Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19812 del 09/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/08/2017, (ud. 30/03/2017, dep.09/08/2017),  n. 19812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25552-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

JONIA COSTRUZIONI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato VACCARO PAOLA,

rappresentato e difeso dagli avvocati MAURIZIO VILLANI, FRANCESCO

ZOMPI’;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 197/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

LECCE, depositata il 21/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/03/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS LUISA;

udito l’Avvocato.

Fatto

RITENUTO

CHE:

L’Agenzia delle Entrate notificava alla società Jonia costruzioni S.r.l. un avviso di liquidazione dell’imposta suppletiva di registro relativa ad atto di compravendita stipulato con il Comune di Gallipoli (Lecce), per l’acquisto di immobili, adibiti ad uso uffici, scuola pubblica e deposito, per revoca delle agevolazioni previste dal D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa parte 1, art. 1, comma 5, non essendo l’ente comunale soggetto IVA, in quanto non operante nell’esercizio dell’impresa e non avendo i fabbricati destinazione abitativa. L’atto veniva impugnato innanzi alla CTP di Lecce, che rigettava il ricorso della società. La contribuente proponeva appello che veniva accolto dalla CTR della Puglia, ritenendo che il Comune non avesse operato come ente pubblico, ma come soggetto privato, ponendo in essere un’attività di natura privatistica e come tale assoggettabile ad IVA. Riteneva, inoltre, che il comma 8 bis del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10 il quale prevede che sono esenti dall’imposta IVA le cessioni di fabbricati o porzioni di fabbricati a destinazione abitativa, non dovesse essere necessariamente inteso nel senso che i fabbricati ceduti dovevano ab origine avere destinazione abitativa. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, svolgendo due motivi. La società Jonia Costruzioni S.r.l. si è costituita con controricorso. La Procura Generale della Cassazione ha depositato in data 7.3.2017 conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso, con le conseguenze di legge.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo e secondo motivo del ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1,D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 4, 10 e 19 ter e dell’art. 4, n. 5, della Direttiva 77/388/CEE (Sesta direttiva) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; nonchè difetto di motivazione sul punto decisivo del giudizio, rappresentato dalla finalità istituzionale in concreto perseguita dall’ente pubblico, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

2. I motivi trattati unitariamente, in quanto logicamente connessi, sono fondati nei sensi di cui alle seguenti considerazioni:

a) Ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 2, n. 2, comma 4, sono esenti da IVA le attività commerciali effettuate dagli enti pubblici “in conformità” alle finalità istituzionali. Non essendo contestata la natura di enti pubblici dei Comuni, occorre stabilire se nella concreta fattispecie il Comune abbia o no agito “in conformità alle finalità istituzionali”, e se l’agevolazione costituisca o no attività “distorsiva” del mercato.

b) La Direttiva CE 28 novembre 2006, n. 112, con la quale è stata operata la rifusione della Direttiva CFF del 17 maggio 1977, n. 77/388, all’art. 13, paragrafo 1, (già art. 4, paragrafo 5, della Direttiva 77/388/CFF), prevede che “gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni”, ad eccezione dei casi in cui il loro mancato assoggettamento ad imposizione provocherebbe “distorsioni della concorrenza di una certa importanza”.

c) L’art. 13 della Direttiva n. 112 del 2006 dispone che gli enti pubblici, tra i quali sono compresi i Comuni, non sono soggetti passivi ai fini IVA per le “attività od operazioni” poste in essere dagli stessi in veste di “pubbliche autorità”, ad eccezione dell’ipotesi in cui il loro mancato assoggettamento all’imposta provocherebbe distorsioni della concorrenza di una certa importanza. Pertanto, ai fini della non assoggettabilità ad IVA degli enti di diritto pubblico, ai sensi del citato art. 13, paragrafo 1, della Direttiva n. 112 del 2006, occorre verificare:

-che l’ente pubblico agisca in veste di pubblica autorità;

-che il mancato assoggettamento a tributo non comporti una distorsione della concorrenza di una certa importanza;

-che l’attività esercitata non rientri tra quelle indicate all’Allegato 1 della Direttiva.

Le attività esercitate in quanto “pubblica autorità” sono quelle svolte dagli enti di diritto pubblico nell’ambito del loro regime giuridico, con esclusione delle attività che essi svolgono soggette alla stessa normativa applicabile ai privati. Sono attività poste in essere nella qualità di “pubblica autorità” quelle riconducibili ad atti e prowedimenti tipici delle autorità localmente preposte alla cura delle funzioni pubbliche.

