Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19813 del 17/09/2010

Cassazione civile sez. I, 17/09/2010, (ud. 11/06/2010, dep. 17/09/2010), n.19813

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.D., rappresentato e difeso dall’Avv. LOJODICE Oscar,

come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge presso

la cancelleria della Corte di Cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione de decreto della Corte d’appello di Lecce

depositato il 25 novembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 11 giugno 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.D. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha respinto il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al Tribunale di Trani dal 29 marzo 2005 al 19 febbraio 2008.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo e il secondo motivo di ricorso con i quali si deduce violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere la corte d’appello ritenuto insussistente il danno sotto il profilo del mancato superamento del periodo di durata ragionevole e comunque dell’insussistenza di un patimento conseguente alla pendenza del giudizio nonostante l’Amministrazione, costituendosi, non avesse contestato l’an ma solo il quantum del risarcimento sono manifestamente infondati.

Premesso che il giudice del merito ha rigettato la domanda ritenendo che nella fattispecie non fosse stato superato il periodo di durata ragionevole del processo di primo grado (tre anni), e quindi basandosi su elementi non contestati e certamente emergenti dagli atti di causa, ed ha escluso altresì che il ricorrente abbia potuto sentire sofferenza morale in quanto già soddisfatto della pretesa azionata, circostanza che non si assume non fosse anch’essa risultante dagli atti, nessun rilievo ha la circostanza che l’Amministrazione resistente non abbia contestato la sussistenza del diritto al risarcimento da momento che il principio di non contestazione può essere invocato solo in relazione alla sussistenza dei presupposti di fatto della domanda o dell’eccezione ma non certo in relazione all’interpretazione della norma e quindi alla conseguenza da trarre dai fatti comunque acquisiti agli atti circa la fondatezza o l’infondatezza della domanda o dell’eccezione (Cassazione civile, sez. un., 17 giugno 2004, n. 11353).

Manifestamente infondato è anche il motivo che attiene alla dedotta carenza di motivazione in ordine alla quantificazione della ragionevole durata del processo. Il giudice del merito, infatti, ha ritenuto ragionevole lo svolgimento temporale del processo in quanto la sua durata è stata contenuta nel limite dei tre anni; poichè tale valutazione è conforme alla giurisprudenza della Corte europea che ha indicato tale parametro per la valutazione della ragionevolezza della durata del procedimento di primo grado, la motivazione sul punto resta esente da qualunque critica.

E’ il caso di aggiungere che nessuna censura sotto il profilo della motivazione è stata formulata in ordine all’ulteriore ed autonoma ratio decidendi costituita dalla ritenuta assenza, nel caso, concreto, di danno risarcibile per la ritenuta insussistenza di un qualche patema d’animo collegato alla pendenza del giudizio.

Il ricorso deve dunque essere rigettato con le conseguenze di legge in ordine alle spese.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che si liquidano in Euro 700,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2010

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