Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19816 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19816 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 18136-2009 proposto da:
DI GIOVANNI LUCIANO DGVLCN471-122D009N, domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli
avvocati BIAGIO LA VENUTA, GURRERA LELIO, giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2013
1773

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO 01165400589, in
persona del legale rappresentante

212

tempore,

Data pubblicazione: 28/08/2013

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati ROSSI ANDREA e
CRISTOFARO TARANTINO, che lo rappresentano e difendono
giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1827/2008 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 04/03/2009 r.g.n. 1015/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/05/2013 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito l’Avvocato ROSSI ANDREA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI 2 che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

Ik.

Svolgimento del processo
Il 3 settembre 1993, il sig. Biagio Provenzano, dipendente dell’impresa
edile di Luciano Di Giovanni, mentre lavorava all’interno di un cantiere
sito in Corleone, precipitava al suolo da una rampa di scale, dell’altezza
di circa un metro e mezzo, a causa dell’inesistenza di parapetti protettivi
o di altra struttura idonea ad impedire la caduta di persone o di cose.

favore del lavoratore rimasto infortunato le relative prestazioni, in quanto
sussistevano i presupposti di legge perché il fatto rientrasse nella tutela
assicurativa obbligatoria, chiedendone il rimborso al Di Giovanni, che, in
precedenza, aveva chiesto l’applicazione della pena ad un mese di
reclusione, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., poi accordata con sentenza del
Pretore di Corleone.
Si costituiva in giudizio il convenuto che contestava nel merito la
domanda dell’Istituto, sostenendo che la caduta del Provenzano fosse
dovuta ad un malore che aveva colpito il lavoratore quando ancora non
era salito sulla scala, concludendo che la mancata predisposizione delle
misure di sicurezza non aveva avuto alcuna incidenza causale rispetto al
grave infortunio riportato dal lavoratore.
Espletata c.t.u. medico legale e prova per testi, il Tribunale accoglieva la
domanda dell’Istituto e condannava il Di Giovanni al rimborso della
complessiva somma di €. 136.540,69.
Proponeva appello il Di Giovanni. Si costituiva l’INAIL resistendo al
gravame.
La Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 4 marzo 2009,
rinnovata la c.t.u. medico legale, confermava la prima pronuncia,
condannando peraltro il Di Giovanni al pagamento della
maggior somma di €. 157.795,86, nel frattempo così aggiornata
dall’Istituto.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Di Giovanni, affidato
a quattro motivi.
Resiste l’INAIL con controricorso, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione
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Con ricorso al Tribunale di Palermo, l’INAIL affermava di aver erogato in

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia insufficiente o
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., in ordine alla sussistenza del
nesso causale tra le lesioni subite dal sig. Provenzano e la mancanza di
parapetti nelle scale.
Lamenta che l’accertamento decisivo “da compiere in Questo Giudizio”,

rampa di scale priva del prescritto parapetto di protezione.
Il motivo è inammissibile, richiedendo esplicitamente a questa S.C. un
nuovo accertamento dei fatti, che la Corte di merito ha peraltro basato
sia sulle numerose (tre) c.t.u. disposte nel corso del giudizio di merito,
sia sulle testimonianze raccolte, sia infine sulla ivi indicata relazione
dell’ispettore del lavoro.
In particolare, poi, la c.t.u. disposta in sede di gravame, non viene
specificamente contestata dal ricorrente, laddove secondo il consolidato
orientamento di questa Corte (ex plurirnis, Cass. ord. 8 novembre 2010
n. 22707; Cass. 29 aprile 2009 n. 9988; Cass. 15 luglio 2003 n. 11054),
qualora il giudice del merito si sia basato sulle conclusioni del consulente
tecnico d’ufficio, affinché sia denunciabile in cassazione il vizio di omessa
o insufficiente motivazione della sentenza è necessario che eventuali
errori e lacune della consulenza, che si riverberano sulla sentenza, si
sostanzino in palesi carenze o deficienze degli accertamenti, o in
affermazioni illogiche o scientificamente errate (indicandone le contrarie
fonti), e non già in semplici difformità tra la valutazione del consulente e
quella diversa formulata dalla parte.
L’inammissibilità deriva altresì dal quesito formulato ex art. 366 bis c.p.c.
(“Dica la Corte Suprema se la questione sopra sollevata relativa alla
diretta constatazione da parte dell’ispettore del lavoro del punto di
effettiva caduta de/lavoratore infortunato, unitamente alla dichiarazione
del teste Pucci° ed al luogo di ritrovamento dell’infortunato andava
adeguatamente motivata con la conseguente esclusione di ogni nesso
causale tra le lesioni subite dal sig.Provenzano Biagio e la mancata
collocazione del parapetto di protezione nella scala”),
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che coinvolge

investe la “precipitazione o meno” del lavoratore infortunato da una

apprezzamenti di fatto ed una diretta valutazione dei mezzi istruttori e
degli accertamenti tecnici espletati, in base ai quali la Corte di merito ha
ampiamente motivato circa l’esistenza del nesso causale rispetto alla
mancanza della misura protettiva in questione.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia una omessa, insufficiente
o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in