Nell’ipotesi in cui gli enti agiscono in forza dello stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati, non si può ritenere che svolgano attività in quanto pubbliche autorità, e conseguentemente devono essere considerati soggetti passivi ai fini IVA.

d) La Corte di Giustizia della CEE, chiamata a pronunciarsi sul significato e sulla portata delle disposizioni comunitarie, al fine di accertare l’aderenza o meno della legislazione nazionale, con sentenza del 17 ottobre 1989 ha dichiarato:

– l’art. 4, n. 5, comma 1 della Sesta direttiva va interpretato nel senso che le attività esercitate “in quanto pubblica autorità” sono quelle svolte dagli enti di diritto pubblico nell’ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in forza dello stesso regime cui sono sottoposti gli operatori privati. Spetta a ciascun Stato membro scegliere la tecnica normativa più consona per trasporre nel diritto nazionale il principio del non assoggettamento sancito da detta norma;

– l’art. 4, n. 5, comma 2 della Sesta direttiva, va interpretato nel senso che gli Stati membri sono tenuti a garantire l’assoggettamento degli enti di diritto pubblico per le attività che esercitano in quanto pubbliche autorità, allorchè tali attività possono essere pari esercitate da privati in concorrenza con essi e qualora il loro non assoggettamento sia atto a provocare distorsioni di concorrenza di una certa importanza, ma non hanno l’obbligo di recepire letteralmente tale criterio nel loro diritto internazionale, nè di precisare limiti quantitativi di non assoggettamento. Ne consegue che la definizione di “pubblica autorità” non può essere fondata sull’oggetto o sul fine dell’attività dell’ente pubblico, ma occorre individuare il regime giuridico applicato in base al diritto nazionale.

Sono riconducibili alle attività svolte in veste di pubblica autorità quelle che costituiscono cura effettiva di interessi pubblici, poste in essere nell’esercizio dei poteri amministrativi, fondate sul cosiddetto ius imperi, mentre dovranno comprendersi nelle attività di natura commerciale quelle di carattere privatistico, espressione dello iure gestionis. In sostanza, l’art. 4 della Sesta Direttiva (77/388/CE) stabilisce che gli Stati, le Regioni, le province ed i Comuni non sono considerati soggetti passivi IVA, in relazione alle attività ed operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni, ad eccezioni dell’ipotesi in cui l’esenzione possa provocare distorsioni della concorrenza di una certa importanza (Cass. n. 3513 del 2012). Mentre vanno considerati soggetti passivi ai fini IVA qualora essi agiscano in forza dello stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati (Cass. n. 3418 del 2015).

e) Nella specie, non è stata fornita prova alcuna che l’attività del Comune fosse “distorsiva” del mercato, nè tale valutazione può essere fatta in astratto e potenzialmente in termini positivi, perchè dalla vicenda in esame e dalle caratteristiche degli immobili compravenduti emergono elementi che escludono che poste trattarsi dell’esercizio di un’attività d’impresa in regime di favore.

Deve, pertanto, ritenersi che allorchè il Comune agisca come soggetto alienante di immobili, o porzioni di immobili, alla data dell’atto aventi destinazione non abitativa (nella specie uffici, scuole, depositi), la sua attività deve essere qualificabile come pubblica, in quanto agisce al di fuori di qualsiasi attività di impresa.

La destinazione originaria dei beni oggetto di cessione, nella specie uffici, scuole, depositi, è strettamente correlata alla finalità pubblicistica, e quindi non può comportare l’applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, art. 10, comma 1, n. 8 bis volto a regolare l’esenzione dall’IVA per le “cessioni di fabbricati o porzioni di fabbricati a destinazione abitativa”.

3.Il giudice di appello non si è uniformato ai principi enunciati, avendo affermato che il Comune avrebbe operato come un soggetto privato, ponendo una attività privatistica, come tale assoggettabile ad IVA, trascurando, altresì, un dato di fatto accertato in giudizio, ossia che al momento della cessione i beni erano destinati a finalità pubbliche, e dando rilievo alla semplice dichiarazioni in atti dell’acquirente sulla futura destinazione abitativa degli immobili, così incorrendo nelle violazioni di legge denunciate in rubrica.

Ne consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata: ricorrendone le condizioni, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo proposto della società contribuente.

4. L’assenza, prima della presentazione del ricorso, di un consolidato orientamento di questa Corte sul specifico tema esaminato nel corso del presente giudizio, giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017

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