Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19812 del 17/09/2010

Cassazione civile sez. I, 17/09/2010, (ud. 11/06/2010, dep. 17/09/2010), n.19812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.G., rappresentato e difeso dall’Avv. LOJODICE Oscar,

come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge presso

la cancelleria della Corte di Cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Lecce

depositato il 4 dicembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 11 giugno 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.G. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della corte d’appello che ha respinto il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al tribunale di Trani dal 6 maggio 2003 al 20 febbraio 2008.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa è stata assegnata alla Camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo complesso motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere la corte d’appello travalicato il tema di indagine concordemente limitato dalle parti e posto a base della decisione elementi non valorizzati dall’Amministrazione resistente.

Il motivo è inammissibile.

Il profilo di inammissibilità deriva dal mancato rispetto del dettato dell’art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6, che impone “la specifica indicazione … degli atti processuali … sui quali il ricorso si fonda”, così come l’art. 369 c.p.c., ne impone il deposito a pena di improcedibilità e sul punto è principio già enunciato quello secondo cui “in tema di ricorso per cassazione, mentre prima della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, era sufficiente che dal testo del ricorso si evincessero con sufficiente chiarezza le questioni sottoposte al giudice di legittimità in relazione agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte dei gradi di merito, a seguito della riforma, il novellato art. 366 c.p.c., richiede la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, al fine di realizzare l’assoluta precisa delimitazione del “thema decidendum”, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di esorbitare dall’ambito dei quesiti che gli vengono sottoposti e di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente. Nè può ritenersi sufficiente la generica indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi” (Cassazione civile, sez. un., 31 ottobre 2007, n. 23019).

Poichè il motivo si basa su una lettura degli atti difensivi dell’Amministrazione del giudizio di merito diversa da quella, che si assume errata, che ne ha fatto la Corte d’appello sarebbe stata necessaria la richiesta indicazione che invece è carente.

Inammissibile è anche il secondo motivo con il quale si deduce carenza di motivazione dal momento che tale censura può essere proposta solo con riferimento alla motivazione circa l’esistenza o l’inesistenza di un fatto controverso decisivo per il giudizio che tuttavia deve essere chiaramente specificato (art. 366 bis c.p.c.) mentre nella fattispecie vengono censurati vari passaggi motivazionali senza che siano stati enucleati con inequivoca chiarezza i fatti della cui ritenuta sussistenza o insussistenza il ricorrente si duole.

Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile con le conseguenze di rito in ordine alle spese.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 700,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2010

 

 

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