Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19800 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 23/07/2019), n.19800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17790-2015 e sul ricorso riunito 24710/2017, entrambi

proposti da:

A.F. (C.F. (OMISSIS)), in proprio e nella qualità di

titolare dell’omonima ditta individuale, rapp. e dif., in virtù di

procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti MARCO MICCINESI

e FRANCESCO PISTOLESI nonchè, relativamente al ricorso iscritto al

n. 24710/2017 del r.g., dall’Avv. MARCO ALLENA, unitamente ai quali

è elett.te dom.to in Roma, al V.le Liegi, n. 32, presso lo studio

dell’Avv. MARCELLO CLARICH;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p.t.

(C.F. (OMISSIS)), dom.to ope legis in Roma, alla Via dei Portoghesi,

n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rapp. e

dif.;

– controricorrente –

avverso le sentenze n. 1362/2015 e 1173/2017 della COMMISSIONE

TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, rispettivamente depositate il

02/04/2015 ed il 17/03/2017; udita la relazione della causa svolta

nella pubblica udienza del 27/03/2019 dal Consigliere Dott. GIAN

ANDREA CHIESI;

udito il Pubblico Ministero, nella persona del Dott. ETTORE PEDICINI,

che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

udito l’Avv. SIMONE GIANANNESCHI, per delega dell’Avv. FRANCESCO

PISTOLESI, per la parte ricorrente, nonchè l’Avv. GIULIO BACOSI per

la parte controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI notificò nel 2013 nei confronti del Sig. A.F. alcuni avvisi di accertamento, contestando allo stesso l’importazione, tra il 2009 ed il 2012, di carburante in esenzione dal pagamento dei diritti di confine, in quantità superiore a quella ammissibile in franchigia: in particolare, “da una verifica fiscale condotta presso la sede di autotrasportatori, tra cui la società in oggetto, i verificatori trovano che gli autotrasporti presentano dei serbatoi maggiorati o supplementari, dai quali fanno derivare che, in relazione ai rifornimenti di carburante effettuati nel territorio extra-doganale di Livigno, venduto senza IVA ed accise, il contribuente abbia potuto evadere detti tributi” (cfr. sentenza impugnata, p. 1), con conseguente necessità di procedere alla ripresa del carburante introdotto in eccesso in territorio italiano.

2. L’ A. impugnò tali provvedimenti innanzi alla C.T.P. di Sondrio, che rigettò i ricorsi con sentenza 57/2/14 la quale fu, a propria volta, sottoposta a gravame innanzi alla C.T.R. della Lombardia; quest’ultima, con sentenza n. 1362/2015, del 2.4.2015, confermò la decisione di prime cure, osservando come la ratio sottesa all’esenzione prevista dal Reg. n. 1186 del 2009, art. 107, (consistente nell’evitare l’assoggettamento in dogana del carburante acquistato fuori confine e utilizzato per lo svolgimento di attività di autorasporto” – cfr. sentenza n. 1362/2015, p. 2) imponga di considerare “normale” il serbatoio, anche se di capacità maggiore da quello ordinariamente montato dalla casa costruttrice, ma comunque risultante dalla scheda tecnica e dichiarato dal costruttore.

3. Avverso tale sentenza l’ A. ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Si è costituita ed ha resistito, con controricorso, l’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI.

4. Con successivo atto notificato nel 2014, l’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI irrogò nei confronti del medesimo sig. A.F., in proprio e quale titolare dell’omonima ditta individuale, le sanzioni amministrative conseguenti alla contestazione operata con gli avvisi di accertamento notificati nel corso del 2013 e di cui al precedente punto 1 della presente narrativa.

