Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19805 del 26/07/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 19805 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: RUBINO LINA

ORDINANZA
sul ricorso 2842-2017 proposto da:
COMUNE SAN MANGO D’AQUINO C.F.00298010794, in
persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DELLA BALDUINA n.28, presso A. CORACE,
rappresentato e difeso unitamente e disgiuntamente dagli avvocati
BRUNO RODOLFO RUBERTO, e FRANCESCO SCALZI;

– ricorrente contro
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE CATANZARO, in
persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA n.2,
presso lo studio dell’avvocato ROBERTO AMODEO,

Data pubblicazione: 26/07/2018

rappresentata

e

dall’avvocato

difesa

ANTONELLO

BEVILACQUA;

– controri corrente e ricorrente incidentale contro
TONINO, FERLAINO NADIA MARIA, FERLAINO
LOREDANA;

intimati

avverso la sentenza n. 1719/2016 della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO, depositata il 28/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 11/04/2018 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA
DECISIONE
Il Comune di San Mango d’Aquino propone due motivi di
ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di
Catanzaro n. 1719 del 2016, depositata il 28.10.2016, notificata il 4
novembre 2016, regolarmente depositata in copia notificata, nei
confronti dell’Amministrazione provinciale di Catanzaro, che
resiste con controricorso contenente anche un motivo di ricorso
incidentale, nonché dei signori Ferlaino Angelo, Orietta, Tonino,
Nadia Maria e Loredana, intimati, che non hanno svolto attività
difensiva in questa sede.
Questa la vicenda, per quanto qui interessa :

Ric. 2017 n. 02842 sez. M3 – ud. 11-04-2018
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FERLAINO ANGELO, FERLAINO ORIETTA, FERLAINO

i signori Ferlaino, padre e fratelli del defunto Ferlaino Roberto,
convenivano in giudizio l’Amministrazione provinciale di
Catanzaro e il Comune di San Mango d’Aquino, per sentirli
condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito della morte

ruota dello stesso su un mucchio di detriti presenti sulla
carreggiata stradale e perdeva il controllo del mezzo.
La domanda veniva accolta in primo grado, con ripartizione
della responsabilità al 70% a carico del Comune e il residuo 30% a
carico dell’amministrazione provinciale.
Proponeva appello principale la Provincia, ed appello
incidentale il Comune, che lamentava anche non si fosse accertata
quanto meno la corresponsabilità del conducente, che viaggiava
con il casco slacciato.
La corte d’appello confermava integralmente la pronuncia di
primo grado.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, in
applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., su
proposta del relatore, in quanto ritenuto inammissibile.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, ritiene di
condividere la soluzione proposta dal relatore.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2043, 2051 e 2697 c.c., nonché della
normativa in materia di valutazione della prova nel giudizio
penale, dell’art. 171 del codice della strada, dell’art. 75 c.p., degli
artt. 112, 115 e 116 c.p.c.

Ric. 2017 n. 02842 sez. M3 – ud. 11-04-2018
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del loro congiunto che, alla guida di un motoveicolo, finiva con la

Con il secondo motivo si censurano sempre le violazioni degli
artt. 2043, 2051, 2697 c.c., nonché dell’art. 112 c.p.c.
I due motivi sono entrambi inammissibili.
Con il primo, attraverso una apparente denuncia di violazione di

l’accertamento compiuto dal giudice di merito ai fini di ritenere
esente da ogni responsabilità il giovane motociclista, il cui casco ha
ritenuto si fosse sganciato a causa dell’impatto con il terreno e non
perché egli viaggiasse con il casco non allacciato. Il ricorrente
sottolinea che la corte d’appello non ha considerato la velocità
troppo elevata ed il fatto che il motociclista percorresse una strada
a lui ben nota, delle cui eventuali alterazioni avrebbe dovuto essere
consapevole, ed invece ha ritenuto responsabili le due
amministrazioni territoriali, in particolare il Comune per conto
del quale alcuni lavoratori avevano eseguito uno scavo lasciando i
detriti sulla sede stradale.
Critica poi la sentenza di merito anche per aver il giudice civile
fondato il proprio convincimento in larga parte sul recepimento
delle risultanze delle indagini preliminari condotte in sede penale.
Inoltre, afferma che la sentenza civile si è basata sulle
dichiarazioni di un teste che, essendo marito di una delle
danneggiate, avrebbe dovuto essere ritenuto incapace a
testimoniare.
Le considerazioni che precedono sono quasi tutte censure in
fatto,

