Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1982 del 24/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2022, (ud. 17/06/2021, dep. 24/01/2022), n.1982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 649-2020 proposto da:

S.P., S.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA VEIO 53, presso lo studio dell’avvocato GENNARO MAIONE,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO MILITE;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, (OMISSIS),

SOPRINTENDENZA BENI ARCHEOLOGICI DELLE PROVINCE DI SALERNO AVELLINO

E BENEVENTO, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SALERNO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1860/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 03/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 1860/2018 depositata il 3-12-2018, ha accolto l’appello proposto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, l’Università degli Studi di Salerno e la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Salerno, Avellino e Benevento e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata n. 522/2013 del Tribunale di Salerno, ha condannato in solido gli appellanti, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, a corrispondere a S.A. e S.P. la somma di Euro 38.727,81 per l’occupazione temporanea delle particelle (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in (OMISSIS), foglio (OMISSIS), per il periodo dal (OMISSIS) al (OMISSIS). Per quanto ancora di interesse, la Corte di merito, dopo aver premesso che la disciplina vigente all’epoca dei fatti e applicabile alla fattispecie era dettata dalla L. n. 1089 del 1939, artt. 43 e ss., e che l’occupazione ivi prevista era per sua natura temporanea perché funzionale alle opere di scavo necessarie per eseguire le ricerche archeologiche, ha ritenuto, esaminando i decreti emanati dal Ministero per i beni culturali ed ambientali susseguitisi nel tempo, che non fosse stata provata l’occupazione dell’area oltre il (OMISSIS), data di scadenza dell’ultimo decreto di occupazione legittima, rimarcando che di volta in volta l’amministrazione aveva disposto l’occupazione per continuare i lavori di scavo e che non era prevista alcuna reintegra del proprietario nel possesso dell’area al termine dell’occupazione. La Corte d’appello ha altresì ritenuto che: a) la prova testimoniale diretta a dimostrare l’occupazione oltre il (OMISSIS) fosse inammissibile perché contraria a quanto certificato da atti pubblici; b) non emergessero dalla CTU espletata le modalità di occupazione dell’area dopo la suddetta data del (OMISSIS); c) la domanda di rilascio non corrispondesse ad una situazione reale di occupazione, come era dato evincere dalle imprecisioni e discrepanze della stessa domanda di rilascio, comprendenti particelle trasferite di seguito, nel 2003, alla società Mythos e anche quella di 50 mq. ove era stato rinvenuto un (OMISSIS) del IV secolo a.c., per legge di proprietà dello Stato, salvo il diritto al premio del proprietario. La Corte di merito ha, di conseguenza, affermato che dopo il (OMISSIS) non fosse dovuta ai proprietari alcuna indennità di occupazione, la quale veniva perciò liquidata, sulla base degli elementi forniti dal CTU, per il periodo dal (OMISSIS) al (OMISSIS) in relazione alle particelle (OMISSIS),(OMISSIS) e (OMISSIS) in (OMISSIS), foglio (OMISSIS).

2. Avverso detta sentenza S.A. e S.P. propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

3. I motivi di ricorso sono così rubricati: “1. Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione norme di diritto (Art. 111 Cost., comma 6, per assenza di motivazione e/o motivazione apparente) nonché Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso e circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e per omesso esame di documentazione decisiva ai fini della soluzione della controversia (Art. 115 c.p.c., comma 1, disponibilità delle prove e Art. 116 c.p.c., valutazione delle prove); 2.Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (Art. 111 Cost., comma 6, per assenza di motivazione e/o motivazione apparente) nonché Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto (Art. 244 c.p.c., modo di deduzione della prova per testimoni) e Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per mancata ammissione dei mezzi istruttori offerti (Art. 115 c.p.c., comma 1, disponibilità delle prove e Art. 116, valutazione delle prove)”. Con il primo motivo i ricorrenti deducono che il Ministero ha abusato dello strumento dell’occupazione temporanea e la Corte d’appello, nel ritenere che il C.T.U. non avesse accertato l’occupazione in concreto del fondo e le modalità di occupazione nel periodo successivo al (OMISSIS), si era limitata a ricostruire la cronologia dei decreti di occupazione succeditisi nel tempo senza indagare sul contenuto degli stessi, non correttamente valutando aspetti e risultanze istruttorie che i ricorrenti assumono essere decisivi in ordine al protrarsi dell’occupazione oltre la data di scadenza dell’ultimo decreto ministeriale. Ad avviso dei ricorrenti, dal contenuto dell’ultimo decreto è dato desumere che il Ministero avesse la certezza del buon esito delle ricerche, le quali avrebbero comunque continuato a riguardare un’area ben più estesa di quella di mq. 50 ove era stato rinvenuto il (OMISSIS), ed assumono che di fatto le ricerche fossero proseguite, nonostante la mancata proroga dell’ultimo decreto di occupazione, lasciando così intendere la relazione dell’Università di Salerno del 5-3-1988 prodotta e in stralcio riportata in ricorso (pag. n. 18). Con il secondo motivo si dolgono della mancata ammissione della prova testimoniale, che deducono di aver formulato con precisione di tempo e di spazio come da capitolazione riportata in ricorso (pag.19), mentre erroneamente detta prova era stata ritenuta dal Tribunale ultronea e dalla Corte d’appello in contrasto con quanto certificato con atti pubblici genericamente indicati nella sentenza, oltre che genericamente formulata per difetto di precisazione delle modalità di occupazione. Denunciano che la motivazione della sentenza impugnata sul punto è carente, illogica o apparente, avuto anche riguardo alle argomentazioni espresse dai Giudici d’appello in ordine all’imprecisione della proposta azione di rilascio, basata su presupposti differenti rispetto a quella diretta al riconoscimento dell’indennità di occupazione. Rimarcano di aver reiterato in appello l’istanza istruttoria, come da atti del secondo grado che richiamano.