5. L’ A. impugnò anche tale provvedimento innanzi alla C.T.P. di Sondrio, la quale rigettò il ricorso con sentenza 64/2015; quest’ultima fu, a propria volta, sottoposta a gravame innanzi alla C.T.R. della Lombardia che, con sentenza n. 1173/2017, del 17.3.2017, confermò la decisione di prime cure, osservando – per quanto in questa sede interessa – che: a) alcun rilievo può assumere, quale esimente in favore del contribuente, la mancanza di contestazioni, da parte dell’Ufficio, durante i controlli cui il veicolo interessato dall’accertamento è stato sottoposto nel corso degli anni; b) nella specie, pur non potendosi ravvisare, nel comportamento del contribuente uno stato soggettivo di dolo, cionondimeno non è possibile escludere la colpa del contribuente, versandosi in presenza di norma che, in quanto sottesa ad un’agevolazione fiscale, è di stretta interpretazione e “non può creare alcuna difficoltà interpretativa”: sicchè, l’unico serbatoio da considerare come “normale”, ai sensi del Reg. CE n. 1186 del 2009, è quello fissato sin dall’origine dalla casa costruttrice su tutti i veicoli del medesimo tipo di quello sottoposto a controllo; c) non è intervenuta alcuna decadenza dell’Ufficio dal potere sanzionatorio; d) non è applicabile, nella materia delle sanzioni doganali, l’istituto del cumulo giuridico.

6. Anche avverso tale sentenza l’ A. ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. Si è costituita ed ha resistito, con controricorso, l’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va pregiudizialmente disposta la riunione del procedimento n. 24710/2017 a quello anteriormente iscritto al n. 17790/2015, vertendo le cause tra le stesse parti ed essendo indiscutibile la connessione oggettiva delle questioni da affrontare.

1.1. D’altra parte, “la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie” (così Cass., Sez. U., 23.1.2013, n. 1521; Cass., Sez. 5, 25.1.2019, n. 2148).

1.2. Consegue a tale provvedimento l’inammissibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del secondo motivo di ricorso nel procedimento iscritto al n. 24710/2017 R.G., con cui la difesa dell’ A. si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), della violazione dell’art. 295 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, comma 1-bis, per non avere la C.T.R. sospeso il procedimento relativo all’impugnazione dell’atto di irrogazione delle sanzioni, in attesa della definizione del giudizio relativo all’impugnazione della ripresa.

2. Con il primo motivo del ricorso iscritto al n. 17790/2015, parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del Reg. CE n. 1186 del 2009, art. 107, ed della Dir. n. 74 del 2007 CE, per avere la C.T.R. ritenuto che per “serbatoio normale” dovesse intendersi unicamente quello montato dal costruttore e risultante dalla scheda tecnica.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Il Reg. n. 1186 del 2009, art. 107, p. 1, lett. a), prevede che “Fatti salvi gli artt. 108, 109 e 110, sono ammessi in franchigia dai dazi all’importazione: a) il carburante contenuto nei serbatoi normali: – degli autoveicoli da turismo, degli autoveicoli commerciali e dei motocicli – dei contenitori per usi speciali, che entrano nel territorio doganale della Comunità”;

prosegue il successivo p. 2, lett. c), chiarendo che “per “serbatoi normali”: – i serbatoi che sono fissati in modo stabile dal costruttore su tutti gli autoveicoli dello stesso tipo del veicolo considerato e la cui sistemazione permanente consente l’utilizzazione diretta del carburante, sia per la trazione dei veicoli sia, all’occorrenza, per il funzionamento, durante il trasporto, dei sistemi di refrigerazione e degli altri sistemi; – i serbatoi di gas installati su veicoli a motore che consentono l’uso diretto del gas come carburante nonchè i serbatoi adattati agli altri sistemi di cui possono essere dotati i veicoli; – i serbatoi che sono fissati in modo stabile dal costruttore su tutti i contenitori dello stesso tipo del contenitore considerato e la cui sistemazione permanente consente l’utilizzazione diretta del carburante per il funzionamento, durante il trasporto, dei sistemi di refrigerazione e degli altri sistemi di cui sono dotati i contenitori per usi speciali”.

