Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19796 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 23/07/2019), n.19796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9978/2012 R.G. proposto da:

LOTUS s.r.l., AVION BROKERS in liquidazione e FAST OCEAN AIR SERVICE

s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, entrambe

rappresentate e assistite giusta delega in atti dall’avvocato

Roberto Invernizzi con domicilio eletto presso lo studio

dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina n. 2;

– ricorrenti –

Contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 36/44/11 depositata il 28/02/2011, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/03/2019 dal Consigliere Roberto Succio;

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto

procuratore generale Ettore Pedicini che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

Udito l’avvocato Giovanni Corboyons e l’avvocato dello Stato Giulio

Bacosi che hanno chiesto rispettivamente l’accoglimento e il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Le società ricorrenti, quali spedizionieri doganali, su mandato della società importatrice Connection Puls s.r.l., chiedevano alla Dogana di Malpensa l’ammissione di partite di merci al regime di transito comunitario esterno, per merce proveniente dalla Cina destinata ad essere esportata definitivamente in Romania.

La Dogana per mezzo di interrogazioni del sistema informatizzato constatava il mancato appuramento del regime doganale dichiarato nei termini di legge e invitava le contribuenti a documentare la regolare conclusione del regime di transito.

Le stesse producevano documentazione, che però non veniva riconosciuta autentica dall’Ufficio doganale rumeno di destinazione. Pertanto, erano emessi gli inviti di pagamento con richiesta di interessi e irrogazione di sanzioni, per Euro 146.860,67 e per Euro 120.965,15. Le società impugnavano detti provvedimenti, e sia la CTP che la CTR respingevano le impugnazioni.

Ricorrono a questa Corte le società contribuenti con distinti atti; LOTUS s.r.l. propone sette motivi così come FAST OCEAN AIR SERVICE s.r.l.; ambedue le ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa del proprio atto ex art. 378 c.p.c.; l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso ci si duole della violazione del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, dell’art. 117 Cost. e del Reg. CE 2913/92 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR erroneamente ritenuto in applicabile alla presente fattispecie il termine di cui alla ridetta disposizione dello Statuto dei diritti del contribuente.

Il mezzo è infondato.

Invero, in materia doganale, come questa Corte ha costantemente e anche di recente ritenuto, (ex pluribus, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2175 del 25/01/2019) agli avvisi di rettifica in materia doganale precedenti all’entrata in vigore del D.L. n. 1 del 2012, conv., con modif., in L. n. 27 del 2012, non si applica la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, perchè, in tale ambito, opera lo “ius speciale” di cui al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, nel testo vigente “ratione temporis”, preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento anticipato rispetto alla formazione dell’atto definitivo, che può essere impugnato in sede giurisdizionale, non sussistendo violazione nè dei principi unionali né degli artt. 3 e 24 Cost., perchè il procedimento previsto dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, tutela il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo e, dunque, il suo diritto di difesa endoprocedimentale.

Pertanto, la disposizione dello Statuto ridetto non si applica in materia doganale (Cass. n. 12832 del 23 maggio 2018), laddove il D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, ha introdotto un meccanismo di contraddittorio assimilabile a quello previsto dallo Statuto del contribuente (Cass. n. 23669 del 01/10/2018; Cass. n. 15032 del 02/07/2014; Cass. n. 8399 del 05/04/2013), come confermato dalla normativa sopravvenuta (D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 92, conv. con modif. nella L. 24 marzo 2012, n. 27, che ha aggiunto all’art. 12, comma 7, in fine, il seguente periodo: “Per gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’art. 34 del testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, si applicano le disposizioni del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11”).

Con il secondo motivo di ricorso si censura la gravata sentenza per violazione del Reg. n. 2913/92 CEE, art. 1 comma 1 nn. 12, 5, 96, 201 e 204 e dell’art. 2 Cost. e dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuto irrilevante la buona fede delle ricorrenti e l’estraneità alla frode da parte delle stesse; il motivo può esaminarsi congiuntamente con il terzo motivo di ricorso, che si incentra sulla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR, contraddittoriamente, da un lato ritenuto che l’infrazione sia responsabilità della sola CONNACTION PLUS s.r.l., dall’altro confuso, quanto alla responsabilità delle ricorrenti, il profilo relativo alla prova delle operazioni doganali con quello della buona fede delle contribuenti.

Per le ragioni che seguono, essi sono infondati.

