Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19798 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19798 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 4362-2008 proposto da:
CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DELLA
PROVINCIA DI NAPOLI 80045420637, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CESARE FERRERO DI CAMBIANO
82, presso lo studio dell’avvocato CAPOTOSTI LORENZO,
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
2013

CICENIA DONATO giusta delega in atti;
– ricorrente –

1510

contro

REGIONE CAMPANIA;
– intimata –

1

Data pubblicazione: 28/08/2013

sul ricorso 8044-2008 proposto da:
REGIONE CAMPANIA 80011990639 in persona della Giunta
Regionale p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
POLI 29, presso lo studio dell’avvocato TESTA
GIUSEPPE, che la rappresenta e difende giusta delega

– ricorrente contro

CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DELLA
PROVINCIA DI NAPOLI in persona del legale
rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE FERRERO DI CAMBIANO 82, presso lo studio
dell’avvocato CAPOTOSTI LORENZO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato CICENIA DONATO giusta
delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3925/2006 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 21/12/2006, R.G.N. 399/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato DONATO CICENIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’inammissibilità di entrambi i ricorsi;

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in atti;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 19 giugno 1992 la Regione
Campania conveniva in giudizio l’A.S.I. di Napoli e, assumendo
di essere subentrata nei rapporti convenzionali, intercorsi
tra la Cassa per il Mezzogiorno ed il convenuto Ente per

m.183/1976, chiedeva il pagamento dell’importo dei canoni
idrici, corrispondenti alla quantità di acqua erogata dal
gennaio 1981 al dicembre 1986 per la complessiva somma di
L.5.461.870.107, di cui alle note 2.707 del 13 agosto 1988 e
n.2.903 del 23 settembre 1985, con detrazione della somma di
L.2 miliardi versati. In esito al giudizio in cui si
costituiva l’ASI eccependo l’avvenuto versamento di ulteriori
somme e contestando che parte dell’acqua era andata dispersa
per fuoriuscita dalle tubazioni, il Tribunale adito condannava
l’ASI al pagamento della somma richiesta, oltre indennità di
mora ed interessi, detratte le somme pagate specificamente
indicate. Avverso tale decisione proponeva appello il
Consorzio ed in esito al giudizio, in cui restava contumace la
Regione, la Corte di Appello di Napoli con sentenza
depositata in data 21 dicembre 2006 rigettava l’impugnazione.
Avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso in via
principale, articolato in sei motivi, il Consorzio, ed, in via
incidentale, affidandolo ad un solo motivo, la Regione
Campania. Resiste con controricorso il Consorzio.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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effetto dell’entrata in vigore dell’art.6 della legge

In via preliminare, deve rilevarsi che il ricorso principale e
quello incidentale sono stati riuniti, in quanto proposti
avverso la stessa sentenza.
Ciò premesso, appare opportuno, e non solo per comodità di
esposizione in quanto si tratta di una censura pregiudiziale

sia sul piano logico che su quello giuridico, iniziare
dall’esame del ricorso incidentale, con cui la Regione ha
lamentato la nullità della notifica dell’appello, eseguita
presso gli originari difensori, mentre l’impugnazione avrebbe
dovuto essere invece notificata, ai sensi dell’art.330 cpc,
all’avv. Giuseppe Testa, il quale nelle more del giudizio di
primo grado, in virtù di delibera della Giunta Regionale, si
era costituito in sostituzione del precedente difensore avv.
Ugo della Gatta, posto in quiescenza, il quale a sua volta, in
virtù di altra delibera, si era costituito in sostituzione
degli originari difensori, avv.ti Sergio Ferrari, Dario
Martuscelli e Gianfranco Magaldi.
Il ricorso è inammissibile. Ed invero, ai sensi dell’art. 366
bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006,
art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006,
i motivi del ricorso per cassazione, nei casi previsti
dall’art. 360 c.p.c., comma l, n. l), 2), 3), 4) c.p.c.,
devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità
giusta la previsione dell’art. 375 cpc n. 5 –

dalla

formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si
risolva, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite,

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in una

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chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al
vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali
per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso
si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto
del gravame (Sez.Un. n. 23732/07) Nel caso di specie, il

Ciò premesso, considerato che la norma di cui all’art. 366
bis citato non può essere interpretata nel senso che il
quesito possa desumersi implicitamente dalla formulazione del
motivo dì ricorso, poiché una siffatta interpretazione si
risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione,
il ricorso in esame, privo dei requisiti richiesti, deve
essere dichiarato inammissibile.
Procedendo all’esame del ricorso principale, va rilevato che,
con la prima doglianza, deducendo la violazione dell’art.6
legge n.183/1976 e del principio di corrispondenza tra il
chiesto ed il pronunciato nonché l’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, il ricorrente ha censurato la
sentenza impugnata per aver la Corte di Appello disatteso
l’eccezione di difetto di legittimazione attiva della Regione
Campania sostenendo che nel giudizio di primo grado il
Consorzio non avrebbe formulato tale eccezione, mentre al
contrario tale eccezione era stata invece formulata. Ciò,
senza considerare che l’indicata eccezione è rilevabile
d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e che la Regione
Campania non aveva sottoscritto alcuna convenzione con il

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AA

motivo di censura non è corredato da alcun quesito di diritto.