2.2.1. Orbene, quanto all’interpretazione di tali norme e, in particolare, della nozione di “serbatoio normale”, analoga questione si pose con riferimento al Reg. n. 918 del 1983, art. 112, n. 2, lett. c), come modificato dal Reg. n. 1315 del 1988, (di cui il Reg. CE n. 1186 del 2009, rappresenta, stando al relativo considerando n. 1, la codificazione) e fu risolta dalla Corte di Giustizia con la sentenza 3.12.1998, in causa C-247/97, Schoonbroodt, nei termini che seguono: “quando emana norme che concedono sospensioni di dazi doganali, il Consiglio deve tener conto delle esigenze della certezza del diritto e delle difficoltà alle quali devono far fronte le amministrazioni doganali nazionali (sentenza 18 marzo 1986, causa 58/85, Ethicon, Racc. pag. 1131, punto 12). Ne consegue che siffatte disposizioni devono essere interpretate restrittivamente, conformemente alla loro formulazione, sicchè non possono essere applicate, in contrasto con il loro tenore letterale, a prodotti che non sono da esse menzionati (sentenza 12 dicembre 1996, cause riunite da C-47/95 a C-50/95, C-60/95, C-81/95, C-92/95 e C-148/95, Olasagasti e a., Racc. pag. I6579, punto 20)…la formulazione della definizione di “serbatoi normali” figurante…al Reg. n. 918 del 1983, art. 112, n. 2, lett. c), come modificato dal Reg. n. 1315 del19 88,…è chiara. Per costituire oggetto di una siffatta qualifica, tali serbatoi devono essere, in particolare, fissati dal costruttore e su tutti i veicoli o contenitori del medesimo tipo”.

2.2.2. Orbene, non v’è motivo, ad avviso del Collegio, per discostarsi da tali principi, che vanno dunque confermati anche in relazione all’interpretazione dell’art. 107 cit., con conseguente (a) correttezza della decisione assunta dalla C.T.R. ed (b) irrilevanza – per essersi la C.G.U.E. già pronunziata sul punto – del chiesto rinvio pregiudiziale.

2.2.3. Nè appare pertinente, al fine di avvalorare una conclusione di tenore diametralmente opposto, il richiamo, svolto dalla parte ricorrente alla p. 17 dell’atto introduttivo del presente giudizio di legittimità, alla successiva sentenza 10.9.2014, in causa C-152/13, Holger Forstmann Transporte (la quale, indugiando sulla nozione di “serbatoi normali” di cui alla Dir. 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, art. 24, paragrafo 2, primo trattino, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, ha chiarito che essa deve essere interpretata nel senso di non esclude i serbatoi installati permanentemente sugli autoveicoli commerciali e destinati a rifornirli direttamente di carburante che siano stati montati da una persona diversa dal costruttore, purchè detti serbatoi consentano l’utilizzazione diretta del carburante sia per la trazione di tali veicoli che, all’occorrenza, per il funzionamento, durante il trasporto, dei sistemi di refrigerazione o di altri sistemi), non essendo i diversi principi ivi affermati applicabili al campo dei dazi doganali:”ta/e conclusione – si legge ai p.p. 33 e 34 della motivazione di tale decisione – non è in contrasto con la sentenza Schoonbroodt…Si deve ricordare, infatti, a tale riguardo, che nel procedimento che ha dato origine a detta sentenza, la Corte interpretava non già una disposizione di una direttiva relativa alla tassazione dei prodotti energetici nell’ambito del mercato interno, quale la Dir. n. 96 del 2003, art. 24, bensì, attraverso la legislazione belga in esame, una Disp. del regolamento n. 918 del 1983, in materia doganale. Orbene, tali testi perseguono obiettivi diversi (v., in tal senso, sentenza Meiland Azewijn, EU:C:2004:499, punto 40). Inoltre, se è vero che la Corte ha affermato, al punto 20 della sentenza Schoonbroodt (EU:C:1998:586), che “le definizioni della nozione di “serbatoi normali” fornite nelle varie disposizioni che possono rivelarsi pertinenti non presentano divergenze significative nel contesto della fattispecie di cui alla causa a qua”, tuttavia l’argomentazione della Corte in quest’ultima sentenza si fonda sulla sua giurisprudenza in materia doganale e non sulla finalità di una disposizione adottata nell’ambito del mercato interno”.

3. Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c, comma 1, nn. 4 e 3), l’omissione di pronunzia o, comunque, la violazione di legge, avuto riguardo alla non debenza del tributo, quale conseguenza della lesione del principio di affidamento del contribuente, della L. n. 212 del 2000, ex art. 10, commi 1 e 2.

