Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19797 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 23/07/2019), n.19797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28901/2012 R.G. proposto da:

VRM s.r.l. in liquidazione, già FIGLI DI P.B. s.r.l. in

persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e

difesa giusta delega in atti dall’avv. Carmine Aldo Catacchio ed

elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. Francesco Iperti

alla via G.A. De Cosmi n. 18;

– ricorrente –

Contro

EQUITALIA SUD s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia n. 66/11/12 depositata il 24/07/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/03/2019 dal Consigliere Roberto Succio;

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto

procuratore generale Ettore Pedicini che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

Udito l’avvocato M.G.A. Schiavoni che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso e l’avvocato dello Stato Giulio Bacosi che ha chiesto il

rigetto dell’impugnazione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società ricorrente impugnava una comunicazione di irregolarità e la conseguente cartella per IVA anno 2005, con la quale l’Erario intimava il pagamento di complessivi Euro 3.338.089,85. Secondo il contribuente tale atto conteneva gli stessi errori di calcolo della precedente comunicazione già annullata dalla CTP di Bari con sentenza 156/01/2010.

La cartella qui contestata era stata notificata in data 15.2.2011, in esecuzione della sentenza della CTP di cui si è detto.

Impugnava nuovamente il contribuente, sostenendo che tale atto era stata quindi emesso oltre il termine di decadenza del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 25.

La CTP e la CTR rigettavano l’impugnazione proposta.

Ricorre a questa Corte di cassazione la società contribuente con atto affidato a due motivi; l’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso; il riscossore è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR illegittimamente ritenuto tempestiva la notifica della cartella impugnata.

Si evince chiaramente dalla lettura della sentenza gravata che la cartella impugnata, notificata in data 15 febbraio 2011, è stata preceduta sia da una prima comunicazione di irregolarità e conseguente cartella di pagamento (impugnate di fronte alla CTP) sia da una seconda comunicazione (emessa dopo la sentenza della CTP che ha annullato la prima); tal seconda comunicazione ha preso atto ed adempiuto a quanto statuito dalla CTP, emendando la pretesa degli errori contenuti nella prima. Le somme indicate nella cartella impugnata quindi sono state rettificate.

Sostiene la contribuente, in sintesi, che nelle more di tal processi, però, è pacifico che il termine per la notifica della cartella sia decorso, poichè trattandosi di tributi relativi alla dichiarazione presentata nel 2006 il termine è scaduto in data 31.12.2009 e la notifica della “seconda” cartella eseguita in data 15.02.2011 risulta quindi tardiva.

La questione posta all’esame della Corte l’applicazione del termine (pacificamente di decadenza) di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, ad una cartella emessa a seguito di annullamento di precedente cartella – recante la stessa pretesa quanto al titolo, e un diverso importo con riferimento al “quantum” – in forza di indicazione del giudice di primo grado che ha annullato la prima cartella e la precedente comunicazione di irregolarità imponendo all’amministrazione l’esercizio del potere di autotutela.

Come questa Corte ha ritenuto (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10376 del 2011, ma anche Cass. civ. Sez. V, 19/04/2013, n. 9590) con principio enunciato in riferimento ad avviso di accertamento, ma applicabile stante la natura decadenziale sia del termine di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, sia del termine di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, che qui trova applicazione – emesso un avviso di accertamento ed impugnato lo stesso della contribuente, l’avviso stesso può esser auto – annullato d’ufficio e sostituito con un altro avviso emendato in preteso esercizio di autotutela dopo il deposito della sentenza di nullità della Commissione Tributaria Provinciale ma prima del passaggio in giudicato della stessa. La pronunzia della sentenza di nullità dell’avviso di accertamento per motivi di forma – passata in giudicato o meno – non preclude il potere dell’amministrazione finanziaria di emettere un nuovo avviso di accertamento (il quale auto – annullerà, se necessario il primo) purchè siano rispettati i termini di cui all’art. 43, primi due commi. Vi è anzi da rilevare che – annullato un avviso di accertamento per vizi di forma – l’amministrazione finanziaria è tenuta ad emetterne un nuovo accertamento se è ancora in tempo, non essendo in suo potere rinunziare con l’inerzia all’azione di recupero del credito fiscale.