4. I due motivi possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione e sono inammissibili.

4.1. Le censure, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. Un. 34776 del 2019). Inoltre, secondo costante orientamento di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 1229 del 2019). Sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. n. 16214 del 2019; Cass. n. 21187 del 2019 e Cass. n. 27415 del 2018).

4.2. Ciò posto, con il primo motivo i ricorrenti si dolgono, in buona sostanza, dell’erronea valutazione dei documenti, senza, peraltro, che neppure se ne assuma specificamente la certa decisività (Cass. n. 20867 del 2020; Cass. n. 21187 del 2019 e Cass. n. 27415 del 2018 citate), atteso che a supporto della doglianza i ricorrenti svolgono solo un ragionamento deduttivo (cfr. pag. 17 ricorso), assumendo che la Corte di merito non abbia adeguatamente “letto” il D.M. 24 luglio 1987, e considerato “le motivazioni sottese alla sua adozione”.

La Corte di merito, svolgendo l’attività di valutazione, alla stessa riservata, del materiale probatorio, ha motivato in modo non inferiore al minimo costituzionale ed ha espresso il convincimento che non vi fosse prova certa del protrarsi dell’occupazione dopo il citato D.M. del 1987 in base alla CTU, che i capitoli di prova fossero in contrasto con quanto certificato con atti pubblici (il riferimento, pur non precisato, è al D.M. del 1987) e in ogni caso generici, perché non descrittivi delle modalità di occupazione. Inoltre la Corte d’appello ha argomentato sulla mancata dimostrazione del periodo di occupazione anche in base al tenore delle domande di rilascio (rigettate dalla Corte d’appello, mentre il Tribunale le aveva accolte, e sulla mancata pronuncia di rilascio non vi è censura dei ricorrenti), in particolare affermando che non risultasse chiarito dagli attuali ricorrenti quali fossero i beni di cui, in tesi, avrebbe dovuto disporsi il rilascio e in relazione a quale preciso periodo. La domanda di rilascio è inscindibilmente collegata all’occupazione, contrariamente a quanto sembrano sostenere i ricorrenti, all’evidenza non sussistendo diritto al rilascio dei beni ove essi non siano più occupati. I ricorrenti, peraltro, non svolgono censure in ordine alla richiesta di rilascio, che era stata accolta dal Tribunale, mentre la Corte d’appello, riformando la sentenza di primo grado, non ha ordinato il rilascio, e ciò sul presupposto che l’occupazione fosse cessata alla scadenza dell’ultimo D.M. del 1987.

Il secondo motivo riguarda l’omessa ammissione della prova testimoniale, ma i capitoli sono stati ritenuti dalla Corte d’appello inammissibili e irrilevanti, nel senso che, secondo la valutazione dei giudici di merito, da essi non è dato inferire certezza sul dato di fatto fondamentale, ossia sulla protrazione delle ricerche archeologiche dopo il dicembre 1987 con modalità tali da non consentire l’utilizzo dei beni occupati. Ribadito che, secondo l’orientamento di questa Corte già richiamato (Cass. n. 16214 del 2019; Cass. n. 21187 del 2019 e Cass. n. 27415 del 2018 citate), l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie fondanti il convincimento del giudice, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento, nel caso di specie non ricorrono affatto detti requisiti e la Corte territoriale ha motivato in modo idoneo in ordine alla mancata ammissione della prova per testi, effettuando un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 16056 del 2016).

5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, nulla dovendosi disporsi circa le spese del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314 del 2020).

PQM.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

 

 

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