Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19798 del 17/09/2010

Cassazione civile sez. III, 17/09/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 17/09/2010), n.19798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20163/2009 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI

27, presso lo studio dell’avvocato NICOLAIS LUCIO, che lo rappresenta

e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA

PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato CONTALDI MARIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROLLE CARLO, giusta

procura speciale per atto notaio Gianluca Eleuteri di Torino, in data

22.10.2009, n. rep. 70104, che viene allegata in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4245/2009 del TRIBUNALE di TORINO del 26.5.09,

depositata l’1/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/06/2010 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito per il ricorrente l’Avvocato Nicolais Lucio che si riporta agi

motivi del ricorso;

udito per la controricorrente l’Avvocato Contaldi Mario che si

riporta ai motivi del controricorso.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Quanto segue:

1. S.F. ha proposto ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, contro M.A. avverso la sentenza del 1 giugno 2009, con la quale il Tribunale di Torino ha parzialmente accolto l’opposizione proposta dalla M. avverso un precetto intimatole da esso ricorrente.

L’intimata ha resistito con controricorso.

2. Essendo il ricorso soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 e prestandosi ad essere trattato con il procedimento di cui all’art. 360 bis c.p.c. nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009, è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Quanto segue:

1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si sono svolte le seguenti considerazioni:

“(….) 3. – Il ricorso appare inammissibile:

a) sia perchè non contiene l’indicazione dei motivi o del motivo su cui si fonda – atteso che alla pagina sei contiene la generica indicazione “motivi”, senza alcuna specificazione idonea ad evidenziare di quale o di quali fra i mezzi di cui all’art. 360 c.p.c. vorrebbe valersi, e considerato che nemmeno la successiva esposizione contiene espressioni idonee a farne l’individuazione;

b) sia perchè ed in ogni caso, se pure l’illustrazione fosse a ciò idonea, non sarebbe stato osservato l’art. 366 bis c.p.c. (applicabile al ricorso ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5), non concludendosi detta illustrazione con la formulazione di un quesito di diritto e nemmeno – ove si fosse inteso prospettare vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – il momento di sintesi espressivo della c.d. “chiara indicazione”, di cui all’art. 366 bis c.p.c. (in termini, Cass. sez. un. n. 20603 del 2007).

Con riferimento all’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. si rileva che ad assolvere al requisito di cui a detta norma non appare idonea – al di là del fatto che non la si indica finalizzato a detto scopo – la parte che reca espressioni in neretto alla pagina dodici del ricorso, posto che essa non individua specificamente la questione posta con la precedente illustrazione nè in iure nè come quaestio facti”.

2. Il Collegio, lette le argomentazioni e le conclusioni della relazione, le condivide pienamente.

Quanto al rilievo in ordine alla mancanza dei motivi, il Collegio osserva che, l’illustrazione del ricorso non solo non contiene alcuna premessa indicativa della volontà del ricorrente di dedurre uno dei motivi di cui all’art. 360 c.p.c., ma neppure si articola con una qualche enunciazione diretta ad individuare, sia pure indirettamente il motivo fatto valere.

In sostanza, l’illustrazione del ricorso non contiene nessuna espressione direttamente evidenziatrice della norma che si assume violata e nemmeno dell’eventuale quaestio facti che si assume erroneamente ricostruita.

Sotto il primo aspetto, si rileva che nella sua memoria del ricorrente, là dove sostiene che il motivo fatto valere sarebbe stato di violazione dell’art. 1591 c.c., non fornisce alcuna specifica indicazione delle espressioni con le quali tale vizio sarebbe stato dedotto.

Con riferimento alla mancanza dell’osservanza del requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c., si osserva che, pur seguendo l’assunto del ricorrente che il motivo su cui si fonda il ricorso nella illustrazione che segue la generica espressione “motivi” ed il numero romano I, sarebbe un motivo di violazione della norma dell’art. 1591 c.c., resterebbe fermo il rilievo della relazione che le espressioni in neretto alla pagina dodici del ricorso non sono idonee ad integrare un quesito di diritto, perchè non individuano in alcun modo la questione giuridica posta con il ricorso.

Tali espressioni sono le seguenti: “alla luce di quanto esposto, dovrà affermarsi il principio di diritto secondo il quale il conduttore di un immobile è obbligato a corrispondere in favore del locatore l’indennità di occupazione prevista dall’art. 1591 c.c., sino alla data dell’effettivo rilascio, da intendesi quale definitiva restituzione dell’immobile locato, libero di cose e persone, che possano, anche di fatto, impedire al locatore di acquisirne la piena disponibilità materiale e giuridica”.

Non occorrono spiegazioni per evidenziare che tale proposizione non individua la questione posta dal ricorso, nel senso che non “conclude” la sua illustrazione, atteso che nessun riferimento riassuntivo ad essa contiene.

Al riguardo, si rileva che – come più volte osservato da questa Corte – l’art. 366 bis c.p.c., quando esige che il quesito di diritto debba concludere il motivo impone che la sua formulazione non si presenti come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenzi la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito deve concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione, appare evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, deve necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissente, sì che risulti evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo astratto è giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenti questa contenuto è un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008).

Ora, nella specie le espressioni sopra riportate non integrano nemmeno un quesito giuridico astratto (il che sarebbe comunque inidoneo ad assolvere al requisito dell’art. 366 bis c.p.c.), posto che non si sostanziano nemmeno in una interrogazione alla Corte, ma appunto nella enunciazione di un principio di diritto. Inoltre, sono del tutto prive di riferimenti riassuntivi alla illustrazione del motivo ed in particolare sia alla vicenda oggetto di giudizio sia alla sentenza impugnata.

Sicchè nessun quesito di diritto è possibile identificare nella proposizione sopra riportata.

Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo con attribuzione dei soli onorari (oltre che delle spese vive e degli accessori), tenuto conto che nel giudizio di Cassazione non sono dovuti i diritti di procuratore, esposti nella nota spese della resistente (si veda, da ultimo, Cass. (ord.) n. 29577 del 2008, secondo cui: “Il D.M. di approvazione della tariffa forense, avendo natura di fonte regolamentare così come desumibile dalla legge di attribuzione della competenza al Consiglio Nazionale Forense, n. 1051 del 1957, deve essere interpretata alla luce dei parametri e all’interno dei limiti stabiliti dalla L. n. 794 del 1942 che escludono il riconoscimento dei diritti di procuratore per qualsiasi giudizio di Cassazione compreso il regolamento di competenza, nonostante l’istanza possa essere proposta anche da un avvocato non iscritto nell’albo speciale dei cassazionisti”).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in Euro 1.800,00, di cui Euro quarantadue/58 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2010

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