Va premesso che il regime di transito comunitario – disciplinato dai Regolamenti CEE 222/77 del 13.12.1976 e 223/77 del 22.12.1976 e successive modificazioni si articola in due tipologie fondamentali ed in connesse misure di semplificazione: A. Il transito comunitario esterno concerne le merci allo stato estero la cui importazione è assoggettata ai diritti previsti dalla tariffa doganale comune e che debbono formare oggetto di una dichiarazione compilata sul formulario Ti (Reg. n. 222/77, art. 1, par. 2). Questo regime è utilizzato (tra l’altro) per la merce destinata alla esportazione verso paesi terzi che beneficiano ove si tratti di prodotti agroalimentari – delle restituzioni all’importazione nell’ambito della politica agricola comune (merce a tal fine equiparata – per fictio iuris – a quella allo stato estero). Il transito comunitario interno riguarda invece le merci riconosciute esenti da ogni imposizione comunitaria perché originarie dalla comunità o perché considerate in libera pratica nella comunità stessa (essendo già stati riscossi i prelievi doganali) e che debbono formare oggetto di una dichiarazione compilata sul formulario T2 (art. 1 paragrafo 3 del Reg. 223/77).

La Corte di giustizia, nella sentenza del 29 ottobre 2015, causa C319/14, B & S Global Transit Center BV, ha chiarito che “Il Reg. (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, artt. 203 e 204, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal Reg. (CE) n. 1791/2006 del Consiglio, del 20 novembre 2006, devono essere interpretati nel senso che un’inosservanza dell’obbligo di presentare una merce vincolata al regime di transito comunitario esterno all’ufficio doganale di destinazione fa sorgere un’obbligazione doganale sulla base non già del Reg. n. 2913/92, art. 204, come modificato dal Reg. n. 1791/2006, bensì del Reg. n. 2913/92, art. 203, come modificato dal Reg. n. 1791/2006, allorchè la merce considerata è uscita dal territorio doganale dell’Unione Europea e il titolare di detto regime non è in grado di produrre documenti conformi al Reg. (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, art. 365, par. 3, che fissa talune disposizioni d’applicazione del Reg. n. 2913/92, nella versione di cui al Reg. (CE) n. 993/2001 della Commissione, del 4 maggio 2001, o al Reg. n. 2454/93, art. 366, par. 2 e 3, nella versione di cui al Reg. (CE) n. 1192/2008 della Commissione, del 17 novembre 2008”. Nella citata pronuncia, la Corte di giustizia ha precisato che “Per quanto concerne, più in particolare, la nozione di sottrazione al controllo doganale, di cui al art. 203, par. 1, del codice doganale, è necessario ricordare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, tale nozione deve essere intesa nel senso che comprende qualsiasi azione od omissione che abbia come risultato d’impedire, anche solo momentaneamente, all’autorità doganale competente di accedere ad una merce sotto vigilanza doganale e di effettuare i controlli previsti dall’art. 37, par. 1, del codice doganale (sentenza DSV Road, C-187/14, EU:C:2015:421, punto 25)” (part. 28) e che “Così, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, un’inosservanza dell’obbligo di presentare la merce all’ufficio doganale di destinazione prima che essa lasci il territorio doganale dell’Unione ha l’effetto di impedire alle autorità competenti di effettuare uno dei controlli doganali di cui all’art. 37, par. 1, del codice doganale, ossia quello previsto all’art. 92, par. 2, dello stesso codice, che è decisivo per il funzionamento del regime di transito, in quanto consente a tali autorità di determinare se il regime di transito si sia concluso in modo corretto. Una siffatta inosservanza costituisce una sottrazione al controllo doganale, ai sensi dell’art. 203 del codice doganale, poiché non sono soddisfatti neanche i requisiti posti dall’art. 365, par. 3 o dall’art. 366, par. 2 e 3, del regolamento d’applicazione, che consentono di considerare un siffatto regime concluso nonostante la mancata presentazione della merce all’ufficio doganale di destinazione” (par. 32). 3.3. Accanto alla responsabilità dell’obbligato principale vi è quella dello spedizioniere nella definizione data da Corte di giustizia, 21 dicembre 2016, causa C-547/15, Interservice d.o.o. Koper, secondo cui la “la nozione di “spedizioniere”, il quale ha l’obbligo di presentare le merci intatte all’ufficio doganale di destinazione in ottemperanza al Reg. (CEE) 7 1:11 n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, art. 96, par. 2, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal Reg. (CE) n. 648/2005 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 aprile 2005, deve essere interpretata nel senso che essa designa ogni persona, compreso un sub – spedizioniere, che realizzi il trasporto effettivo di merci poste in regime di transito comunitario esterno e abbia accettato detto trasporto sapendo che le merci erano soggette a tale regime”. 3.4. In sede di contabilizzazione a posteriori dei dazi, la buona fede dell’importatore rileva soltanto qualora ricorrano le condizioni fissate da ultimo nella sentenza della Corte di giustizia del 16 marzo 2017, causa C-47/16, Valsts ienèmumu dienests, secondo cui “Il Reg. (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, art. 220, par. 2, lett. b), che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal Reg. (CE) n. 2700/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, dev’essere interpretato nel senso che un importatore può invocare il legittimo affidamento in base a detta disposizione, al fine di opporsi ad una contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione, eccependo la propria buona fede, solo qualora ricorrano tre condizioni cumulative. Occorre, anzitutto, che tali dazi non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti medesime, quindi, che tale errore sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede e, infine, che quest’ultimo abbia rispettato tutte le disposizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana. Tale legittimo affidamento non sussiste, in particolare, quando, sebbene abbia evidenti ragioni per dubitare dell’esattezza di un certificato di origine “modulo A”, un importatore si sia astenuto dall’informarsi, nella massima misura possibile, delle circostanze del rilascio di tale certificato per verificare se tali dubbi fossero giustificati. Un obbligo del genere non significa tuttavia che un importatore sia tenuto, in generale, a verificare sistematicamente le circostanze del rilascio da parte delle autorità doganali dello Stato di esportazione di un certificato di origine “modulo A”. Spetta al giudice del rinvio valutare, tenendo conto dell’insieme degli elementi concreti della controversia principale, se tali tre condizioni siano soddisfatte nel caso di specie.”. A norma dell’art. 220, n. 2, lett. b), del C.D.C. le autorità competenti non procedono alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione qualora “l’importo dei dazi legalmente dovuto non è stato contabilizzato per un errore dell’autorità doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana”. Ne consegue che, come più volte ritenuto da questa Corte (Cass. n. 5007 del 2007; sez. un. 18190 del 2008, Cass. n. 13680 del 2009; n. 7837 del 2010, in motivazione; n. 3531 del 2012; n. 1142 del 2018), la mancanza anche di uno solo dei citati presupposti, basta ad escludere il diritto del debitore a non vedersi assoggettato al dazio.