4. Con il terzo motivo del parte ricorrente lamenta (in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3), l’omissione di pronunzia o, comunque, la violazione di legge, avuto riguardo alla pur dedotta non debenza degli interessi sui maggiori tributi accertati, della L. n. 212 del 2000, ex art. 10, comma 2.

4.1. I motivi sono – sì come formulati – inammissibili giacchè, già ad una semplice e cursoria lettura dell’atto introduttivo del presente giudizio di legittimità emerge come parte ricorrente abbia riprodotto il contenuto, in parte qua, del proprio atto di gravame (cfr. pp. 24-26 e 34), mentre manca del tutto la trascrizione del ricorso introduttivo del giudizio: sennonchè, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo sicchè, laddove sia stata denunciata – come nella specie – la falsa applicazione della regola del tantum devolutum quantum appellatum, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure sono state formulate sotto forma di motivi di gravame (sostanzialmente in termini Cass., Sez. 2, 9.8.2018, n. 20694, Rv. 650009-01).

4.2. A conclusione non dissimile si perverrebbe, inoltre, laddove si ritenesse versarsi non già in presenza di omissione di pronunzia quanto, piuttosto, di motivi assorbiti ovvero implicitamente rigettati: l’omessa trascrizione del ricorso introduttivo del primo grado di giudizio ancora una volta preclude al Collegio di valutare se le questioni in commento siano – o meno – da considerare “nuove” in sede di gravame.

4.3. Ad ogni buon conto, infine, entrambe le censure sono comunque infondate nel merito, rappresentando principi consolidati – cui il Collegio intende dare seguito – quelli per cui: 1) il legittimo affidamento del contribuente comporta, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, commi 1 e 2, l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, ma non incide (come invece invocato con il secondo motivo) sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi (Cass., Sez. 5, 18.5.2016, n. 10195, Rv. 639903-01); 2) qualora la mancata riscossione dei diritti doganali sia dovuta ad un’erronea determinazione delle autorità competenti, non percettibile da parte dell’operatore, deve trovare applicazione, in conformità ad un orientamento consolidato nella giurisprudenza comunitaria, il principio di affidamento desumibile dal Reg. CEE n. 1697 del 1979, art. 5, n. 2, del Consiglio, del 24 luglio 1979, e dal Reg. CEE n. 2913 del 1992, art. 220, par. 2, lett. b), del Consiglio, del 12 ottobre 1992, norme che precludono all’amministrazione il recupero dei diritti doganali non riscossi, qualora il debitore abbia agito in buona fede, avendo osservato tutte le disposizioni vigenti materia tributaria per la dichiarazione in dogana: sempre, però, che il comportamento dell’autorità non sia stato – come nella specie – meramente passivo, ma abbia assunto un profilo attivo (Cass., Sez. 5, 18.6.2010, n. 14812, Rv. 613672-01); 3) se la L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, esclude la irrogazione delle sanzioni qualora la condotta del contribuente sia stata posta in essere “a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori della amministrazione stessa”, è pur vero (con ciò superando, nel merito, anche le doglianze svolte con il terzo motivo) che “Il termine attribuito alla potestà accertativa della Amministrazione finanziaria non (può) ingenerare, fino alla scadenza, alcun affidamento – tanto meno incolpevole – sulla correttezza della condotta, nel caso di specie omissiva (siccome conseguente ad un’omessa dichiarazione in dogana), del contribuente” (Cass., Sez. 5, 1.6.2012, n. 8825, in motivazione, p. 5.2, ult. cpv.).

5. Quanto precede (e, in specie, quanto esposto al precedente p. 4.3) implica altresì il rigetto del quarto motivo del ricorso iscritto al n. 24710/2017, con cui parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge e, in particolare, della L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, per non essere le sanzioni dovute, in conseguenza del legittimo affidamento riposto dal contribuente circa la correttezza del proprio operato.

6. Passando, quindi, allo scrutinio dei residui motivi articolati con il ricorso (riunito) iscritto al n. 24710/2017, con il primo di essi la difesa di parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), l’omissione di pronunzia avuto riguardo al motivo di gravame concernente la dedotta violazione del Reg. CE n. 1186 del 2009, art. 107, (per essere stata la sanzione in questione irrogata, cioè, su di un’erronea interpretazione della nozione di “serbatoio normale”).

