Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19801 del 17/09/2010

Cassazione civile sez. I, 17/09/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 17/09/2010), n.19801

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.S.M., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso

la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv. MARRA Alfonso Luigi per procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma in data 13 febbraio

2007, nella causa iscritta al n. 53852/05 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21 aprile 2010 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale, Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che nulla ha

osservato;

La Corte:

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“Il Consigliere Relatore, letti gli atti depositati;

Ritenuto che:

1. C.S.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 13 febbraio 2007, con il quale la Corte di appello di Roma ha condannato la il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della menzionata ricorrente della somma di Euro 2000,00, a titolo di indennizzo per il superamento in primo grado del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tribunale di Nola, Sezione Lavoro, per conseguire l’indennità di accompagnamento, con ricorso del 31 maggio 2000 ed ancora pendente alla data del 19 maggio 2005;

1.1. il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso;

Osserva:

2. la Corte di appello di Roma ha accolto la domanda nella misura di Euro 2000,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di due anni al termine ragionevole e liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 1000,00 ad anno;

3. il ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo dieci motivi di ricorso, con i quali lamenta:

3.1. la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (primo motivo); la mancata considerazione della natura previdenziale della causa, ai fini della determinazione del termine ragionevole di durata del processo e dell’equo indennizzo (secondo motivo); il mancato riconoscimento, con vizio di motivazione e in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, del bonus di Euro 2.000,00, trattandosi di controversia in materia previdenziale (terzo, quarto e quinto motivo);

3.2. l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, senza specifica motivazione, con erronea applicazione delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello, senza tener conto dei parametri CEDU e dei criteri seguiti dalla Corte di cassazione e disattendendo i minimi tariffari e la nota spese depositata, (motivi da sei a dieci);

4. i motivi di cui al punto 3.1., esaminati congiuntamente, appaiono manifestamente infondati, in quanto, la Corte di appello, ai fini della determinazione del termine ragionevole di durata, si è attenuta ai criteri di valutazione indicati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, in conformità ai parametri fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo un ragionevole criterio di valutazione che resiste alle infondate critiche del ricorrente, considerato comunque che, attesa la natura ordinatoria dei termini previsti dal codice di rito per la trattazione delle controversie di lavoro e di previdenza e assistenza, la violazione del principio della ragionevole durata del processo non può discendere in modo automatico dall’accertata inosservanza dei termini medesimi, dovendo in ogni caso il giudice della riparazione procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. 2004/6856; 2005/19204; 2005/19352); inoltre in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice nazionale, pur non potendo ignorare i criteri applicati in casi simili dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha pur sempre facoltà di apportare, motivatamente e non irragionevolmente, le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, le quali, peraltro, non possono fondare la decisione di liquidare somme che non siano in relazione ragionevole con quella – tra i 1000,00 e i 1500,00 Euro – accordata dalla predetta Corte negli affari consimili (Cass. 2006/24356; 2007/2254); nella specie, la Corte di appello si è attenuta a tali principi, facendo riferimento ai parametri CEDU sia pure nella misura minima; deve altresì tenersi conto che non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411;

2008/6898);

4.1 appaiono altresì manifestamente infondate le censure di cui al punto 3.2,, in quanto non risulta dal decreto impugnato l’applicazione della tariffa relativa alla volontaria giurisdizione, anzichè di quella attinente al contenzioso, mentre parte ricorrente non ha specificamente e analiticamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le voci e gli importi richiesti e a lei spettanti (Cass. 2005/21325;

2006/9082), nè ha dimostrato specificamente l’attribuzione di importi inferiori ai minimi inderogabili (Cass. 2007/5318), ma si è limitata alla generica denuncia dell’inosservanza delle tariffe professionali vigenti, nonchè delle voci e degli importi indicati nella nota spese, fermo restando che in tema di spese processuali possono essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali (Cass. 1999/4347; 2000/4818; 2001/1485) e che nei giudizi di equa riparazione la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, senza tener conto degli onorari liquidati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cass. 2008/23397);

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati ai punti 4. e 4,1. si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che la ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione, non inficiate dalle difese svolte nella suddetta memoria dalla ricorrente, che non ha addotto argomentazioni che inducano a differenti conclusioni;

ritenuto pertanto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato e che le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del Ministero della giustizia delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 800,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2010

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