Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19811 del 09/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/08/2017, (ud. 31/01/2017, dep.09/08/2017),  n. 19811

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26147/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Società Europa 21 s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Paolo

Casalena, con domicilio eletto in Roma, via Marcello Prestinari 15,

presso lo studio del difensore;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

depositata il 22 giugno 2012;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 31 gennaio 2017

dal Consigliere Giuseppe Tedesco;

udito l’avv. dello Stato Giammario Rocchitta;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Sorrentino Federico, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda riguarda un accesso eseguito da funzionari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede della società. La Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto l’appello della contribuente, condividendone il rilievo che l’accesso fu eseguito in un immobile nel quale, oltre ad esservi la sede della società, risiedevano diversi soggetti persone fisiche, ai quali la società aveva concesso in comodato l’uso dei medesimo locali. Da qui, secondo la sentenza, la illegittimità dell’attività di verifica, in quanto eseguita in carenza delle autorizzazioni prescritte dalla legge per tale ipotesi, e degli atti successivi.

Contro la sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

La contribuente reagisce con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, per avere la Ctr ritenuto applicabile la disciplina di garanzia prevista da tali norme al caso di specie, caratterizzato dal fatto che l’accesso fu eseguito presso la sede sociale e che il soggetto che abitava parte dei locali non era il contribuente, ma un terzo in forza di contratto di comodato concluso con la società.

Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. In particolare si pone in luce che la Ctr aveva ragionato come se si trattasse di un locale unico utilizzato promiscuamente, senza considerare la conformazione del luoghi evidenziata dall’Agenzia delle entrate nelle controdeduzioni in appello.

E’ prioritario l’esame del secondo motivo, il quale è fondato. Nel costituirsi in appello l’Agenzia delle entrate aveva dedotto che la sede della società era ubicata in una porzione dell’immobile completamente separata da quella destinata alle abitazioni private, evidenziando che “i verificatori non hanno chiesto di accedere, nè hanno rilevato prove presso locali adibiti promiscuamente ad abitazione e ufficio, nè a quelli destinato ad uso esclusivo di abitazione; fu evidenziato ancora che le indagini furono svolte “solo ed esclusivamente presso i locali adibiti a sede della società”.

Ora l’insieme di tali considerazioni, benchè riportate in sintesi nella parte narrativa della sentenza, sono state del tutto ignorate dalla Ctr, la cui decisione è in ultima analisi fondata sul dato formale dell’esistenza del contratto di comodato, laddove, ai fini di verificare se fosse necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, occorreva invece valutare se al di là dal dato formale, i medesimi ambienti fossero realmente e contestualmente utilizzati per la vita familiare e l’attività professionale, con la precisazione che tale evenienza, secondo la giurisprudenza di questa suprema Corte, si deve ravvisare non solo nella ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole comunicazione interna consenta il trasferimento di materiale dal locale lavorativo a quello personale (Cass. n. 16570/2011).

La sentenza va pertanto cassata in relazione al motivo accolto (restandone assorbito il primo motivo), con rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il primo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017

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