6.1. Il motivo è infondato, avendo la C.T.R. – contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente – affrontato espressamente la questione, sia pure per disattenderla (cfr. p. 4, terzultimo cpv.). Peraltro, anche diversamente opinando e ritenendo effettivamente sussistente la dedotta omissione di pronunzia, la questione (comunque esaminabile nel merito da questa Corte. Arg. da Cass. n. 16171/2017) sarebbe in ogni caso infondata, in virtù di quanto già ampiamente esposto ai precedenti p.p. 2-2.2.3 circa la corretta interpretazione dell’art. 107 cit..

7. Con il terzo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20, in combinato disposto con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, comma 1, del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, comma 1, lett. d), del Reg. CE n. 2913 del 1992, art. 221, par. 3, e con il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, per non avere la C.T.R. dichiarato l’ufficio decaduto dalla possibilità di irrogare sanzioni relativamente ai transiti effettuati anteriormente al 30 ottobre 2010, stante l’avvenuta notifica all’ A. della contestazione in data 30.10.2013.

7.1.1. Il motivo è inammissibile.

7.1.2. In linea generale, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20, comma 1, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce che, relativamente alle sanzioni, l’atto di contestazione ovvero d’irrogazione “…devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”.

7.1.3. A tale riguardo, l’art. 221 codice doganale comunitario, p.p. n. 3 e 4, (nella versione successiva alle modifiche apportate dal Reg. CE n. 2700 del 2000), stabilisce (p. 3) che “la comunicazione al debitore non può più essere effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale. Detto termine è sospeso a partire dal momento in cui è presentato un ricorso a norma dell’art. 243, e per la durata del relativo procedimento”, aggiungendo (al successivo p. 4) che “qualora l’obbligazione doganale sorga a seguito di un atto che era nel momento in cui è stato commesso perseguibile penalmente, la comunicazione al debitore può essere effettuata, alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine di cui al paragrafo 3”.

7.1.4. La norma contempla, dunque, due diverse ipotesi, a seconda che il mancato pagamento abbia o no causa da un reato: a) nel caso in cui non risulti che il mancato pagamento abbia avuto causa da reato, il termine triennale decorre dal momento in cui l’importo dei diritti doganali originariamente richiesto sia stato contabilizzato o, in difetto, sia divenuto esigibile; b) nell’ipotesi, invece, in cui il mancato pagamento abbia avuto causa da reato, il termine triennale decorre alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti.

7.1.5. Tale seconda ipotesi, in particolare, ricorre allorchè nel triennio decorrente dall’insorgenza dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una notitia criminis tale da individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, ed idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta (Cass., Sez. 5, 22.11.2016, n. 26045): al fine della proroga triennale dei suddetti termini di prescrizione e di decadenza non occorre, peraltro, la presentazione di una formale denuncia di reato essendo sufficiente un atto configurabile quale notizia di reato, secondo i principi generali (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 5, 12.1.2018, n. 615, Rv. 646805-01).

7.1.6. La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto occasione più volte di stabilire che ricorre l’ipotesi di “atto passibile di un’azione giudiziaria repressiva” allorquando l’atto, obiettivamente considerato, integri una fattispecie prevista come reato dal diritto penale nazionale delle autorità che procedono al recupero dei dazi non riscossi; non occorre, peraltro, accertare se, in relazione a tale fattispecie, sia iniziata o possa essere iniziata un’azione penale, essendo condizione necessaria, ma anche sufficiente, la qualificabilità dell’atto stesso come reato: ciò che viene in evidenza, quindi, non è l’evenienza postuma di una eventuale condanna o proscioglimento, bensì l’ipotesi delittuosa che sta alla base della notitia criminis (Cass., n. 30710/11).

7.1.7. Anche la giurisprudenza unionale ha chiarito, sia pure con riferimento alle analoghe previsioni contenute nel Reg. n. 1697 del 1979, art. 3, che la norma non esige che azioni giudiziarie repressive siano effettivamente avviate dalle autorità penali dello Stato membro, con la conseguenza che “la qualificazione di un atto come “passibile di un’azione giudiziaria repressiva” – o, va aggiunto, come “perseguibile penalmente” rientra nella competenza delle autorità doganali che devono stabilire l’importo esatto dei dazi di cui si tratta (Corte giust. 1.12.2007 in causa C-62/06, Fazenda Publica).

