Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19795 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 23/07/2019), n.19795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5504/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

Contro

Z. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore

rappresentata e assistita giusta delega in atti anche disgiuntamente

tra di loro dagli avvocati Gregorio Leone e Giuseppe Bodini, con

domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lorenza Roberta

Leone in Roma, via Luigi Luciani n. 12 (studio Salustri e

Associati);

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia sez. staccata di Brescia n. 213/67/11 depositata il

25/07/2011, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/03/2019 dal Consigliere Roberto Succio;

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto

procuratore generale Ettore Pedicini che ha chiesto dichiararsi

inammissibile o in subordine infondato il ricorso;

Uditi l’avvocato Lorenza Roberta Leone e l’avvocato dello stato

Bacosi Giulio che hanno chiesto rispettivamente l’accoglimento e il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Z. s.p.a. chiedeva e otteneva l’emissione della bolletta di esportazione per n. (OMISSIS) colli contenenti “formaggio grana” (al quale è attribuita la voce tariffaria (OMISSIS)) e chiedeva la restituzione dei diritti di esportazione; si tratta come è noto di somme dirette a compensare la differenza tra i costi di produzione e i prezzi di alcune merci UE e i costi e i prezzi vigenti su mercati esteri onde favorire l’esportazione dei prodotti agricoli UE più tipici e noti al fine di renderli competitivi.

La Dogana di Cremona procedeva a visita fisica della merce con prelievo di n. 6 campioni, 2 dei quali, analizzati dal Laboratorio Chimico di Milano, contrariamente a quanto dichiarato dalla contribuente, risultavano muniti di caratteristiche che comportavano l’attribuzione della diversa voce tariffaria doganale (OMISSIS), in quanto formaggio “tipo” Grana.

Il risultato delle analisi era notificato alla contribuente in data 20.08.2004; la stessa chiedeva la ripetizione delle analisi su altro campione alla presenza di proprio perito.

Seguiva l’instaurazione di controversia doganale, nel corso della quale la contribuente chiedeva che l’analisi venisse eseguita secondo il metodo di cui al D.M. 21 aprile 1986, come precedentemente concordato; l’istanza era accolta dal Direttore della Dogana di Cremona.

Con ulteriore istanza la contribuente chiedeva alla Direzione Regionale di Milano di risolvere la controversia ex art. 65 TULD; l’esito della seconda analisi in regime di controversia doganale, favorevole alla società, era oggetto di rilievo da parte del laboratorio, che segnalava alle parti la non rappresentatività del campione di formaggio da analizzare a causa del cattivo stato di conservazione.

Pertanto, la Direzione Regionale delle Dogane onde decidere la controversia doganale, chiedeva al Laboratorio di procedere a una terza analisi; l’esito di questa – eseguita senza la presenza del consulente di parte della società contribuente – confermava il risultato della prima, favorevole all’Amministrazione Doganale.

Il provvedimento della Direzione Regionale ridetta era quindi contestato di fronte alla CTP; la società eccepiva, tra l’altro, la violazione del contraddittorio che sarebbe derivata dalla procedura di cui si è detto come eseguita dagli Uffici con le modalità sopra descritte. La CTP accoglieva il ricorso; la sentenza di primo grado era appellata e la CTR della Lombardia confermava quella pronuncia.

Ricorre a questa Corte l’Agenzia delle Dogane con atto affidato a un solo motivo.

Resiste la contribuente società con controricorso; la stessa presenta l’eccezione di inammissibilità relativa alla definitività della sentenza di primo grado anche quale motivo di ricorso incidentale e ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente esaminata e disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione dell’Agenzia delle Dogane svolta in controricorso e proposta anche quale mezzo di impugnazione incidentale di fronte a questa Corte.

