 12/07/2021), n.19823

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

A.M., rappresentato e difeso per procura speciale in atti

dall’Avv. Maurizio Rossi, presso il cui studio in Napoli, via

Posillipo n. 69/28, ha eletto domicilio.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentata e difesa.

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 272/52/13 della Commissione

tributaria regionale della Campania, depositata il 24 ottobre 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24 febbraio 2021 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A.M. impugnò la cartella emessa, a seguito di controllo automatizzato del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, per la riscossione del credito iscritto a ruolo a tassazione separata, ai fini Irpef, relativa ai compensi erogati dal datore di lavoro (Intesa Banca San Paolo) nell’anno 2003, in virtù di atto di transazione stipulato tra le parti a seguito della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva annullato l’intimato licenziamento siccome illegittimo, disponendo la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento dei danni.

La Commissione tributaria di prima istanza accolse il ricorso, reputando che il momento in cui è maturato il diritto va fatto risalire non al momento della cessazione del rapporto di lavoro (anno 2000) ma al momento in cui è stata decisa la vertenza concernente l’impugnativa del licenziamento (anno 2002) ovvero al momento del pagamento dell’indennità con riguardo ai quali vanno individuati i cinque anni da prendere a riferimento per il computo dell’aliquota media.

La decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate, è stata riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Campania (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.).

Il Giudice di appello – premesso in fatto che, dagli atti, risultava che A.M. era stato licenziato con lettera del (OMISSIS) e che, nelle more del giudizio di appello avverso la sentenza di primo grado, le parti erano addivenute alla conciliazione della lite in data (OMISSIS), convenendo di considerare risolto il rapporto di lavoro il (OMISSIS) – riteneva che sulle indennità corrisposte dal datore di lavoro andassero applicate, a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, le aliquote vigenti nell’anno in cui era sorto il relativo diritto, anno che non poteva essere che quello in cui il dipendente era stato collocato in quiescenza (1996).

Avverso la sentenza A.M. propone ricorso, articolato in due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., alla trattazione in Camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente, a mezzo di nuovo procuratore, ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorrente – premessa, in fatto, la ricostruzione della fattispecie controversa e delineata la disciplina fiscale applicabile – con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 817 del 1986 (T.U.I.R.), art. 17, laddove la C.T.R. aveva ritenuto che il diritto alla percezione dell’indennità di fine rapporto sorga nell’istante in cui cessa il rapporto di lavoro e aveva, conseguentemente, applicato la norma nel testo in vigore sino all’anno di imposta 2000. Secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R. avrebbe errato nel riferirsi all’indennità di fine rapporto giacché la somma, in contestazione e a base della cartella impugnata, era stata corrisposta, a seguito della transazione, dal datore di lavoro a titolo di incentivo all’esodo, con la conseguenza che la stessa, ricevuta nell’anno 2003, doveva essere assoggettata a imposta secondo l’aliquota prevista dal nuovo testo dell’art. 17 TUIR. In tal modo, inoltre, il Giudice di appello era giunto a conclusioni diverse da quelle dello stesso Ufficio finanziario che aveva determinato l’aliquota in funzione della tabella IRPEF, valida al 31.12.2000.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.P.R. n. 817 del 1996, art. 17, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché, ai sensi del citato art. 360, n. 5, l’omesso esame/difetto di assoluto di motivazione. Secondo la prospettazione difensiva la C.T.R non avrebbe tenuto alcun conto del grave errore di calcolo, rilevato sin dal ricorso introduttivo, contenuto nella cartella impugnata ove, nel determinare il reddito di riferimento, si era erroneamente indicata la durata del rapporto di lavoro in soli sette mesi al posto dei, pacifici in atti, 14 anni.

3. I motivi di ricorso, strettamente connessi, possono trattarsi congiuntamente e sono fondati.

3.1 Appare opportuno, per una migliore intelligenza della vicenda processuale, richiamare i fatti, pacifici, dandosene atto reciprocamente le parti. Il ricorrente, assunto nell’anno 1982 dall’istituto bancario, venne licenziato con lettera del (OMISSIS). Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, annullò il licenziamento, ordinando la reintegra nel posto di lavoro e condannò la Banca al risarcimento dei danni, con sentenza n. 166 del 28 marzo 2002. Nelle more del giudizio di appello, il 13 marzo 2003, le parti sottoscrissero dinnanzi alla Commissione provinciale del lavoro di Milano, verbale di conciliazione con il quale convennero: di considerare definitivamente risolto il loro rapporto di lavoro…alla fine della giornata del (OMISSIS); per quanto riguarda il titolo della cessazione del rapporto di lavoro…di sostituire il titolo originario (licenziamento per giusta causa)… il diverso titolo “risoluzione consensuale”; la Banca offrì al Dott. A., che accettò, una somma aggiuntiva al trattamento di fine rapporto, pari a Euro 480.304,92 netti, erogata quale “incentivo all’esodo”. Su tale somma il datore di lavoro, sostituto di imposta, operò la ritenuta, applicando la stessa aliquota (29,69%) cui era stato assoggettato il trattamento di fine rapporto corrisposto in precedenza. Con cartella, emessa a seguito di procedura automatizzata D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, l’Ufficio indicando, sulla base dei dati trasmessi dal sostituto d’imposta, la data di inizio del rapporto di lavoro il (OMISSIS) e la cessazione il successivo 31 dicembre e determinando così il periodo di commisurazione in sette mesi e un reddito di riferimento pari a Euro 8.373.780, applicava l’aliquota del 45,40% liquidando l’imposta ancora dovuta, detratti Euro 207.181 già versati tramite ritenute dal sostituto di imposta, in Euro 98.547,00.