appello completamente pronunciato sul punto 3) del ricorso in appello
con cui il Di Giovanni si doleva del fatto che il primo giudice aveva errato
nel non accogliere l’eccezione di inammissibilità (recte: nullità) della
seconda c.t.u., poiché effettuata su documenti non ritualmente prodotti.
Precisa infatti il ricorrente che nonostante nel ricorso in appello egli
avesse espressamente chiesto alla Corte distrettuale di pronunciarsi in
ordine alla nullità della seconda c.t.u. (in quanto detta relazione risultava
fondata su documentazione esibita dall’infortunato Provenzano, piuttosto
che fornita nei termini di legge dall’INAIL) -il tutto con pretesa violazione
del diritto di difesa del sig. Di Giovanni che non aveva potuto prenderne
visione- la Corte territoriale nulla statuì sul punto.
Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato.
Inammissibile in quanto viene denunciato come vizio di motivazione una
omessa pronuncia che invece avrebbe dovuto essere censurata per
violazione dell’art. 112 ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., con
formulazione, a pena di inammissibilità, del quesito di diritto prescritto
dall’art. 366 bis c.p.c.
Inammissibile ancora per non essere stati depositati, e neppure trascritti
in ricorso, la c.t.u. contestata né i documenti per cui è doglianza.
Infondato in quanto per un verso non è precluso al c.t.u. di esaminare
documenti anche non prodotti dalle parti (arg. ex art. 194, comma 1,
c.p.c.; cfr. Cass. 21 agosto 2012 n. 14577); per altro verso in quanto il
controllo su tutta l’attività del c.t.u. è reso possibile per mezzo dei
consulenti di parte (artt. 194, cpv, e 201, cpv, c.p.c.); infine in quanto la
Corte di merito ha basato la sua decisione sulla ulteriore c.t.u. disposta in
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relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per non avere la Corte di

sede di gravame e che non risulta censurata dal ricorrente, tanto meno
alla luce dei principi sopra esposti.
3. Con il terzo motivo il Di Giovanni denuncia una omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per non avere la Corte di
appello completamente pronunciato sul punto 6) del ricorso in appello,

Tribunale aveva riconosciuto all’INAIL somme maggiori rispetto
all’ammontare dovuto secondo le norme generali in tema di risarcimento
dei danni, sulla base delle sole note dell’Istituto, difettanti dell’indicazione
dei giorni di invalidità temporanea e del grado di inabilità permanente.
Formulava il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c. :”Dica la S.C. se la
questione sopra sollevata, relativa alla presunzione di legittimità dell’atto
amministrativo che non può spingere i suoi effetti fino a rendere
assolutamente incontestabili le mere affermazioni espresse dall’INAIL,
andava adeguatamente motivata con le consequenziali determinazioni
del casdi.
Il quesito, e con esso l’intero motivo (Cass. sez. un. 9 marzo 2009 n.
5624; Cass.7 marzo 2012 n. 3530), è inammissibile.
Deve infatti considerarsi (ex alils, Cass. sez. un. 18 giugno 2008 n.
16528) che è inammissibile, perché privo di autosufficienza e
concretezza, come richiesto dall’art. 366 “bis” cod. proc. civ., il motivo di
ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in cui non
siano specificamente indicati i fatti controversi in relazione ai quali la
motivazione si assume carente, né siano indicati i profili di rilevanza di
tali fatti, limitandosi il ricorrente ad enunciare la necessaria esaustività
della motivazione quale premessa maggiore del sillogismo che dovrebbe
portare alla soluzione del problema giuridico, senza indicare la premessa
minore (cioè i fatti rilevanti su cui vi sarebbe stato vizio di motivazione) e
svolgere il successivo momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale
poter cogliere la fondatezza della censura, che la Corte deve essere in
grado di valutare dalla sola lettura del quesito (Cass. sez.un. 28
settembre 2007 n. 20360).
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con cui il Di Giovanni si doleva del fatto che, erroneamente statuendo, il

A ciò va aggiunto che il ricorrente lamenta un (almeno parziale) vizio di
omessa pronuncia, inammissibilmente denunciata come vizio di
motivazione; non deposita né trascrive in ricorso, né ne indica la relativa
collocazione all’interno dei fascicoli di parte (Cass. sez.un. 3 novembre
2011 n. 22726; Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915), le note INAIL sulla
base delle quali la Corte pervenne alla quantificazione delle somme, né

quanto connessa, a differenza di quanto lamentato dal Di Giovanni, agli
accccertamenti peritali ed alle connesse quantificazioni medico legali,
operate attraverso c.t.u., delle lesioni riportate dal lavoratore.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 91 c.p.c., per avere la Corte di merito condannatolo
al pagamento delle spese processuali e di c.t.u., in violazione del
principio della soccombenza.
Deduce al riguardo che, posto che l’appello doveva essere accolto, era
l’INAIL a dover sopportare le spese di lite.
Il motivo, ontologicamente condizionato all’accoglimento dei precedenti,
resta assorbito dal loro rigetto.
5. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccémbenza e
si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, pari ad E.50,00 per esborsi ed
E. 6.100,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 maggio 2013

considera che la quantificazione non poteva considerarsi arbitraria, in

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