Essa si fonda sull’asserito passaggio in giudicato della sentenza della CTP di Cremona, che sarebbe divenuta definitiva in quanto non oggetto di appello da parte della Direzione Regionale delle Dogane della Lombardia che era parte del giudizio di primo grado avendo emesso l’atto impugnato, vale a dire il provvedimento di rigetto dell’istanza di rimborso dei dazi, a conclusione dell’iter amministrativo;

inoltre, poichè l’atto di appello della Dogana di Cremona non è stato notificato alla Direzione Regionale della Lombardia – e sussistendo tra tali soggetti litisconsorzio necessario – tal omissione comporterebbe l’inammissibilità dell’appello e la conseguente definitività della pronuncia di prime cure.

L’eccezione è infondata.

In primo luogo, rileva la Corte come in realtà la CTR abbia preso in esame l’eccezione di giudicato in parola, ritenendola infondata e giudicando il merito; pertanto, sul punto la pronuncia avrebbe dovuto esser aggredita dal contribuente con ricorso incidentale.

In ogni caso, questa Corte ritiene valgano per l’Agenzia delle Dogane, gli stessi principi consolidatamente enunciali per le altre Agenzie (ex multis Cass. n. 14815/2011; Cass. civ. Sez. V, Sent., Cass. n. 15781/2012; Cass. n. 1239/2014): si è detto anche in dottrina che ai fini esclusivi del rapporto processuale la qualità di parte dinnanzi alle commissioni tributarie è assunta dal singolo ufficio dell’amministrazione finanziaria periferica che ha trattato la controversia”, ossia, secondo il tenore del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, l’ufficio che ha emanato l’atto impugnato o che non ha emesso l’atto richiesto. Sempre in applicazione del prosieguo dell’art. 10 ridetto, se l’ufficio è un’articolazione dell’Amministrazione (non solo come si è premesso dell’Agenzia delle entrate, ma anche dell’Agenzia delle Dogane e dei monopoli con competenza su tutto o parte del territorio nazionale) “è parte l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso”, vale a dire l’Ufficio locale delle Dogane.

Ne deriva che parte del processo risulta essere la Dogana di Cremona, munita delle attribuzioni sul rapporto sub iudice a fronte del ricorso del contribuente di fronte alla CTP, ferma restando la legittimazione passiva dalla Direzione Regionale a partecipare al processo in quanto destinataria della notifica del ricorso del contribuente.

Depone a favore di tal interpretazione anche la ratio della disposizione, che se diversamente interpretata, significherebbe che in tutti i casi in cui la Direzione Regionale emette un provvedimento oggetto di impugnazione la stessa diverrebbe la sola legittimata passiva e attiva nel processo, con l’onere quindi in capo alla stessa di resistere in giudizio in una mole sterminata di processi, e accentramento conseguente degli stessi presso la CTP di prime cure della Regione ove ha sede la Direzione Regionale.

Ciò costituirebbe distorsione del sistema processuale del tutto abnorme e certo non voluta nè prevista dal Legislatore.

Inoltre, dall’esame della Delib. 5 dicembre 2000, n. 1, Reg. di amministrazione (delib. n. 1 del 2000) che disciplina l’Agenzia delle Dogane ratione temporis, si evince come all’art. 7 siano previste le funzioni degli Uffici locali: “le funzioni operative dell’Agenzia sono svolte da uffici locali di livello dirigenziale istituiti dal Direttore dell’Agenzia, nell’ambito territoriale di ciascuna Direzione regionale, su proposta del rispettivo Direttore regionale 3. Gli Uffici delle dogane, strutturati nelle aree di gestione dei tributi, delle verifiche dei controlli e delle attività antifrode, di gestione del contenzioso e di assistenza e informazione agli utenti, svolgono le attività riguardanti la circolazione delle merci e dei viaggiatori, l’applicazione delle disposizioni in materia di fiscalità interna connessa agli scambi internazionali, di accise sulla produzione e sui consumi e di tassazione ambientale ed energetica; assicurano sul territorio di competenza la programmazione e il conseguimento, attraverso una ottimale utilizzazione delle risorse, degli obiettivi relativi: b) all’amministrazione dei tributi, assicurando l’accertamento, la riscossione e la gestione del contenzioso per i diritti doganali, la fiscalità interna negli scambi internazionali, le accise, la tassazione energetica e ambientale, la certificazione qualitativa e quantitativa della produzione industriale soggetta ad accisa e dei consumi energetici.

