Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19817 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. II, 22/09/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 22/09/2020), n.19817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19323/2019 proposto da:

C.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI,

72, presso lo studio dell’avvocato ANDREA SCIARRILLO, rappresentato

e difeso dall’avvocato PIETRO SGARBI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PREFETTURA UTG ASCOLI PICENO;

– intimata –

avverso l’ordinanza n. 54/2019 del GIUDICE DI PACE di ASCOLI PICENO,

depositata il 29/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/06/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.O., cittadino del (OMISSIS), ricorre a questa Corte avverso l’epigrafato provvedimento con il quale il Giudice di Pace di Ascoli Piceno ha rigettato l’opposizione del medesimo avverso il decreto di espulsione del Prefetto di Ascoli Piceno, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-bis e ne chiede la cassazione sul rilievo: 1) dell’erroneità, insufficienza e contraddittorietà dell’apparato motivazionale; 2) della violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, per aver rigettato l’eccezione avente ad oggetto la mancata traduzione nella lingua del ricorrente del decreto di espulsione; 3) della violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, per aver rigettato il ricorso senza tener conto che la notifica del decreto di espulsione era stata contestuale a quelle del provvedimento di diniego di protezione internazionale della commissione territoriale; 4) della violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3, per non aver preso in esame le ragioni che ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, giustificavano il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non essendo possibile una espulsione in uno Stato nel quale possa avvenire una persecuzione per motivi di sesso, razza, religione, opinioni politiche o condizioni personali e sociali.

2. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

3. Il ricorrente in prossimità dell’udienza ha depositato memoria, insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. I quattro motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Preliminarmente deve rilevarsi che il motivo di ricorso per erronea insufficiente e contraddittoria motivazione non è più previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, dunque il primo motivo, peraltro solo indicato in rubrica e non argomentato, è inammissibile.

2. Il secondo motivo avente ad oggetto la mancata traduzione del decreto di espulsione nella lingua del ricorrente è infondato, in quanto il Giudice di pace ha correttamente motivato circa il fatto che il decreto era stato tradotto in francese, lingua ufficiale del paese di provenienza del ricorrente e anche lingua veicolare, e anche circa la sicura conoscenza della lingua italiana in capo al ricorrente che rivendicava un alto grado di integrazione.

La motivazione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui: “In tema di impugnazione dell’espulsione amministrativa dello straniero, l’art. 13, comma 7, del T.U. sull’immigrazione (approvato con D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286) non impone all’Amministrazione di tradurre il decreto espulsivo nella lingua madre della persona da espellere, ma solo di assicurare che la traduzione del provvedimento avvenga “in una lingua conosciuta” e, solo ove ciò non sia possibile, di garantire che la traduzione sia svolta “in lingua francese, inglese o spagnola”, ritenute lingue universali e, quindi, accessibili, direttamente o indirettamente, da chiunque. (Nella specie la S.C. ha ritenuto infondato e, conseguentemente, rigettato il ricorso dello straniero che lamentava che l’atto espulsivo era stato tradotto nella lingua francese senza alcuna motivazione sulle ragioni che non consentivano la traduzione nella propria lingua madre, atteso che il giudice di pace aveva ragionevolmente valutato che la traduzione in lingua francese era effettivamente comprensibile per il ricorrente)” (Sez. 1, Sent. n. 13833 del 2008).

Peraltro, nella specie risultava che il ricorrente fosse a conoscenza della lingua italiana, sicchè trova applicazione anche il seguente principio di diritto: “L’omessa traduzione del decreto di espulsione in una lingua conosciuta dall’interessato o in quella cd. veicolare, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, comporta la nullità del provvedimento espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana e che di tale circostanza venga fornita prova, anche presuntiva” (Sez. 6-1, Ord. n. 18123 del 2017)

3. I restanti due motivi sono infondati. Deve affermarsi che al richiedente la protezione internazionale è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo e che la stessa ricevuta attestante la presentazione della relativa domanda costituisce permesso di soggiorno provvisorio (D.Lgs. n. 142 del 2015 cit., art. 4, commi 1 e 3): per il che la previsione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7 – il quale afferma il diritto del richiedente a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della commissione territoriale – si salda con l’acquisizione, da parte dello straniero che abbia presentato domanda di asilo, di un autonomo titolo di soggiorno, il quale cesserà però di produrre i suoi effetti con la pronuncia su tale domanda, salvo quanto previsto, per l’ipotesi di successivo ricorso giurisdizionale, dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 3 e 4 (Sez. 1, Ord. n. 5437 del 2020).

La decisione del giudice di pace è anche conforme alla linea ermeneutica di questa Corte espressasi nel senso di ritenere che il decreto di espulsione dello straniero che non sia in possesso del permesso di soggiorno o non ne abbia chiesto il rinnovo è atto vincolato, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2. Donde le valutazioni relative alla sussistenza dei presupposti per ottenere la protezione internazionale (anche sub specie di protezione umanitaria, con riferimento al dedotto profilo del pericolo in caso di rientro in patria) sono di esclusiva competenza della Commissione Territoriale e, in caso di ricorso avverso le relative decisioni, del Tribunale, con i previsti rimedi impugnatori, così come le valutazioni che attengono alla concessione o al rinnovo del permesso sono demandate all’Autorità amministrativa, il cui controllo spetta esclusivamente al giudice amministrativo, dinanzi al quale sia stato impugnato il diniego (Sez. 1, n. 15414 del 2001).

3. Il ricorso per i motivi esposti deve essere rigettato. Nulla è dovuto sulle spese non avendo svolto attività difensiva il Ministero intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

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