3.6. I giudici comunitari in ripetute occasioni hanno chiarito le nozioni adottate da tale disciplina derogatoria (Corte di Giustizia, sentenze 1.4.1993 C-250/91 HP France; 14.5.1996 C-153/94 e C-204/94 Farcoer; 27.1.1991 C-348/89 Mecanarte; 19.10.2000 C-15/99 Sommer; 12.12.1996 C- 38/95 Foods Import; 26.6.1990 C-64/89 Deutsche Fernsprecher), in particolare, precisando che l’errore deve essere imputabile alle autorità che hanno posto in essere i presupposti su cui riposava il legittimo affidamento dell’operatore, deve essere cioè provocato da un comportamento “attivo” delle medesime per cui non vi rientra quello indotto da dichiarazioni inesatte dell’esportatore di cui non si debba valutare o verificare la validità (la semplice astensione od omissione dell’amministrazione preposta non potendo creare alcuna legittima aspettativa al riguardo)(in tal senso, v., da ultimo, Cass. n. 1142 del 2018). L’errore della dogana, secondo il tenore letterale dell’art. 220 C.D.C., n. 2, lett. b, par. 3, non può, dunque, consistere nella mera ricezione delle dichiarazioni inesatte dell’esportatore – in particolare sull’origine della merce – dato che le autorità stesse non debbono verificarne o valutarne la veridicità, mentre resta integrato da un comportamento attivo, che secondo la casistica – poi codificata nella seconda parte del cit. par. 3, della lett. b) della norma in esame – si basa su un’errata interpretazione delle norme in materia di origine (cfr. sent 14.11.002, causa C- 251/00, Ilumitronica, punti 44 e 45, sent. Faroe Seafood e a. punto 97) o ‘di erronea classificazione doganale, risultante dal raffronto tra la voce dichiarata e la designazione delle merci secondo la nomenclatura (sent 1.4.1993, C- 250/91, punto 21, Società Hewlett Packard France). In altri termini, il legittimo affidamento del debitore è degno della protezione prevista dall’art. 220 C.D.C. soltanto se le autorità competenti hanno determinato i presupposti su cui si basa la fiducia del debitore, diversamente, costui è tenuto a sopportare il rischio derivante da un documento commerciale che si riveli falso in occasione di un successivo controllo (sent. cit., Ilumitronica, punto 43, e Faroe Seafood, punto 92), vigendo il principio secondo cui la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli dei comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori (sent. Beemsterboer, punto 43; Cass. n. 19195/2006). In particolare, nel caso, come nella specie, di avvenuto previo appuramento delle operazioni di transito comunitario esterno, occorre ricordare, anzitutto, che l’art. 78 del codice doganale istituisce una procedura che permette alle autorità doganali di procedere, eventualmente d’ufficio, a una revisione a posteriori di una dichiarazione doganale, vale a dire dopo aver concesso lo svincolo delle merci oggetto di tale dichiarazione (v., in tal senso, sentenze Overland Footwear, C-468/03, EU:C:2005:624, punti 62, 64 e 66, nonché Greencarrier Freight Services Latvia, C-571/12, EU:C:2014:102, punto 28). A tal proposito, la Corte di giustizia, con sentenza del 10 dicembre 2015, Nella causa C-427/14, Valsts iepèmumu dienests, ha precisato che “Il Reg. (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, art. 78, par. 3, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal Reg. (CE) n. 2700/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale limiti la possibilità per le autorità doganali di reiterare una revisione o un controllo a posteriori e di trarne le conseguenze fissando una nuova obbligazione doganale, allorchè tale limitazione si riferisce a un periodo di tre anni dalla data in cui è sorta la prima obbligazione doganale, circostanza la cui verifica compete al giudice del rinvio”. Alcun rilievo assume, di converso, nella fattispecie in esame, la richiamata sentenza della Corte di giustizia del 25 ottobre 2018, C- 528/17, Milan Bożitević Jeżovnik, afferendo la stessa al diverso regime delle cessioni intracomunitarie successive alle importazioni.