Diversamente, lo stesso regolamento prevede all’art. 6 che le Strutture regionali di vertice “esercitano, nell’ambito della rispettiva competenza territoriale, funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo nei confronti degli uffici locali, curano i rapporti con gli enti pubblici locali, assicurano le attività relative al diritto di interpello e svolgono attività operative di particolare rilevanza nei settori della gestione dei tributi, dei controlli, dell’antifrode e del contenzioso”.

E’ chiaro quindi l’intento della disposizione di limitare l’intervento nel processo della Direzione Regionale ove esso sia conseguenza di attività operativa di particolare rilevanza, come avviene in materia di imposte sul reddito per quanto riguarda i c.d. “grandi contribuenti” sottoposti a controllo da parte – direttamente – della Direzione stessa dell’Agenzia delle Entrate.

Dal punto di vista sistematico, analoghe previsioni si ritrovano nell’attuale Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Dogane, deliberato dal Comitato di gestione in data 28 luglio 2016 così come modificato dall’Organo vigilante in sede di controllo (nel testo coordinato con le modifiche approvate nelle sedute del Comitato di gestione del 27 ottobre 2016, del 22 maggio 2017, del 6 luglio 2017): qui si prevede all’art. 9 che “le funzioni operative riconducibili all’area di attività già dell’Agenzia delle dogane sono svolte da strutture locali di livello dirigenziale non generale e da sezioni – Sezioni Operative Territoriali – istituite dal Direttore dell’Agenzia, nell’ambito territoriale di ciascuna Direzione regionale, interregionale o interprovinciale… Gli Uffici delle dogane svolgono le attività riguardanti la circolazione delle merci e dei viaggiatori, l’applicazione delle disposizioni in materia di fiscalità interna connessa agli scambi internazionali, di accise sulla produzione e sui consumi e di tassazione ambientale ed energetica. Assicurano sul territorio di competenza la programmazione e il conseguimento, attraverso una ottimale utilizzazione delle risorse, degli obiettivi relativi: a) alla gestione dei servizi doganali, garantendo l’applicazione della normativa tributaria ed extra-tributaria di competenza e di tutte le misure, incluse quelle riguardanti la politica agricola e la politica commerciale dell’Unione Europea, connesse agli scambi internazionali; b) all’amministrazione dei tributi, assicurando l’accertamento, la riscossione e la gestione del contenzioso per i diritti doganali, la fiscalità interna negli scambi internazionali, le accise, la tassazione energetica e ambientale, la certificazione qualitativa e quantitativa della produzione industriale soggetta ad accisa e dei consumi energetici; c) al contrasto dell’evasione tributaria e degli illeciti extratributari svolgendo direttamente e nell’ambito della Convenzione con la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ogni consentita azione per la prevenzione e repressione degli interessi patrimoniali della criminalità organizzata, anche in collaborazione con le strutture specialistiche delle forze di polizia e in particolare della Guardia di finanza.

Ciò premesso, anche la seconda eccezione di inammissibilità sollevata in controricorso risulta infondata, non risultando la Direzione Regionale delle Dogane della Lombardia parte necessaria del processo, quindi restando irrilevante la mancata notifica alla stessa dell’impugnazione. Peraltro, risulterebbe quantomeno contraddittorio da un lato individuare nel titolare delle attribuzioni. L’Ufficio locale (la Dogana di Cremona), sottoposto a controllo da parte del superiore gerarchico (la Direzione Regionale delle Dogane) e dall’altro onerare tal soggetto, oltre che del rispetto degli obblighi di comunicazione e soggezione al proprio superiore, anche di un onere processuale ulteriore come quello la cui necessarietà sostiene il contribuente.

Con il primo e unico motivo di ricorso, l’Erario censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 66 TULD in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto il provvedimento della Direzione Regionale della Lombardia risolutivo della controversia doganale, lesivo del principio del contraddittorio in quanto l’atto impugnato è stato emesso sulla base dell’ulteriore analisi del campione prelevato a suo tempo, analisi effettuata senza contraddittorio in quanto svoltasi senza la presenza di consulenti di fiducia delle parti.