Consorzio in ordine alla regolamentazione dei rapporti di
fornitura idrica.
La censura è infondata. A riguardo, mette conto di premettere
che, nella specie, non si verte in tema di legittimazione ad
agire, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla

riferimento al rapporto sostanziale dedotto in giudizio
(Cass.n.14177/2011, n.11284/2010), bensì in tema di titolarità
del rapporto sostanziale. Ciò è desumibile dal rilievo che
tale titolarità deriva alla Regione direttamente dalla legge
n.183/1986, la quale in tema di “Programmazione quinquennale
per il Mezzogiorno, all’art.6, dispone che “tutte le opere già
realizzate e collaudate ed ancora gestite dalla Cassa sono
trasferite alle Regioni entro sei mesi dall’entrata in vigore
della presente legge con i criteri e le modalità indicate dal
comitato di cui all’art.3″ . Ne consegue che, nella specie, si
verte in tema di titolarità del rapporto sostanziale, per
effetto di successione

ex lege,

e non già di legittimazione

processuale.
Ora, la distinzione non è di poco conto perché mentre
l’assenza della seconda è rilevabile d’ufficio in ogni stato e
grado del processo, il difetto di titolarità attiva o passiva
del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che comporta
invece un accertamento di una situazione di fatto favorevole
all’accoglimento della pretesa azionata, è affidato alla
disponibilità delle parti (Cass.n. 8175/2012) e non può

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stregua della prospettazione compiuta dalla parte con

essere rilevato d’ufficio (Cass.n.2091/2012) ma deve formare
oggetto di specifica deduzione in sede di merito (S.U.
8573/90, Cass. 9203/98).
Giova aggiungere che il ricorrente Consorzio si è ben guardato
dall’assolvere l’onere di autosufficienza riportando in

avrebbe dedotto il difetto di titolarità del rapporto, a
carico della Regione.
Ne deriva l’infondatezza del motivo de quo.
Passando all’esame della seconda doglianza, svolta sotto il
profilo della violazione degli artt.2944 e 2948 cc, del
principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato nonché
dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, va
osservato che, ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello
avrebbe erroneamente ritenuto l’infondatezza dell’eccezione di
prescrizione ex art.2948 n.4 cc, deducendo che nel giudizio di
primo grado il Consorzio non avrebbe formulato tale eccezione.
Al contrario, l’eccezione era stata formulata nel giudizio di
prime cure. Peraltro, anche qualora l’eccezione fosse stata
sollevata solo in secondo grado, la Corte avrebbe dovuto
esaminarla, in difetto di eccezione della Regione contumace.
Infine, la Corte avrebbe trascurato che l’interruzione della
prescrizione attraverso il riconoscimento del debito non
poteva avvenire previa dichiarazione del procuratore alla lite
nella comparsa di risposta ma solo previa manifestazione del
rappresentante legale dell’ente.

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ricorso il brano dell’atto o del verbale d’udienza in cui

Il primo profilo di doglianza è inammissibile per difetto di
correlazione con le ragioni della decisione in quanto la Corte
di appello, contrariamente all’assunto di parte ricorrente,
non ha affatto dichiarato l’inammissibilità dell’eccezione,
perché proposta per la prima volta in secondo grado. Ed

stata proposta in appello per la prima volta, ha mosso tale
rilievo solo ad abundantiam tant’è che ha esaminato nel merito
l’eccezione rigettandola per la sua infondatezza sulla base
dell’art. 2944 cod. civ., norma la quale dispone che la
prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto, da
parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere
fatto valere.
E ciò, in quanto- così, in sintesi la ragione della decisione
il Consorzio nel costituirsi nel primo grado del giudizio
si era limitato a contestare l’avverso dedotto unicamente per
quanto concernente il

quantum

ma non certamente

l’an,

così

riconoscendo la sussistenza del diritto azionato dalla
controparte sia pure nei limiti più ridotti di L.1461.807.107

invero, pur rilevando che l’eccezione di prescrizione sarebbe

(rispetto alla somma richiesta di L.5.451.870.107) e
manifestando inoltre la propria volontà di saldare il debito
residuo, come si evinceva dalla nota del 5.2.92 prot. 257
inviata alla Regione Campania, rinunciando altresì alla
prescrizione per effetto di un atto incompatibile con la
volontà di avvalersene. Ne deriva l’inammissibilità del