Nella specie, la CTR si è attenuta ai principi sopra richiamati, in quanto – in presenza di documenti manifestamente falsi, elemento sufficiente a far ritenuto adempiuto da parte dell’Ufficio il proprio onere di fornire un adeguato elemento di prova – ha invero ritenuto che le contribuenti società non abbiano a loro volta, essendone onerate, fornito prova della propria buona fede.

La CTR infatti, dopo aver premesso cenni sulla rilevanza della buona fede al quarto periodo di pag. 3, nel successivo quinto periodo precisa – costituendo questa parte della sentenza la vera ratio decidendi – che “la prova alternativa fornita dalle società ricorrenti, come è stato dimostrato in questo grado dalla produzione documentale dell’Agenzia delle Dogane di Malpensa che aveva l’onere di verificare che detta prova fosse valida, non ha alcun valore probatorio in quanto…”.

Pertanto, il secondo giudice, ha in realtà (come si comprende dalla lettura dell’intera sentenza) non ritenuto irrilevante al buona fede, ma valutato le prove in atti e ritenuto in concreto che detta buona fede non sussisteva.

Il quarto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR, con motivazione insufficiente, erroneamente ritenuto adeguatamente motivati gli atti impugnati.

Il motivo è infondato; invero, in primo luogo, in ricorso non viene trascritta – violando quindi il principio di autosufficienza – la parte motivazionale di tali avvisi, di guisa che la Corte non è in grado di valutare immediatamente la sussistenza o meno del vizio; in ogni caso risulta dalla sentenza impugnata come i contribuenti si siano ampiamente e con dovizia di argomenti difesi nel merito della pretesa nei gradi del merito. Conseguentemente, deve ritenersi che tal pretesa sia stata adeguatamente compresa anche quanto alle ragioni di fatto e di diritto che secondo la Dogana erano poste a suo fondamento.

Di qui l’infondatezza del motivo.

Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione del Reg. 2913/92 CEE, artt. 29 e 30, del Reg. 2454/93/CEE, art. 379 e del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 86, del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la CTR ritenuto insussistenti errori di calcolo dei diritti doganali, senza motivare adeguatamente sul punto, non avendo l’Ufficio indicato il metodo seguito per la determinazione del valore doganale.