Il motivo è fondato.

Va premesso che ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dagli artt. 66 ss. del TU delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (c.d. TULD), i procedimenti amministrativi cui rinvia la norma consentono proprio la instaurazione, in via preventiva, del pieno contraddittorio con il contribuente, atteso che:

a) l’art. 66 TULD prevede che l’operatore presenti ricorso gerarchico avverso l’avviso di rettifica “producendo i documenti ed indicando i mezzi di prova ritenuti utili”;

b) dal combinato disposto dell’art. 70, u.c. e dell’art. 76, comma 1 TULD emerge che solo all’esito dell’indicato procedimento amministrativo contenzioso – nel caso di decisione parzialmente o totalmente sfavorevole al ricorrente gerarchico – si determina la “definitività” dell’avviso di accertamento in rettifica ed il contribuente è legittimato ad esperire il ricorso giurisdizionale ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, avverso l’atto impositivo.

Il procedimento amministrativo in questione, pertanto, era preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto alla impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente era posto in grado di esporre tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, deducendo le prove opportune, al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela della Amministrazione doganale e quindi l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica. La decisione del ricorso amministrativo gerarchico, intesa dalla legge quale condizione per l’acquisto del requisito di “definitività” dell’avviso di accertamento è nozione che si ricollega alla distinzione tra “atti amministrativi non definitivi”, nei confronti dei quali sono esperibili solo i ricorsi amministrativi, e “atti amministrativi definitivi” immediatamente impugnabili avanti il giudice, che trova fondamento nella disciplina del D.P.R. n. 24 novembre 1971, n. 1199 e succ. mod., e che differisce sostanzialmente dalla nozione, propriamente tributaria, di “definitività dell’atto impositivo” che esprime, invece, la “incontestabilità del rapporto obbligatorio tributario” conseguente alla mancata impugnazione dell’atto impositivo nel termine di decadenza ovvero al giudicato formatosi in esito ai ricorsi giurisdizionali proposti avverso l’atto di accertamento impositivo. Essa riconduce il procedimento (quale sub-procedimento eventuale e non necessario) nell’alveo dell’unitario del procedimento di accertamento tributario doganale, diretto alla formazione del provvedimento finale.

Tal provvedimento, in quanto atto “definitivo” e quindi produttivo di effetti lesivi della sfera patrimoniale del contribuente, può da questi essere immediatamente impugnato avanti il Giudice tributario.

Concentrandosi sul thema decidendum, questa Corte osserva come essa abbia da tempo riconosciuto che pure il sistema dell’accertamento doganale debba essere adeguatamente presidiato da strumenti capaci di assicurare comunque garanzia al diritto di difesa del contribuente.

Si è fatto leva, in particolare, sulla facoltà, già riconosciuta al contribuente del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 7, d’instaurare una controversia doganale, potendo in tal maniera esprimere in seno al procedimento amministrativo il proprio punto di vista e le proprie difese; proprio facendo leva su tale facoltà, si è ritenuto che la circostanza che l’amministrazione doganale, la quale intenda procedere alla revisione di un accertamento divenuto definitivo, abbia omesso di darne avviso al contribuente e di attivare la procedura prevista dal D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11,comma 2, non è di per sè causa sufficiente ad infirmare la validità dell’avviso comunque emesso e della pretesa erariale (Cass. 21 aprile 2008, n. 10280).

La Corte di Giustizia, con la sentenza 18 dicembre 2008, C-349/07, Sopropè, citata anche in controricorso, ha certamente affermato che il rispetto dei diritti della difesa è un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo (punto 36) e che, in virtù di tale principio, i destinatari di decisioni destinate ad incidere sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione (punto 37).

