Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19803 del 28/09/2011

Cassazione civile sez. III, 28/09/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 28/09/2011), n.19803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARLEO Giovanni – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio dell’avvocato

RUFFOLO UGO, che lo rappresenta, e difende giusto mandato in atti;

– ricorrenti –

contro

P.L. (OMISSIS), FA.GA.

(OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CICERONE

44, presso lo studio dell’avvocato SANTORO PAOLO, che le rappresenta

e difende giusto mandato in atti;

A.U.S.L. DI RIMIMI in persona del Direttore Generale Sig. T.

M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI

35, presso lo studio dell’avvocato VINCENTI MARCO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MONTEBELLI QUARTO giusto mandato in

atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 293/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 04/03/2009, R.G.N. n. 92/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato PIERA CARTONI MOSCATELLI per delega;

udito l’Avvocato ANGELA CARMELA DONATACCIO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La domanda di F.A., volta a ottenere il risarcimento dei danni (pari a L. 1 miliardo), in solido, dalla AUSL di Rimini, da Fa.Ga. e da P.L. – danni subiti in conseguenza della diffamazione attribuita alla Fa. e alla P., assistenti sociali dipendenti della AUSL, cui il Tribunale per i minori aveva affidato i figli del F. per il supporto psicologico e per l’opera di mediazione tra i genitori – veniva rigettata dal Tribunale di Rimini che, accoglieva la riconvenzionale avanzata dalle assistenti sociali, condannando il F. al pagamento di Euro 5.000,00 per ciascuna, riconoscendo la diffamazione nei confronti delle stesse.

2. L’impugnazione proposta dal F. veniva rigettata dalla Corte di appello di Bologna (sentenza del 4 marzo 2009).

3. Avverso la suddetta sentenza il F. propone ricorso per cassazione con sei motivi, corredati da quesiti ed esplicati da memoria. Resistono con distinti controricorsi l’AUSL di Rimini, da un lato; la Fa. e la P., dall’altro.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il collegio ha disposto l’adozione di una motivazione semplificata. E’ applicabile ratione temporis l’art. 366-bis cod. proc. civ. 2. I primi cinque motivi di ricorso censurano la sentenza nella parte in cui ha confermato il rigetto della domanda di risarcimento proposta dal F..

2.1. Il primo motivo, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2049, 2056 e 2059 cod. civ., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, si conclude con due quesiti, che riguardano solo l’art. 2043 cod. civ., come del resto la parte esplicativa del motivo.

Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. perchè articola due distinti quesiti di diritto in riferimento ad un’unica violazione di legge. Invece, la Corte ha ritenuto possibili plurimi quesiti a conclusione di un unico motivo solo se essi corrispondono a concorrenti violazioni di legge (Cass. 9 giugno 2010, n. 13868).

2.2. Il secondo e il terzo motivo deducono omessa e insufficiente motivazione nella parte in cui la sentenza ha ritenuto l’adempimento del dovere d’ufficio da parte delle operatrici della AUSL. Il secondo si conclude con due momenti si sintesi; il terzo con quattro momenti di sintesi. In particolare, il secondo deduce il carattere tautologico della motivazione riscontrabile nella parte in cui da rilievo alla circostanza che il tribunale dei minori sancì la decadenza della potestà sulla base delle relazioni; profilo ripetuto nel terzo; il terzo deduce, inoltre: la negazione di ogni valore probatorio alle perizie psicologiche cui il F. si era sottoposto; l’aver desunto la liceità del comportamento dal mancato ricorso ad altri esperti da parte del tribunale di minori. Entrambi i motivi sono inammissibili per plurime ragioni. Per inidoneità del momento di sintesi, richiesto dall’art. 366-bis cod. proc. civ. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5), laddove i motivi censurano la motivazione della sentenza senza che l’illustrazione si concretizzi in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assume omessa o insufficiente, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Inoltre, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, essendo necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito (Cass. 20 novembre 2009, n. 2009).

Infine, le censure avanzate si sostanziano nella critica di in un apprezzamento dei fatti e delle prove fatta dal giudice in senso difforme da quello preteso dalla parte, con conseguente inammissibilità in sede di legittimità (Cass. 18 marzo 2011, n. 6288).

2.3. Con il quarto e quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si ravvisa la suddetta violazione nell’avere la Corte di merito ritenuto irrilevanti le perizie cui si era sottoposto il F. (quarto) e nel non avere la Corte esaminato affatto la copiosa documentazione prodotta nel giudizio di appello (relativa al giudizio penale nei confronti della moglie, al giudizio per la reintegrazione della potestà ecc). Preliminare – alla verifica della idoneità, o meno, dei quesiti che concludono i motivi – è la inammissibilità derivante dall’aver dedotto la violazione dell’art. 116 e 115 cod. proc. civ. rispetto a vizi deducibili solo come difetto di motivazione, consistendo nell’omesso esame di documentazione e nel giudizio di rilevanza rispetto ad altra documentazione.

Infatti, la Corte ha ritenuto che “Poichè l’art. 116 cod. proc. civ. prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure che il legislatore prevede per una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi). La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 cod. proc. Civ. (Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965).

3. Il sesto motivo censura la sentenza, nella parte in cui ha confermato la condanna del F. al risarcimento in favore della Fa. e della P., sotto due distinti profili.

Entrambi sono inammissibili per violazione dell’art. 360-bis. cod. proc. civ. Con un primo profilo si deduce insufficiente motivazione, in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 nella parte in cui la sentenza non considera la prova della veridicità degli addebiti mossi dal F., dall’altro non considera l’eccepita assenza dei presupposti di fatto e di diritto per la sussistenza della diffamazione.

Il momento di sintesi richiesto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 è inidoneo, non risultando individuato il fatto controverso, ed essendo, piuttosto, strutturato come violazione di diritto.

Con un secondo profilo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ., dell’art. 595 cod. pen., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 censurando la decisione nella parte in cui avrebbe riconosciuto la diffamazione posta in essere dal F. in contrasto con l’evidenza probatoria.

Si tratta di quesito astratto e generico; inoltre, già nella prospettazione, è evidente la richiesta di una rivalutazione di merito. 4. In conclusione, il ricorso è inammissibile, stante la inammissibilità di tutti i motivi in cui si articola. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate unitariamente per Fa. e P., che hanno resistito con unico controricorso.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso; condanna F.A. al pagamento delle spese processuali de giudizio di cassazione: in favore della AUSL di Rimini, che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge; in favore di Fa.Ga. e P.L., che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2011

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