Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19801 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. II, 22/09/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 22/09/2020), n.19801

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14568/2016 proposto da:

P.M.R., D.F.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 199, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO TALLARICO, rappresentati e difesi

dall’avvocato CLAUDIO RUSSO;

– ricorrenti –

contro

P.G.G., rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA

CUOMO;

I.L., G.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO,

rappresentati e difesi dagli avvocati PASQUALE LAMBIASE, ROSA ANNA

RUSSO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1216/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/01/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

che:

1. Con atto di citazione del 21 febbraio 2006 G.L. e I.L., premesso di aver acquistato da D.F.S. e P.M.R. un fondo agricolo con all’interno un comodo rurale e di essersi in seguito avveduti dell’illegittimità del comodo a causa della mancanza di concessione edilizia (era infatti risultato che, contrariamente a quanto dichiarato nell’atto di vendita dai venditori, il comodo era stato costruito in epoca successiva al 1967), convenivano in giudizio questi ultimi chiedendo che venisse dichiarata la nullità dell’atto di vendita e la condanna dei convenuti alla restituzione del prezzo corrisposto nonchè al risarcimento del danno.

Con successivo atto di citazione del 10 aprile 2006, P.G.G. conveniva a sua volta in giudizio G.L. e I.L., esercitando il proprio diritto di prelazione agraria e chiedendo di trasferire in proprio favore il fondo oggetto di causa, previo pagamento di Euro 12.000.

Riunite le due cause, il Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, con sentenza n. 257/2012 rigettava sia la domanda dei coniugi G. – I. sia quella di P.G.G.. A seguito della simulazione del prezzo di vendita emersa nel corso del giudizio, il Tribunale disponeva inoltre la trasmissione del contratto preliminare e degli assegni bancari allegati alla domanda dei coniugi G. – I. all’Agenzia delle entrate.

2. Contro la sentenza proponeva appello P.G.G.. Costituitisi in giudizio, i coniugi G. – I. spiegavano a loro volta appello incidentale in merito al rigetto della loro domanda di nullità del contratto di vendita.

La Corte d’appello di Napoli riteneva non veritiera la dichiarazione di D.F.S. e P.M.R. circa la data di costruzione del comodo rurale, costruzione per la quale era necessaria apposita concessone edilizia; con sentenza 23 marzo 2016, n. 1216 dichiarava pertanto la nullità del contratto di compravendita del fondo per illiceità dell’oggetto e condannava gli appellati alla restituzione della somma di Euro 176.768 in favore dei coniugi G. – I.; dichiarava assorbito l’appello principale, essendo venuto meno il presupposto per l’esercizio del diritto di prelazione da parte di P.G.G..

3. Contro la sentenza ricorrono per cassazione D.F.S. e P.M.R..

Resistono con distinti controricorsi G.L. e I.L. e P.G.G..

G.L. e I.L. hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.; memoria è stata depositata anche da G.L., con la richiesta di condannare i ricorrenti ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

a) Il primo motivo denuncia “violazione dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”: la Corte d’appello ha erroneamente negato valore di piena prova, fino a querela di falso, alla dichiarazione relativa all’epoca di costruzione del comodo rurale, dichiarazione resa dai venditori nell’atto pubblico di vendita.

Il motivo non può essere accolto. Come ha precisato la Corte d’appello, “l’efficacia probatoria dell’atto pubblico, nella parte in cui fa fede fino a querela di falso, è limitata agli elementi estrinseci dell’atto, indicati all’art. 2700 c.c., e non si estende al contenuto intrinseco del medesimo, che può anche non essere veritiero; è pertanto ammessa qualsiasi prova contraria, nei limiti consentiti dalla legge, in ordine alla veridicità e all’esattezza delle dichiarazioni rese nel menzionato atto dalle parti” (così, da ultimo, Cass. 20214/2019).

b) Il secondo motivo lamenta “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 445 del 2000, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”: la Corte d’appello, nell’affermare che la dichiarazione dei ricorrenti non aveva fede privilegiata, non ha considerato che la dichiarazione è stata resa nelle forme della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, che “trasforma l’attestazione resa dal privato da mera dichiarazione con valenza probatoria semplice a dichiarazione con valore probatorio privilegiato”.

Il motivo è infondato. La L. n. 47 del 1985, art. 40, dispone che “per le opere iniziate anteriormente al 1 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio (..), attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967; tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all’atto medesimo”. Il fatto che la dichiarazione sostitutiva sia ricevuta e inserita nell’atto di vendita non muta l’efficacia probatoria della dichiarazione, che secondo la giurisprudenza di questa Corte “ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale” (così da ultimo Cass. 32569/2019).

c) Il terzo motivo contesta “violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 e 184 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”: la Corte d’appello, nell’attribuire valore probatorio a un elemento di prova piuttosto che a un altro non ha dato “adeguata e congrua motivazione” laddove ha ritenuto raggiunto il proprio convincimento circa la non veridicità della dichiarazione dei ricorrenti.

Il motivo non può essere accolto. La valutazione delle prove e la scelta, tra varie risultanze istruttorie, di quelle idonee a dimostrare i fatti di causa spettano – sono gli stessi ricorrenti a dirlo a p. 10 del ricorso – al giudice di merito e la Corte d’appello ha sufficientemente motivato al riguardo (si rammenta che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, n. 5, il sindacato di legittimità è ridotto al minimo costituzionale, con la conseguenza che risulta “denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali”, Cass., sez. un., n. 8038/2018).

d) Il quarto motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”: la Corte d’appello, relativamente all’effetto restitutorio della dichiarazione di nullità, ha condannato i ricorrenti a pagare la somma di Euro 170.000, effettivamente esborsata, e non quella di Euro 12.000, dichiarata nel rogito a fini fiscali, in tal modo non considerando che il contratto dissimulato, che prevedeva l’esborso di una somma superiore a quella dichiarata nel negozio simulato, ha causa illecita, perchè contraria a norme imperative, essendo in particolare volto a eludere la normativa fiscale, così che alcuna somma può essere richiesta ai ricorrenti.

Il motivo è infondato. Il ragionamento dei ricorrenti non considera che la restituzione di quanto pagato consegue alla dichiarazione di nullità del contratto di compravendita; il fatto poi che il prezzo dichiarato nel rogito fosse inferiore rilevava ai fini fiscali (ed infatti il giudice di primo grado ha trasmesso all’Agenzia delle entrate il contratto preliminare e gli assegni bancari allegati alla domanda degli attori), ma non ai fini della restituzione.

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Quanto alla richiesta di condanna dei ricorrenti ai sensi dell’art. 96, comma 3, la disposizione (introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 45) non è applicabile al caso in esame (il processo ha infatti avuto inizio il 21 febbraio 2006) e neppure trova applicazione l’art. 385 c.p.c., comma 4 (in vigore dal 2 marzo 2006), che prevedeva la possibilità per la Corte di cassazione di condannare, anche d’ufficio, la parte che ha proposto ricorso anche solo con colpa grave.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente P.G.G. che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, nonchè in favore dei controricorrenti I.L. e G.L. che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

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