Il principio, in realtà, era stato già reiteratamente affermato in precedenza dalla Corte di giustizia in pronunce meno note (Corte giust. 24 ottobre 1996, causa C – 32/95, Commissione – Lisrestal e altri, punto 21; Corte giustizia 21 settembre 2000, causa C-462/98 P, Mediocurso – Commissione, punto 3; Corte giustizia 12 dicembre 2002, C-395/00, Società distillerie Cipriani, punto 51); la sentenza Sopropè ha formulato osservazioni, però, che hanno indotto la Corte a rimeditare il proprio orientamento, sino a giungere a ritenere che il rispetto del contraddittorio anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente presente nel codice doganale comunitario, costituisce principio generale e fondamentale (Cass. 11 giugno 2010, n. 14105).

E invero il legislatore, con il D.Lgs. n. 1 del 2012, art. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, ha inserito nel D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, il comma 4 bis (inapplicabile alla fattispecie ratione temporis), che, espressamente richiamando l’art. 12 dello statuto dei diritti del contribuente, ha previsto per il contribuente termine di trenta giorni dalla notifica dell’esito della revisione dell’accertamento, compiuta d’ufficio, per comunicare osservazioni e richieste; innovazione, questa, che si combina con l’intervenuta abrogazione, ad opera del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 12, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 7, il quale prevedeva, tra l’altro, che la rettifica può essere contestata dall’operatore entro trenta giorni dalla data di notifica dell’avviso.

Dalla combinazione delle indicazioni di entrambi le Corti, non solo dalle pronunce della Corte di Giustizia, può quindi ora desumersi l’esistenza di un sistema di tutela del contribuente nella fase amministrativa, fondato sulla regola fondamentale e inderogabile secondo cui il destinatario di una decisione ad esso lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata. Tal sistema ha lo scopo di mettere l’autorità competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso, senza però tipizzare le modalità procedimentali concrete in forza delle quali tal diritto va attuato e indicare dettagliatamente quali strumenti di propria tutela possa esperire. E difatti, la stessa giurisprudenza richiamata in memoria dal contribuente fa riferimento alla necessità di consentire allo stesso di disporre di un termine sufficiente per far valere le proprie ragioni e osservazioni, prima dell’emissione del provvedimento lesivo dei propri interessi; nessun riferimento è qui operato al preventivo avviso e alla effettiva presenza alle operazioni di analisi di un proprio tecnico.

Questo profilo assume, ai fini che ci occupano, rilevanza centrale e dirimente.

Al fine di assicurare una tutela effettiva della persona o dell’impresa coinvolta, può quindi concludersi che la suddetta regola sistematica ha indicato quindi l’obiettivo da raggiungere (consentire a queste ultime di correggere un errore o far valere elementi relativi alla loro situazione personale tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro – Corte di giustizia 18 dicembre 2008, C-349/07, Sopropè, punto 49) senza però imporre l’utilizzo, tra gli strumenti di tutela, dell’uno o dell’altro dei concreti mezzi procedimentali a pena di invalidità dell’atto amministrativo e senza quindi prevedere che tra questi debba esser prevista la presenza di un proprio perito in sede di analisi.

E’ appena il caso di ricordare come l’esecuzione delle analisi, invero e generalmente, si qualifichi come adempimento di natura tecnica sostanzialmente vincolata nel processo da seguire per il suo compimento – nella quale risulta difficile individuare quella possibile e quindi sindacabile discrezionalità che potrebbe invece rinvenirsi in altre operazioni, quali il campionamento dei prodotti sottoposti a controllo. In ogni caso, poi, la regola fissata conformemente alle previsioni generali anche del diritto interno, non risulta posta a presidio dell’astratta regolarità del procedimento amministrativo, che non assurge a esigenza esclusivamente prevalente; essa ha come oggetto la tutela, invece, della concreta legittimità dell’atto nel quale in esito al procedimento si esprime l’azione amministrativa di recupero dei tributi dovuti. Se ciò è vero, come è vero, ne deriva in via strettamente logica, prima che giuridica, che la denuncia di vizi di attività dell’amministrazione capaci d’infirmare il procedimento è destinata ad acquisire rilevanza soltanto se, ed in quanto, l’inosservanza delle regole abbia, anzitutto, determinato un concreto pregiudizio del diritto di difesa della parte, direttamente dipendente dalla violazione e, poi, si sia riverberata su vizi del provvedimento finale.

