Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19810 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. II, 22/09/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 22/09/2020), n.19810

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21531/2019 proposto da:

M.J., rappresentato e difeso dall’Avvocato ELENA PETRACCA, ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROVIGO, VIA

BADALONI 19;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2299/2019 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA

depositata il 4/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/02/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.J., cittadino del (OMISSIS), impugnava davanti al Tribunale di Venezia il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona – Sezione di Padova, notificato in data 13.7.2016, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o comunque la protezione sussidiaria e, in via subordinata, la protezione umanitaria.

Il richiedente, proveniente da (OMISSIS) riferiva di essere emigrato perchè molto povero. Affermava che se fosse tornato in Bangladesh avrebbe dovuto restituire denaro agli usurai, che altrimenti avrebbero fatto del male a lui e alla famiglia.

Con ordinanza, depositata in data 23.11.2017, il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso.

Contro tale decisione proponeva appello il M. chiedendone l’integrale riforma.

Con sentenza n. 2299/2019, depositata in data 4.6.2019, la Corte d’Appello di Venezia rigettava il gravame confermando l’ordinanza del Tribunale di Venezia.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione M.J. sulla base di sei motivi; resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., inammissibilità motivo di appello”, che risulta priva di fondamento, sicchè la Corte distrettuale avrebbe dovuto esaminarlo nel merito.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'”Omesso esame di un fatto decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, là dove la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare sia la situazione di vittima di usura del ricorrente sia i documenti prodotti a sostegno della piena integrazione raggiunta.

1.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la “Violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra”, giacchè l’accertamento della deprecabile situazione delle vittime dell’usura in Bangladesh, quale distinto gruppo di soggetti richiedenti protezione specifica, avrebbe dovuto comportare il riconoscimento da parte della Corte di merito dello status di rifugiato.

1.4. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione o errata applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto – relativamente alla protezione sussidiaria – la Corte di merito ometteva di verificare le attuali condizioni socio-politiche del Bangladesh e in particolare la grande piaga dell’usura e del bonded-labour, l’efficienza dello Stato nel combattere tale crimine, l’efficienza e l’imparzialità del sistema giudiziario, effettuando una valutazione sommaria delle dichiarazioni del ricorrente.

1.5. – Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per omessa piena valutazione da parte della Corte distrettuale del caso specifico, senza consultare e documentarsi sui recenti rapporti delle principali agenzie internazionali.

1.6. – Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia la “Violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 19”, poichè nel provvedimento impugnato sussisterebbe un vizio di motivazione in ordine alla negata concessione della protezione umanitaria.

2. – il ricorso è inammissibile.

2.1. – Va infatti rilevata la non specificità e incompletezza della procura apposta in foglio separato spillato in calce al ricorso, in cui non è indicata la relativa data di rilascio; sicchè, in violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, quinto periodo, non risulta la prescritta certificazione, da parte del difensore, della “data del rilascio in suo favore”, quale imposta al fine di dar conto, a pena di inammissibilità del ricorso, del suo conferimento “in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato”.

D’altro canto, questa Corte ha statuito essere “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’Interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3” (Cass. 17717 del 2018). E, in fattispecie analoga, questa Corte ha concluso per la inammissibilità del ricorso che, pur presentando la “procura su foglio separato e spillato in calce”, tuttavia non “consente di dire che la procura sia stata giustappunto rilasciata dopo la comunicazione del provvedimento impugnato, atteso che sulla procura anzidetta non risulta apposta nè la data di conferimento, nè attestazione veruna” (Cass. 30620 del 2019).

2.2. – Va peraltro ribadito che la specialità della norma deriva dalla peculiare connotazione pubblicistica che la “certificazione”, quale demandata al difensore, viene ad assumere nel contesto del conferimento della procura; per esso, non si ha invero mera declinazione modale del sistema già congegnato all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 e art. 125 c.p.c., comma 3, demandandosi invece al difensore un atto di fidefacienza, con peculiare valore di riscontro, che il conferimento della procura è avvenuto posteriormente alla comunicazione del decreto impugnato. Ne deriva che tale “certificazione” implica di necessità l’asseverazione qualificata – possibile solo in capo al difensore investito del mandato ad impugnare per cassazione e a ciò abilitato – della presenza del richiedente protezione – di regola – nel territorio dello Stato, così formandosi un documento firmato, a sua volta, in presenza del difensore e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrittore (Cass. n. 1047 del 2020).

La locuzione impiegata (“certificazione”), rinviando in modo specifico ad un unico soggetto autore della condotta, e alla correlativa responsabilità, appare invero strettamente connessa ad un “modo” predeterminato, scelto dalla legge, di far risultare la posteriorità del mandato rispetto alla comunicazione del decreto, perciò integrando direttamente, accanto ad una funzione di controllo – come visto – della sottoscrizione e della sua provenienza (e, con essa, della volontà di impugnare, ex art. 83 c.p.c.), una speciale potestà asseverativa, di fidefacienza, conferita ex lege al difensore abilitato.

2.2. – Pertanto questo Collegio condivide interamente ed applica il principio espresso secondo cui, in materia di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, il conferimento della procura alle liti per proporre il ricorso per cassazione, al fine di assolvere al requisito della posteriorità alla comunicazione del decreto impugnato, va certificato nella sua data di rilascio dal difensore; ne consegue che è inammissibile il ricorso nel quale la procura (nella specie, apposta su foglio separato e spillato in calce) non indica la data in cui essa è stata conferita, non assolvendo alla funzione certificatoria la sola autentica della firma, nè il citato requisito potendo discendere dalla mera inerenza all’atto steso a fianco o dalla sequenza notificatoria (Cass. n. 1047 del 2020, cit.).

3. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammisibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

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