Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19807 del 17/09/2010
Cassazione civile sez. I, 17/09/2010, (ud. 05/05/2010, dep. 17/09/2010), n.19807
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
A.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la
cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso
dall’avv. MARRA Alfonso Luigi, per procura in atti;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro
tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per
legge;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli in data 30 agosto
2007, cron. n. 5733/07, nella causa iscritta al n. 1249/2007 R.G.;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 5
maggio 2010 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;
alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale, Dott. PRATIS Pierfelice, che nulla ha
osservato.
La Corte:
Fatto
FATTO E DIRITTO
A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata all’avvocato del ricorrente:
“il Consigliere relatore, letti gli atti depositati;
ritenuto che:
1. A.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Napoli in data 30 agosto 2007 in materia di equa riparazione della L. n. 89 del 2001, ex art. 2;
1.1. il Ministero dell’Economia e delle Finanze intimato ha resistito con controricorso;
Osserva:
2. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;
3. il secondo ed il terzo motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto, da un lato, è vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597;
2008/14), e, sotto altro profilo, in quanto, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice nazionale, pur non potendo ignorare i criteri applicati in casi simili dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha comunque facoltà di apportare, motivatamente e non irragionevolmente, le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, le quali, peraltro, non possono fondare la decisione di liquidare somme che non siano in relazione ragionevole con quella – tra i 1000,00 e i 1500,00 Euro – accordata dalla predetta Corte negli affari consimili (Cass. 2006/24356; 2007/2254); nella specie, la Corte di appello si è attenuta a tali principi, facendo riferimento ai parametri CEDU, sia pure nella misura minima in considerazione della natura della controversia;
4. il quarto, quinto e sesto motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetari a nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);
5. appaiono altresì manifestamente infondate le censure sulla compensazione delle spese processuali, in quanto per effetto del richiamo operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4, nel giudizio per l’equa riparazione della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo trovano applicazione le norme del codice di rito (Cass. 2004/23789; 2007/14053) e a norma dell’art. 92 c.p.c., il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati in motivazione; nella specie, la Corte di merito ha sufficientemente motivato la compensazione parziale delle spese facendo riferimento alla particolare matura della controversia e delle questioni trattate, oggetto di un’elaborazione giurisprudenziale complessa e non sempre univoca;
6. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in Camera di consiglio ai sensi degli arti 375 e 380 bis c.p.c.”;
B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione;
ritenuto pertanto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato e che le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna A.G. al pagamento in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2010