L’onere dell’amministrazione era quindi di annullare l’atto impugnato una volta rilevata la sussistenza del vizio che poi la CTP ha accertato prima della scadenza del termine decadenziale senza attendere la pronuncia del giudice provinciale, pena il maturarsi della decadenza.

In alternativa, invero, l’Ufficio era onerato, rilevata nel caso, la erroneità della sentenza della CTP, di proporre appello avverso tal pronuncia.

Essa infatti non ha statuito come dovevasi in ordine alla pretesa; il processo tributario è annoverabile come è noto tra quelli di “impugnazione – merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicchè il giudice, ove, come nel caso in esame ritenga invalido l’atto impositivo per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (cfr. Cass. 28 giugno 2016, n. 13294; Cass. 19 novembre 2014, n. 24611; Cass. 13 luglio 2012, n. 11935).

Il fatto che la sentenza 156/01/2010 della CTP di Bari sia stata depositata il 13 luglio 2010, dopo lo spirare del termine di decadenza non ha nulla di paradossate: il fatto comprova ulteriormente quanto qui statuito; la decadenza è stata impedita dalla emissione della prima cartella e l’Amministrazione, per conservare quell’effetto impeditivo non interruttivo, trattandosi di termine decadenziale al quale non si applicano gli istituti della sospensione e interruzione che trovano applicazione unicamente quanto al diverso fenomeno estintivo dei diritti e dei poteri che è la prescrizione – era onere dell’Erario coltivare il giudizio nel quale l’atto impugnato (la “prima” cartella) era stato oggetto di contestazione giudiziale.

Se ciò è vero, come è vero, appare chiaro come la “seconda” cartella non doveva essere emessa, costituendo duplicazione oltre termine della pretesa già azionata con la prima, atto della riscossione emesso i cui vizi di forma e sostanza andavano o emendati in autototutela prima del deposito della sentenza del 13 luglio 2010 della CTP di Bari n. 156 oppure – se detti vizi l’Ufficio riteneva non sussistere – andava in alternativa impugnata la sentenza appena citata che (come sopra si è riportato) li aveva riconosciuti sussistenti.

In nessun caso, quindi, si sarebbe verificata la preclusione del potere di riscossione nel rispetto del principio e del termine decadenziale di cui al D.P.R., art. 25, che doveva e deve rimanere insuperato, non potendo lo stesso esser in alcun modo fatto nuovamente decorrere da alcun fatto, inclusa la pronuncia giudiziale. Va infatti ribadito come sussista profonda diversità dei due istituti della prescrizione e della decadenza; la prescrizione comporta l’estinzione del diritto che, per l’inerzia del titolare, si presume abbandonato mentre invece la decadenza si fonda sulla necessità obiettiva di compiere un determinato atto entro un termine perentorio stabilito dalla legge, oltre il quale l’atto è inefficace, senza che abbiano rilievo le situazioni soggettive che hanno determinato l’inutile decorso del termine o l’inerzia del titolare e senza possibilità di applicare alla decadenza le norme relative all’interruzione e/o alla sospensione della prescrizione ” (Cass. n. 16945 del 2008, in termini anche Civile Sent. Sez. 5 Num. 29845 Anno 2017).

Conseguentemente, il ricorso va accolto; trattandosi di vertenza nella quale non sono necessari accertamenti ulteriori in fatto, la controversia può decidersi nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.

Sussistono giustificati motivi, alla luce della particolarità della questione, per compensare le spese di tutti i gradi di giudizio del merito.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso originario del contribuente; compensa spese del merito, liquida le spese del giudizio di legittimità in Euro 20.000 oltre a 15% spese generali, CPA ed IVA di legge che pone a carico di parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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