Il motivo è in parte inammissibile, in quanto diretto a riproporre questioni e valutazioni di merito in questa sede precluse, e in parte infondato, in quanto nell’ultimo periodo di pag. 3 la CTR anche se sinteticamente fornisce adeguata motivazione al suo decisum.

Il sesto motivo si appunta sulla violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 4 e 5 e del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 305, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la CTR ritenuto dovute le sanzioni, con motivazione insufficiente, senza adeguato accertamento sulla sussistenza dell’elemento psicologico necessario.

Il motivo può trattarsi congiuntamente, alla luce della stretta connessione logica, con il settimo motivo che denuncia violazione del Reg. CE 2913/92, medesimi artt. 4 e 5 di cui sopra, in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, anche per avere la CTR ritenuto che all’epoca non era possibile accedere al sistema informativo atto a verificare il regolare perfezionamento dell’operazione doganale.

Il motivo è infondato.

Quanto all’elemento soggettivo in senso proprio, ossia alla colpevolezza, è ormai orientamento consolidato (Cass. 15 giugno 2011, n. 13068; 3 agosto 2012, n. 14042; 14 marzo 2014, n. 5965) che, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5,richiamato dall’art. 11, richiede sì che l’azione od omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza, ma comporta altresì che la prova dell’assenza di colpa gravi sul contribuente, sicché va esclusa la rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa (discorre di colpa presunta Cass. 20 febbraio 2009, n. 4171). Ciò in quanto, là dove la norma stabilisce che “ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”, non esprime indifferenza in ordine alla sussistenza o meno di un comportamento – quanto meno – colposo, ma pone una praesumptio iuris tantum di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che l’abbia commesso. Sul piano sistematico, d’altronde, la regola è coerente col paradigma generale delineato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, in virtù del quale per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, gravando sul trasgressore l’onere di provare di aver agito incolpevolmente (Cass. 11 giugno 2007, n. 13610 e, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (Cass. sez.un., 30 settembre 2009, n. 20912).

Nella presente fattispecie quindi, in applicazione dei principi qui enunciati e precisati in materia di riparto dell’onere della prova, rileva la Corte come il contribuente non abbia fornito – secondo la CTR, con valutazione di fatto qui insindacabile – le prove dell’assenza di colpevolezza: risulta pertanto qui confermato il principio generale applicabile a ogni tipologia di sanzione amministrativa e tenuto presente oltre che ovviamente applicato il deciso di questa Corte avente portata generale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 720 del 15/01/2018) secondo il quale in tema di illeciti amministrativi, la sufficienza, al fine d’integrare l’elemento soggettivo della violazione, della semplice colpa ai sensi della L. n. 689 del 1981, ex art. 3, comporta che, al fine di escludere la responsabilità dell’autore dell’infrazione, non basta uno stato di ignoranza circa la sussistenza dei relativi presupposti, ma occorre che tale ignoranza sia incolpevole, cioè non superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza.

Conseguentemente, in applicazione di tal principio, che si estende anche alle sanzioni tributarie non penali, che hanno certamente natura di sanzioni amministrative, secondo la Corte (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13068 del 15/06/2011) anche in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, occorre quindi, complessivamente e conclusivamente, da un lato che l’azione od omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e secondariamente colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza. Il D.Lgs. n. 472 del 1997, sopra cit. art. 5, quindi, estendendo alle sanzioni tributarie il medesimo il principio generale sancito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3,stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta, anche, la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorché non necessariamente doloso. E’, pertanto sufficiente, ai fini dell’assoggettamento a sanzione tributaria, una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o tantomeno di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, gravandolo dell’onere di provare il contrario (così sostanzialmente, in motivazione, Cass. n. 14042 del 03/08/2012; cfr. Cass. n. 13068 del 15/06/2011; Cass. n. 22890 del 25/10/2006; sulla non necessità di un intento fraudolento si veda anche Cass. n. 4171 del 20/02/2009; in termini infine vedasi Cass. n. 22329/2018). Proprio in forza di quanto appena detto, poiché la prova dell’assenza di colpa grava pertanto sul contribuente, va esclusa la rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa, trattandosi di elemento in ordine alla qual prova e deduzione l’onere incombe al contribuente.

Conseguentemente, i ricorsi delle società contribuenti debbono essere respinti.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi; liquida le spese in Euro 7.830,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico delle parti soccombenti in solido tra loro.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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