3.1. Cosi ricostruiti i termini fattuali della controversia, va rilevato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. Cass. sez. 5, Sentenza n. 17986 del 24/07/2013; id. n. 9086 del 6 maggio 2015; id. n. 5545 del 26/02/2019), le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (cosiddetti incentivi all’esodo) non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e rimunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto. La causa di siffatte prestazioni, pertanto, presupponendo una pattuizione, esclude che dette somme possano essere esentate dall’imposta, quali “sussidi occasionali” che, a differenza degli incentivi programmati, sono concessi estemporaneamente e graziosamente, in coincidenza con rilevanti esigenze personali e familiari del lavoratore. Tali somme, pertanto, saranno assoggettate alla tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a).”

E’ stato, poi, puntualizzato (v. Cass. 4.11.2008 n. 26484; Cass. 13.5.2004 n. 13866; id. 26395/2005 seppur con riferimento all’applicabilità dell’aliquota agevolata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17, comma 4-bis, non oggetto della presente controversia), partendo dalla generale premessa, per cui in materia di imposte sui redditi, il principio per cui ogni imposizione non può prescindere dalla effettiva percezione di questi, che alle somme percepite a titolo di incentivo all’esodo va applicato il principio di cassa, dovendosi dare rilievo al momento in cui l’indennità è stata effettivamente corrisposta, a nulla rilevando l’epoca in cui si è maturato il relativo diritto. Ciò anche sulla base letterale della disposizione di cui all’art. 17 citato, che fa riferimento alle somme “percepite”.

3.2 Anche, la prassi (Circolare 20 marzo 2001 n. 29 del M.E.F.) intervenuta a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 17 TUIR, nuovo comma 2 (il quale stabilisce le modalità di tassazione delle “altre indennità e somme” indicate nello stesso art. 16 TUIR, comma 1, lett. a), e cioè quelle indennità e somme percepite una tantum in diretta correlazione alla cessazione del rapporto di lavoro) precisa che tali indennità e somme rientrano nell’ambito applicativo della disposizione indipendentemente: dalla circostanza che le stesse siano corrisposte o meno dal datore di lavoro; dal fatto che l’entità delle stesse sia stabilita o meno in funzione della durata del rapporto stesso, indicando specificatamente a titolo esemplificativo, le indennità e somme corrisposte a titolo di: provvedimento dell’autorità giudiziaria o transazione relativa alla risoluzione del rapporto di lavoro e l’incentivo all’esodo.

In ordine alla base imponibile e all’aliquota applicabile la stessa circolare (v. p.1.2.1) rileva che tali indennità e somme sono ora imponibili nell’intera misura dell’importo corrisposto, al netto dei soli contributi previdenziali obbligatori per legge che afferiscono direttamente e immediatamente a tali indennità e somme nella loro fase di determinazione finale.

Relativamente all’aliquota di tassazione viene, invece, confermato che si tratta della stessa aliquota determinata ai fini della tassazione del T.F.R. Ciò comporta che le aliquote IRPEF applicabili sono sempre quelle relative al periodo in cui è maturato il diritto alla percezione del TFR, a prescindere dalla circostanza che la percezione delle altre indennità e somme avvenga successivamente alla percezione del TFR medesimo.

La prassi ha trovato conferma anche nella giurisprudenza di questa Corte la quale, con la sentenza n. 1377 del 31 maggio 2013, ha statuito che in via di principio le somme erogate in occasione della cessazione del rapporto di lavoro subordinato devono essere integralmente assoggettate a imposta, anche se con l’applicazione della tassazione separata. Le somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo sono assoggettate alla medesima aliquota applicata al trattamento di fine rapporto.

4. Alla luce di tali principi appare, in primo luogo, evidente l’errore in iudicando commesso dal Giudice di appello il quale, argomentando tutta la sua decisione con esclusivo riferimento alla disciplina relativa al trattamento di fine rapporto e non differenziando il diverso titolo delle somme percepite dal contribuente in virtù del verbale di conciliazione, ha compiuto una erronea ricognizione in ordine all’effettivo diritto in contesa e conseguentemente in ordine alla sua concreta modalità di tassazione. Peraltro, non è contestato (per riportarlo la stessa Agenzia delle entrate in controricorso) che sulle somme per cui oggi è contesa il sostituto di imposta aveva già operato la ritenuta, applicando la stessa aliquota cui era stato assoggettato il trattamento di fine rapporto.

La violazione, ad opera della C.T.R. della normativa di riferimento, è ancora più evidente ove si consideri (con conseguente fondatezza del secondo motivo di ricorso) che il Giudice di merito, nel confermare la legittimità della cartella impugnata e della pretesa dalla stessa veicolata, ha del tutto omesso l’esame del fatto, offerto in giudizio dal contribuente sin dal ricorso introduttivo e facente parte del thema decidendum come non contestato dalla controparte (v. controricorso dell’Agenzia delle entrate), relativo all’erronea indicazione nella cartella impugnata della data di inizio e cessazione del rapporto di lavoro, determinante ai fini dell’ammontare dell’imposta. L’Agenzia delle entrate, infatti, nei precedenti gradi e anche nel controricorso, pur non contestando l’effettiva durata del rapporto di lavoro, quale risulta pacificamente in atti, si è limitata a dedurre di avere riportato i dati indicati dal sostituto di imposta, riferiti al 2000, anno che non trova, come dalla ricostruzione fattuale sopra esposta, alcun utile riscontro di riferimento. Al contrario, il Giudice di appello nell’individuare nell’anno 1996 il momento di maturazione del diritto si discosta, senza fornire alcuna motivazione al riguardo, dal diverso dato riportato nella cartella impugnata e posto a base dell’iscrizione a ruolo.

5. In conclusione, pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata con rinvio al Giudice del merito affinché provveda al riesame, adeguandosi ai superiori principi, e regoli le spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania-sezione di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2021

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