Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1981 del 26/01/2018


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Cassazione civile, sez. trib., 26/01/2018, (ud. 19/12/2017, dep.26/01/2018),  n. 1981

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1.1 La Co.Pro. spa propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 232/08/13 del 2 ottobre 2013 con la quale la commissione tributaria regionale della Campania, in parziale riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo, sebbene con abbattimento tariffario del 60%, l’avviso di pagamento per Tarsu 2011 notificatole dalla concessionaria per la riscossione del Comune di Caserta, Publiservizi srl (già Teleservizi srl).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: – la società fosse tenuta al pagamento della Tarsu (tributo di natura non commutativa, e correlato anche ai diversi servizi generali di smaltimento e riciclaggio RSU) pur in mancanza di regolare effettuazione del servizio di raccolta da parte del Comune (nella specie, in area industriale dove la società ricorrente deteneva uno stabilimento di produzione di elettrodomestici del freddo); – tale mancata effettuazione deponesse, infatti, non per l’esenzione ma unicamente per la riduzione del quantum preteso dalla concessionaria, così come disposto dal D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 58,59 e 62.

Resiste con controricorso la Publiservizi srl, la quale formula altresì due motivi di ricorso incidentale tardivo.

Publiservizi srl ha depositato memoria.

1.2 Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, da quest’ultima opposta, per mancata sottoscrizione da parte del difensore, nella copia notificata, dell’autentica di firma in calce alla procura.

L’orientamento di legittimità, superando il precedente menzionato dalla controricorrente (Cass. 10388/05), può dirsi infatti ormai consolidato nel senso che: “qualora l’originale del ricorso per cassazione o del controricorso (contenente, eventualmente, anche il ricorso incidentale) rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione della parte conferentegli tale procura, la mancanza di detta firma e della menzionata autenticazione nella copia notificata non spiega effetti invalidanti, purchè la copia stessa contenga elementi – come l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente – idonei ad evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale” (Cass. 636/07; così Cass. 5932/10; 13524/14).

Nel caso di specie – indipendentemente dalla mancata riproduzione della sottoscrizione dell’autentica di firma nella copia notificata – non vi sono elementi che inducano a dubitare del fatto che il ricorso, così come risultante dall’originale, provenga dal difensore munito di mandato speciale (avv. Raffaele Santillo); difensore che, in quanto tale, richiese la notificazione del ricorso medesimo all’ufficiale giudiziario presso la corte di appello di Napoli, come da questi attestato.

2.1 Con l’unico motivo di ricorso principale la Co.Pro. spa lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62 e art. 59, comma 4. Per avere il giudice di appello erroneamente ritenuto che l’omissione del servizio di raccolta RSU da parte del Comune (nella specie pacifica, e comunque comprovata dagli esborsi da essa sostitutivamente eseguiti a favore di una ditta privata di raccolta) determinasse, non l’esenzione dal tributo, ma la sua mera riduzione quantitativa. In caso di preclusione oggettiva alla fruizione del servizio per mancata sua erogazione da parte del Comune, verrebbe meno il presupposto impositivo stesso della Tarsu; fermo restando l’obbligo di pagamento nel diverso caso in cui il contribuente, spontaneamente, non si avvalga del servizio messogli effettivamente a disposizione.

p. 2.2 Il motivo è infondato per le stesse ragioni già recepite da questa corte di legittimità – tra le stesse parti, sebbene con riguardo ad altre annualità di imposta – nelle ordinanze nn. 17492 e 17493/17, che qui si richiamano.

Anche nel presente caso, la ratio decidendi adottata dal giudice di merito deve ritenersi conforme a quanto disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4 (nel senso della riduzione, e non dell’esenzione), così come interpretato dal consolidato orientamento di legittimità.

Secondo tale orientamento (Cass. nn. 21508/05; 18022/13; 14541/15, ord.; 22531/17, ord.), infatti: – i Comuni devono istituire una apposita tassa annuale su base tariffaria che viene a gravare su chiunque occupi o conduca i locali, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi sono istituiti; – salva l’autorizzazione dell’ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità, tale tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, sempre che quest’ultimo sia istituito, e sussista la possibilità della sua utilizzazione; – quest’ultima affermazione non significa però “che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato dall’ente impositore in modo regolare, così da consentire al singolo utente di usufruirne pienamente”, posto che, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 59, l’omesso svolgimento, da parte del Comune, del servizio di raccolta, istituito ed attivato, nella zona ove è ubicato l’immobile a disposizione dell’utente comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì la sua debenza in misura ridotta; – ciò perchè la ragione istitutiva del prelievo è quella di porre le amministrazioni locali nelle condizioni di soddisfare interessi generali della collettività, piuttosto che; di fornire delle prestazioni riferibili ai singoli utenti, sicchè la stessa qualificazione di “tassa” (che si basa in realtà sulla tendenziale rispondenza del gettito al costo globale del servizio) non inficia la sostanziale “non commutatività” del tributo; – tanto più considerato che l’introito di quest’ultimo mira a coprire altresì i costi di gestione di altri servizi similari e correlati svolti genericamente a favore della collettività (es., la pulitura delle strade); e che l’ipotetica non effettuazione del servizio di raccolta in una determinata area municipale non esclude la fruizione del servizio pubblico per le attività di smaltimento e riciclaggio complessivo dei RSU altrimenti raccolti e conferiti.