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profilo di censura, non essendo affatto correlato con la
decisione.
Quanto al secondo profilo della doglianza, la considerazione
svolta dal Consorzio non merita di essere condiviso.
Se è esatto che le trattative per la bonaria composizione di

l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria e non
rappresentando, quindi, riconoscimento del diritto altrui ai
sensi dell’art. 2944 cod. civ., non hanno efficacia
interruttiva della prescrizione”, né possono importare rinuncia
tacita a far valere la stessa, perché non costituiscono fatti
incompatibili in maniera assoluta con la volontà di avvalersi
della causa estintiva dell’altrui diritto, come richiesto
dall’art. 2937, comma terzo, cod. civ., la valutazione deve
essere necessariamente diversa quando una parte (il convenuto,
nella specie), costituendosi in giudizio, dichiari
testualmente nella comparsa di risposta di aver parzialmente
versato quanto richiesto da controparte con l’atto
introduttivo, avendo pagato in tempi successivi somme varie e
di essere rimasto debitore di una somma molto più ridotta
aggiungendo in un altro documento (v. nota del 5.2.92 sopra
indicata) di voler saldare il proprio debito. Ed invero, in
tal caso dal comportamento della parte risulta chiaro ed
evidente il riconoscimento del contrapposto diritto di
credito.

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una vertenza, non avendo quale precipuo presupposto

Né vale osservare in senso contrario che l’interruzione della
prescrizione, previo riconoscimento del debito, può
provenire solo dal soggetto che abbia poteri dispositivi del
diritto e non anche dal procuratore alla lite nella comparsa
di risposta. Ed invero, poiché l’atto interruttivo della

prescrizione può essere compiuto da un soggetto diverso
dall’interessato che agisca in suo nome e per suo conto, in
base ad un apposito incarico, deve ritenersi che il
procuratore alle liti, a seguito del mandato ricevuto, sia
legittimato al riconoscimento del debito e possa essere
investito del potere di rinunciare a far valere la
prescrizione.
Del resto, questa Corte ha già avuto modo di statuire a
riguardo che “La rinuncia a far valere la prescrizione
dell’azione proposta “ex adverso” può essere desunta dalle
difese svolte dal procuratore della parte, senza che possa
rilevare in contrario la mancanza di potere dispositivo nel
procuratore alle liti, poiché ciò vale per la rinuncia
espressa, ma non per le conseguenze che possono derivare per
implicito dalla linea difensiva adottata dal difensore, il
quale, nell’adempimento del mandato conferitogli, sceglie in
piena autonomia la condotta tecnico – giuridica ritenuta più
confacente alla tutela del proprio cliente. (Cass.n.
3883/2012, n.5226/02)
Passando all’esame delle due successive doglianze, connesse
tra loro, va osservato che con la terza doglianza, svolta

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4

sotto il profilo della violazione dell’art.163 cpc, del
principio dell’onere della prova e di corrispondenza fra
chiesto e pronunciato nonché dell’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, ad avviso del ricorrente, la
Corte di Appello avrebbe sbagliato nel disattendere il terzo

che le somme richieste dalla Regione erano state calcolate
senza alcuno specifico parametro di valutazione, dovendosi
invece accertare l’effettivo consumo di acqua presso i vari
agglomerati realizzati dal Consorzio; con la quarta doglianza,
svolta sotto il profilo della violazione degli artt.61, 167,
188 cpc, del principio dell’utilità dei mezzi di prova e di
corrispondenza fra chiesto e pronunciato nonché dell’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, la Corte di
Appello avrebbe invece sbagliato nel disattendere il quarto
motivo di appello con cui l’appellante aveva lamentato la
mancata ammissione di CTU che potesse provare che la quantità
di acqua erogata dalla Regione non era da imputarsi
all’esclusivo consumo del Consorzio.
Sia l’una che l’altra censura sono inammissibili.
Ed invero, l’inammissibilità deriva dalla considerazione che
le ragioni di doglianza, formulate dal ricorrente, come
risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto e dalle
espressioni usate, non concernono violazioni o false
applicazioni del dettato normativo bensì la valutazione della
realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito;