Ed infatti, l’iter procedimentale delineato dalle disposizioni in esame ed applicabile al caso di specie può essere così ricostruito: a) all’accertamento di caratteri, natura o composizione delle merci presentate alla dogana si può procedere mediante analisi di laboratorio, il cui risultato può essere accettato o meno dall’operatore; b) ove quest’ultimo, nel termine fissato dal D.P.R. n. 34 del 1974, art. 61, comma 3, richieda la ripresa del contraddittorio, il risultato delle analisi non può intendersi accettato e si apre la fase della contestazione, che può essere tuttavia svolta: comma 1) nelle forme e con i modi previsti dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 65, comma 1 ed in tal caso sulla contestazione decide, con provvedimento motivato, il capo della dogana (art. 65, comma 2), alla cui mancata accettazione consegue la redazione di apposito verbale (art. 65, commi 3 e 4); comma 2) ovvero senza richiedere la controvisita nè l’esame dei periti, nel qual caso si procede immediatamente alla redazione del verbale (art. 65, comma 5); d) dalla sottoscrizione del verbale decorre il termine ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1974, ex art. 66, comma 1, per la presentazione dell’istanza di risoluzione della controversia al Direttore Regionale dell’Agenzia delle Dogane, il quale adotta un provvedimento motivato nel termine di quattro mesi dalla data di presentazione dell’istanza medesima (in tal senso Cass. Sent. Sez. 5 Num. 28667 Anno 2018).

Nell’esercizio della propria attività, infatti, l’Amministrazione Pubblica anche quella Finanziaria – deve rispettare, in via generale, la L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, di chiara efficacia espansiva, proprio perchè espressione di una regola generale; essa esclude risolutamente l’annullabilità del provvedimento amministrativo per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; e, sul punto, hanno precisato le sezioni unite della Corte, è sufficiente la mera eccezione dell’amministrazione o dei controinteressati per consentire la prova che l’intervento partecipativo del privato non avrebbe potuto avere alcuna influenza sul contenuto del provvedimento (Cass., sez. un., 5 aprile 2012, n. 5445). La norma si apprezza vieppiù per la sua portata generale, in quanto è indirizzata al giudice, introducendo un potere – dovere decisorio aggiuntivo, volto ad evitare caducazioni giudiziali inutili, in applicazione della suddetta regola generale, là dove gli impone di porre in relazione l’ipotetico effetto di annullamento con la manifestazione sostanziale dell’azione concretatasi nell’atto esaminato; non a caso, la giurisprudenza amministrativa afferma che la norma, per la sua natura processuale, si applica anche alle controversie pendenti alla data della sua entrata in vigore (tra le tante, Cons. Stato, sez. 6, 4 aprile 2011, n. 2080; Cons. Stato, sezione 5, 17 settembre 2008, n. (OMISSIS)4).

Coerentemente, è ancora la giurisprudenza amministrativa a rimarcare che la violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 7, non produce ex se l’illegittimità del provvedimento terminale, dovendo la disposizione essere appunto interpretata alla luce dell’art. 21 octies, comma 2, del medesimo testo legislativo che impone al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e, quindi, di non annullare l’atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo. In sintesi, quindi, il privato (e nel nostro caso il contribuente) non può limitarsi a dolersi della mera circostanza della mancata comunicazione di avvio, di cui alla disposizione sopra richiamata, ma deve anche indicare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento, ove avesse ricevuto la comunicazione (Cons. Stato, sez. 4, 8 giugno 2011, n. 3508).

A maggior ragione, dunque, il principio è destinato a valere nel nostro caso, in cui da un lato nulla allega il contribuente quanto al concreto pregiudizio che avrebbe subito dalla mancata partecipazione alle analisi; dall’altro il risultato della terza analisi consente di fare applicazione alla fattispecie presente proprio del principio e del disposto dell’art. 21 octies surrichiamato.

Conseguentemente, in accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata con rinvio alla CTR.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione, che provvederà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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