Nel caso di specie, è incontroverso che lo stabilimento della società ricorrente ricada nel territorio comunale di Caserta; e che in tale Comune il servizio di gestione dei RSU sia stato istituito sull’intera area corrispondente al territorio municipale.

3.1 Con il primo motivo di ricorso incidentale Publiservizi srl deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.(ultrapetizione). Per avere la commissione tributaria regionale determinato esse stessa il quantum dovuto (in ragione della percentuale di detassazione ravvisata), nonostante che la società contribuente avesse chiesto l’annullamento totale dell’avviso di pagamento, e che nessuna domanda di minore determinazione fosse stata formulata.

3.2 Il motivo è infondato.

La commissione tributaria regionale – in parziale riforma della sentenza di primo grado – ha ritenuto la solo parziale illegittimità dell’avviso di pagamento in oggetto; e ciò sulla base dell’applicazione alla fattispecie di un determinato regime giuridico, quello appunto comportante l’abbattimento tariffario del 60% ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4.

Da un lato, si è dunque trattato di una quantificazione direttamente discendente dalla corretta applicazione della disciplina normativa di riferimento (attività di per sè demandata ai poteri ufficiosi del giudice); mentre, dall’altro, la rideterminazione del dovuto ben poteva e doveva ritenersi ricompresa (in quanto minus, in raffronto alle istanze della società contribuente) nella domanda di annullamento totale e, dunque, nel petitum sostanziale dedotto in giudizio.

Va d’altra parte considerato che la quantificazione così operata dal giudice di appello – nell’ambito di una cognizione resa tipica proprio perchè non limitata alla conferma ovvero annullamento dell’atto impositivo impugnato, ma estesa alla legalità sostanziale ed alla determinazione dei limiti di fondatezza nel merito della pretesa tributaria – è dipesa dalla delibazione dei medesimi fatti dedotti in giudizio dalle parti; segnatamente, per quanto concerne le modalità di espletamento (o non espletamento) del servizio.

Va poi osservato come la stessa ricorrente incidentale avesse formulato, in appello, domanda subordinata di riconoscimento della pretesa avversaria nei limiti del minor importo di Euro 9842,08 (poi recepito dalla commissione tributaria regionale); di per sè attestante la sollecitazione del giudice ad addivenire, sebbene subordinatamente al rigetto delle istanze principali, ad una diversa quantificazione del dovuto.

Deve dunque concludersi che la commissione tributaria regionale ha fatto corretta applicazione del pacifico orientamento, secondo cui “dalla natura del processo tributario – il quale non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento”, ma tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio – discende che, ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento non per motivi formali (ossia per vizi di forma talmente gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario), ma di carattere sostanziale, detto giudice non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte” (Cass. 6918/13; così 26157/13; 24611/14 ed innumerevoli altre).

4.1 Con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta “omesso esame” di un fatto decisivo per il giudizio. Per avere la commissione tributaria regionale riconosciuto la riduzione tariffaria nella misura massima di legge (60%), senza considerare che: – il servizio di raccolta era, nella zona di riferimento, regolarmente espletato, come da piano di “cassonettizzazione” in atti; – nessuna efficacia probante poteva desumersi dai contratti stipulati dalla società contribuente con operatori privati, in realtà riferibili a rifiuti diversi da quelli urbani o assimilati.

p. 4.2 Questo motivo di ricorso non può trovare accoglimento, risultando finanche inammissibile là dove deduce un’ipotesi di “omesso esame” del tutto estranea – perchè sostanzialmente riconducibile all’erronea valutazione probatoria – alla nuova formulazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui applicabile ratione temporis.

Lungi dall’omettere di prendere in considerazione – quale fatto costitutivo della riduzione tariffaria – il mancato regolare espletamento del servizio di raccolta RSU nella zona di insediamento dello stabilimento della contribuente, la commissione tributaria regionale si è fatta carico di esplicitare che: – la concreta fattispecie dedotta in giudizio rientrava nell’ipotesi di cui il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, appunto sotto tale profilo di mancata regolare prestazione del servizio; – quest’ultima circostanza doveva desumersi, in fatto, tenuto conto della documentazione prodotta in atti dalla società e, segnatamente dall’atto pubblico notarile a contenuto dichiarativo, fogli da 75 a 78 della nota di deposito del 26 settembre 2011″.

Si tratta, all’evidenza, di una univoca presa di posizione sul fatto che la società avesse fornito la prova, su di essa gravante, del diritto – se non all’esenzione dal tributo – alla sua riduzione nei limiti discrezionalmente individuati dal giudice di merito entro i margini di legge.

Il che basta ad escludere il vizio lamentato, atteso quanto stabilito (a valere anche per il ricorso per cassazione avverso sentenze del giudice tributario) da Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) secondo cui: “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciatile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (così, in seguito, Cass. n. 12928/14; Cass. ord. n. 21257/14; Cass. 2498/15 ed altre).

Vanno in definitiva respinti sia il ricorso principale sia quello incidentale; con conseguente compensazione delle spese di lite.

PQM

La Corte

– rigetta il ricorso principale;

– rigetta il ricorso incidentale;

– compensa le spese;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente sia principale sia incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 19 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2018

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