7.1.8. Tanto premesso, se la sentenza impugnata non fa riferimento a comunicazioni di notizia di reato (nei termini innanzi indicati) compiute dall’Ufficio, cionondimeno è lo stesso contribuente, alla p. 3 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, a chiarire che “nel mese di luglio 2012, la Polizia Tributaria notificava al sig. A. un processo verbale di constatazione…nel quale veniva contestata, per tutte le annualità sopra citate, l’importazione di carburante da Livigno in quantità superiore a quella ammissibile in franchigia…”: sicchè, in relazione a tale – quantomeno contraddittoria – precisazione compiuta dallo stesso contribuente rispetto alla eccepita decadenza, il motivo in esame appare carente di specificità, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non essendo stato trascritto il contenuto di tale p.v.c., con conseguente preclusione, al Collegio, di qualsivoglia valutazione in merito.

8. Con il quinto motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, e del D.Lgs. n. 472 del 1992, art. 6, comma 2, per non avere la C.T.R. ritenuto applicabile alle sanzioni l’esimente dell’oggettiva incertezza normativa tributaria rispetto all’interpretazione del cit. Reg. CE n. 1186 del 2009, art. 107, p. 2, lett. c).

8.1. Anche tale motivo è infondato.

8.1.1. Per quanto esposto in precedenza ai p.p. 2-2.2.3, infatti, difettano in nuce – come correttamente evidenziato dalla C.T.R. (cfr. pp. 4, ult. cpv. e 5) – gli elementi sintomatici elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 5, 13.6.2018, n. 15452, Rv. 649184-01) per potersi fondatamente discutere di “oggettiva incertezza normativa tributaria”, quale causa di esenzione dalla responsabilità amministrativa del contribuente, mancando quella condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria (Cass., Sez. 5, 4.5.2018, n. 10662, Rv. 647971-01) che implica, a valle, l’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito (Cass., Sez. 5, 23.11.2016, n. 23845, Rv. 641724-02).

9. Con il sesto motivo, infine, parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, per avere la C.T.R. ritenuto corretta l’applicazione, nella quantificazione della sanzione complessivamente inflitta al contribuente, del cumulo materiale anzichè del cumulo giuridico.

9.1. Il motivo è infondato e va rigettato, pur dovendo la motivazione della gravata sentenza essere emendata in parte qua.

9.2. Premesso che, nella specie, difetta il requisito primario richiesto dal cit. art. 12, comma 2, per l’applicazione del cumulo giuridico e, cioè, la progressione dell’illecito tributario (“Alla stessa sanzione soggiace chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo”), va in ogni caso osservato come l’uso di serbatoi supplementari ovvero con capacità maggiorata rispetto a quelli ordinariamente installati dalla casa madre, senza che la circostanza sia stata dichiarata in dogana all’atto dell’immissione nel territorio nazionale, ha inciso sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul(l’omesso) versamento del tributo, integrando così una violazione sostanziale e non già formale del Reg. CE 1186 del 2009, art. 107, con conseguente inapplicabilità del criterio di calcolo della sanzione secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5.

10. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati, con condanna dell’ A., in proprio e nella qualità, al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, delle spese del presente giudizio di legittimità, per ciascun ricorso (arg. da Cass., Sez. 1, 10.7.2014, n. 15860, Rv. 632117-01).

27. In applicazione del medesimo principio, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente ed in relazione ciascuno dei procedimenti riuniti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta entrambi i ricorsi. Per l’effetto condanna A.F., in proprio e nella qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p.t., delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano: a) per il giudizio iscritto al n. 17790/2015 r.g., in Euro 5.000,00 (cinquemila/00) per compenso professionale; b) per il giudizio iscritto al n. 24710/2017 r.g., in Euro 7.000,00 (settemila/00) per compenso professionale; in entrambi i casi, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente A.F., in proprio e nella qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, in relazione a ciascuno dei procedimenti riuniti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Civile Tributaria, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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