come

inammissibili;

tali

all’inammissibilità

del

teste

Ric. 2017 n. 02842 sez. M3 – ud. 11-04-2018
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le

avrebbero

censure
dovuto

relative
essere

legge e di omessa pronuncia, in realtà il ricorrente censura

tempestivamente dedotte nel giudizio di merito e tanto non risulta
precisato; quanto alle risultanze della istruttoria penale esse erano
liberamente apprezzabili dal giudice di merito.
Si aggiunga che risulta totalmente inosservato anche l’art. 366 n. 6

risultanze probatorie senza fornirne l’indicazione specifica sia
sotto il profilo della riproduzione diretta o almeno indiretta (con
indicazione della parte corrispondente all’indiretta riproduzione),
sia quanto alla localizzazione.
Si aggiunga che non vi è alcuna espressa o almeno percepibile
attività argomentativa sulla violazione o falsa applicazione dell’art.
2043 e dell’art. 2697 c.c.; che tutta l’illustrazione, in realtà, si
risolve nel surrettizio tentativo di sollecitare una rivisitazione della

quaestio facti al di fuori di quanto è oggi consentito dal nuovo n. 5
secondo la lettura di cui a Cass. sez. Un. nn. 8053 e 8054 de 2014.
Con il secondo motivo, ribadite le critiche sull’an, il ricorrente
lamenta che il danno non patrimoniale sia stato liquidato in
misura eccessiva, facendo riferimento al massimo consentito dalle
tabelle anziché ai valori minimi. La censura in parte è generica, in
parte è infondata, laddove il ricorrente fa riferimento
all’intervenuto rigetto della domanda di risarcimento del danno
patrimoniale, per mancanza di prova che il defunto contribuisse
alle esigenze economiche della famiglia, per cercare di ricavare da
ciò l’implicito accertamento della esistenza di un legame familiare
poco significativo, e quindi non meritevole di essere tenuto in
conto con una significativa personalizzazione in aumento del

Ric. 2017 n. 02842 sez. M3 – ud. 11-04-2018
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c.p.c., atteso che per tutta l’illustrazione si evocano una serie di

danno non patrimoniale, rispetto ai valori tabellari, in
considerazione della gravità della perdita subita e della sofferenza
della famiglia. Il rigetto della domanda di risarcimento del danno
patrimoniale, in relazione alla morte di un ragazzo di giovane età,

economicamente ai bisogni della famiglia, non implica in alcun
modo, di per sé, una implicita valutazione di scarsa significatività
della relazione personale ed affettiva del ragazzo con la vita e il
mondo degli affetti della famiglia.
Il ricorso principale va pertanto dichiarato complessivamente
infondato.
Il ricorso incidentale dell’Amministrazione provinciale contesta la
sentenza d’appello laddove ha ritenuto positivamente accertata la
corresponsabilità, seppure in misura minore,
dell’amministrazione, responsabile per custodia, per non aver essa
ottemperato al proprio obbligo di far liberare tempestivamente la
strada.
Il

ricorso

incidentale,

essendo

decorso

a

carico

dell’Amministrazione Provinciale di Catanzaro il termine breve
per impugnare quando la stessa ha notificato il proprio ricorso, è
da considerarsi impugnazione incidentale tardiva e, dunque,
dichiarato inammissibile il ricorso principale, giusta l’art. 334,
secondo comma, cod. proc. civ. è inefficace.
Peraltro, va rilevato che esso contesta essenzialmente la
ricostruzione in fatto contenuta nella sentenza d’appello e che, se

Ric. 2017 n. 02842 sez. M3 – ud. 11-04-2018
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che quindi ancora non fosse ancora in grado di contribuire

anche non fosse sussistito il profilo di inefficacia, avrebbe dovuto
essere dichiarato inammissibile.
Tanto costituisce ragione per compensare le spese.
Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo

accoglimento, la Corte, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del
d.P.R. n. 115 del 2002 , si dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inefficace quello
incidentale. Compensa le spese.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte
del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione 1’11
aprile 2018

Il yresidente

posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione del mancato

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