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motivo di appello, con il quale l’appellante aveva rilevato

nè evidenziano effettive carenze o contraddizioni nel percorso
motivazionale della sentenza impugnata ma, riproponendo
l’esame degli elementi fattuali già sottoposti ai giudici di
seconde cure e da questi disattesi, mirano ad un’ulteriore
valutazione delle risultanze processuali, trascurando che a

riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello
di controllare, sotto il profilo logico-formale e della
correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal
giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le
fonti del proprio convincimento, valutare le prove,
controllarne l’attendibilita’ e la concludenza.
Giova aggiungere che, secondo il consolidato orientamento di
questa Corte – il rilievo concerne in particolare la quarta
doglianza – il giudice del merito non è tenuto, anche a
fronte di un’esplicita richiesta di parte, a disporre una
consulenza d’ufficio e il mancato esercizio del potere
discrezionale di disporre la consulenza d’ufficio – anche se
non fosse stato espressamente motivato ma nella specie lo è
stato – non è censurabile in sede di legittimità.
Passando all’esame della quinta doglianza, svolta sotto il
profilo della violazione dell’art.39 cpc, del principio di
corrispondenza fra chiesto e pronunciato nonché dell’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, con cui il
ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la
Corte di Appello disatteso il motivo di impugnazione con cui

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questa Corte non è riconosciuto dalla legge il potere di

l’ASI aveva censurato la sentenza di primo grado per aver il
primo giudice, benché preventivamente adito, omesso di
dichiarare la continenza e fissare un termine per la
riassunzione innanzi al giudice competente. Il giudice di
prime cure aveva così deciso sul presupposto della sua

pendente innanzi al Tribunale di Napoli, in cui l’ASI aveva
convenuto in giudizio il Prefetto di Napoli, il Ministero
degli interni, il Presidente della Giunta regionale della
Campania e l’Eni acqua Campania spa in riferimento
all’accertamento dell’assenza di responsabilità dell’ASI
riguardo all’asserito consumo di acqua.
Ora, malgrado l’erroneità della decisione del primo giudice così continua il ricorrente – i giudici di seconde cure
avevano disatteso l’impugnazione, ritenendo che i due giudizi
fossero pendenti innanzi allo stesso giudice e che pertanto
non si sarebbe potuto applicare la continenza benché la
riunione.
La censura è infondata. Ed invero, la Corte di merito ha fatto
corretta applicazione del principio giurisprudenziale, secondo
il quale “la continenza disciplinata dall’art. 39 cod. proc.
civ. presuppone la pendenza di due cause, di cui una
continente, davanti a giudici diversi, per cui essa si pone
come uno dei criteri di spostamento della competenza di una
delle due cause. Quando, invece, le due cause già pendano
davanti allo stesso giudice, il problema non si pone più in

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4

incompetenza, quale G.O.A. rispetto all’altro giudizio

termini di spostamento della competenza, ma in termini di
riunione ai sensi degli artt. 273 e 274 cod. proc. civ. (a
seconda che si individui l’identità, sia pur parziale, di
cause o la connessione), per cui l’eventuale provvedimento del
giudice, che pur può essere assunto d’ufficio, ha carattere

legittimità; identicamente la mancata assunzione del
provvedimento non incide sulla validità degli atti e della
decisione, per cui anche in tal caso la situazione non può
essere proposta a doglianza in sede di
legittimità”.(Cass.n.671/97)
Deve aggiungersi che l’orientamento riportato è stato ribadito
anche in una successiva decisione statuendosi che
“nell’ipotesi di continenza di cause l’art. 39 cod. proc. civ.
è applicabile (come nel caso di litispendenza) unicamente
quando le diverse cause siano state proposte davanti a giudici
diversi e non anche quando siano pendenti davanti allo stesso
giudice, il quale pertanto non può spogliarsi della causa ai
sensi del citato art. 39, dovendo, invece, applicare per
analogia l’art. 274 cod. proc. civ.” (Cass.n.12681/99)
E’

invece inammissibile

l’ultima

censura,

svolta per

violazione dell’art.91 cpc, con cui il ricorrente ha chiesto
alla Corte di accertare se nella decisione impugnata vi sia
stato errore nel regolamento delle spese di giudizio ed ha
chiesto inoltre applicarsi il principio della soccombenza

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ordinatorio ed insuscettibile di gravame in sede di

ovvero, in via subordinata, il principio della compensazione
delle spese.
Il motivo è inammissibile sia perché non è stato corredato da
alcun quesito di diritto sia per difetto di specificità. Ed
invero, il singolo motivo di doglianza deve contrapporsi

pronunciata, evidenziandone gli errori che sarebbero stati
commessi, mentre non è idoneo a svolgere la sua specifica
funzione qualora, come è avvenuto nella specie, si limiti a
richiedere al giudice dell’impugnazione di accertare se nella
decisione impugnata vi sia stato o meno un errore.
Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, il ricorso
principale deve essere pertanto rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese
di questo giudizio in considerazione della reciproca
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte decidendo sui ricorsi riuniti rigetta il ricorso
principale,

dichiara

inammissibile

quello

incidentale.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 26.6.2013

direttamente ad una statuizione del giudice che l’abbia

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