Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19794 del 09/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 09/08/2017, (ud. 26/09/2016, dep.09/08/2017),  n. 19794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2446-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GRUPPO GORLA SPA;

– intimato –

Nonchè da:

GRUPPO GORLA SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARIO NATALE, CARLO EMILIO TRAVERSO giusta

delega in calce;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 71/2007 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia,

depositata il 05/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato LUCISANO che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

incidentale e l’assorbimento del ricorso principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Sulla base di rilievi contenuti in processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, da cui è emerso che il Consorzio Manital, di cui fa parte la Gruppo Gorla s.p.a., ha operato come impresa commerciale con scopo di lucro non attenendosi alle modalità previste in materia di consorzi sia per la contabilizzazione di costi e ricavi, sia per la fatturazione attiva e passiva con IVA, effettuando una compensazione tra operazioni attive e passive e documentando solo la differenza, l’Agenzia delle entrate ha notificato alla predetta Gruppo Gorla s.p.a. avviso di accertamento con cui, assunta l’infedeltà della dichiarazione annuale presentata, per mancata inclusione di componenti positive e mancata fatturazione del ribaltamento delle commesse del Consorzio Manital, ha recuperato maggiore IVA per l’anno 1999, oltre interessi e sanzioni.

Avverso l’avviso di accertamento ha proposto ricorso la contribuente che è stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza appellata dall’Agenzia delle entrate.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia in Milano ha rigettato l’appello avverso la decisione di primo grado, ritenendo corretta la gestione contabile dei rapporti tra il Consorzio Manital e l’impresa consorziata, ma infondata l’eccezione di illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto notificato prima dello scadere del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate, affidandolo a due motivi, ai quali la contribuente replica con controricorso con cui propone altresì ricorso incidentale in forza di due motivi, illustrato da memoria.

La causa è trattata all’odierna udienza a seguito di ordinanza interlocutoria che aveva disposto rinvio a nuovo ruolo in attesa di pronuncia delle sezioni unite sulla questione trattata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di censura la ricorrente principale deduce insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso, identificato nella circostanza per cui la Manital operava un ribaltamento occulto dei costi di gestione in base a un accordo tacito di compensazione tra partite che vedeva le consorziate fatturare una somma inferiore rispetto al prezzo corrispondente all’attività svolta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. – Con un secondo complesso motivo, in effetti articolato su due censure correlate, la ricorrente principale deduce la violazione del combinato disposto degli artt. 1705,1709,1719 e 1720 c.c. (norme in tema di mandato), da un lato, e dell’art. 1241 c.c. (norma in tema di compensazione), artt. 1706,1705,1709,1719 e 1720 c.c.(norme in tema di mandato) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3 comma 3, art. 6, comma 3, art. 13, comma 2 e art. 15 concernenti gli obblighi IVA, nonchè del principio generale del divieto dell’abuso del diritto desunto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 1 dall’altro, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. L’Agenzia, come emerge dai quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c., formulati in calce alle due articolazioni del motivo, da un lato lamenta che omettendo la qualificazione del rapporto tra consorzio e consorziata come mandato senza rappresentanza, o implicitamente operando tale qualificazione, la sentenza impugnata abbia – ritenendo corretto l’operato dei contribuenti – affermato una regola giuridica contraria a quelle applicabili al caso di specie, rispetto al quale sussisterebbe, stante il mandato predetto, necessità del ribaltamento di costi e ricavi; d’altro lato, denuncia che, di fronte a consorzio avente scopo non lucrativo che percepiva ricavi dai committenti superiori a quelli pagati ai consorziati mediante l’impiego elusivo della compensazione, si debba applicare la normativa derivante dal combinato disposto delle norme indicate, secondo cui il consorzio e la consorziata devono escludere ogni compensazione, e ribaltare nella loro integralità costi e ricavi, in luogo della inesistente regola affermata dalla Commissione regionale secondo cui tale ribaltamento non sarebbe dovuto al pari delle conseguenti obbligazioni tributarie.

3. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, la società consorziata deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 14, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. Chiede che questa Corte valuti se, essendo stato emanato l’avviso di accertamento prima del decorso del termine di sessanta giorni dal rilascio di copia del processo verbale di chiusura dei controlli, lo stesso sia da ritenersi nullo, invece che valido come asserito dalla Commissione regionale (che sul punto riformava la sentenza di primo grado).

4. – Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la società consorziata lamenta sotto altro profilo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, sostenendo essere, in base a tale norma, nullo l’avviso di accertamento e non invece valido come ritenuto dalla Commissione regionale – che, emanato prima del decorso del termine di sessanta giorni dal rilascio di copia del processo verbale di chiusura dei controlli per eventuali ragioni di urgenza, non rechi menzione di dette ragioni, avendo la Commissione regionale giustificato essa stessa – senza che alcunchè deducesse o provasse l’Agenzia – l’urgenza in relazione all’esigenza di salvaguardare l’accertamento rispetto al decorso dei termini di decadenza. La società consorziata lamenta da tale punto di vista – all’interno dello stesso motivo – anche vizio di insufficienza di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5. Vanno prioritariamente esaminati i motivi di ricorso principale, in omaggio al principio di diritto formulato da questa Corte (a sez. un., n. 5456 del 2009) per cui il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito o – come nel caso di specie – preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece, come nel caso di specie, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale.

6. – I due motivi del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente in quanto relativi a violazioni di norme e ai correlati profili afferenti la motivazione, risultano inammissibili.

7. – Preliminarmente rispetto al loro esame, giova premettere che i profili giuridici da essi incisi sono stati di recente rivisitati da questa Corte a sezioni unite con le sentenze nn. 12190, 12191, 12192, 12193 e 12194 del 2016. Precedentemente rispetto all’intervento delle sezioni unite (q.v. per richiami), un primo indirizzo giurisprudenziale relativo alla società consortile (art. 2615 ter c.c.) considerava la “funzione mutualistica” ex art. 2602 c.c., comma 1 e art. 2614 c.c. tale da non esaurirsi nell’oggetto o scopo, e da informare invece la stessa causa del negozio consortile, con la conseguenza che una eventuale elusione della funzione mutualistica potrebbe assumere rilievo ai sensi dell’art. 1344 c.c. (contratto in frode alla legge), se tesa a violare norme tributarie, attesa l’imperatività propria di queste, venendo a configurare una fattispecie di abuso del diritto. Secondo l’indirizzo in esame, il consorzio, proprio in considerazione della causa negoziale predetta, non potrebbe e non dovrebbe avere nessun vantaggio economico per sè, perchè tali vantaggi (come gli eventuali svantaggi) appartengono, sempre e solo, alle imprese consorziate. Ne conseguirebbe che il Consorzio – anche se costituito in forma societaria – non potrebbe trattenere utili nè sopportare costi derivanti dalla attività svolta nell’interesse delle consorziate, ma dovrebbe sempre e comunque riaccreditare e riaddebitare (o con altra terminologia “ribaltare”) ad esse rispettivamente il corrispettivo ricavato dai contratti stipulati con i terzi committenti, nonchè i costi generali – concernenti le spese di funzionamento della organizzazione – e specifici – relativi alle spese sostenute per la stipula ed esecuzione dei singoli contratti – ripartendoli tra le consociate in proporzione alla quota di partecipazione detenuta da ciascuna impresa. Da tali premesse è stata tratta la conseguenza che la difformità tra il maggiore importo fatturato dal consorzio e gli importi fatturati dalle singole consociate configurerebbe una indebita compensazione tra i ricavi del consorzio (che devono invece essere interamente ribaltati alla consorziata) e il rimborso delle spese da esso sostenute, non potendo neppure giustificarsi tale differenza di importi in base alla provvigione richiesta dal consorzio-mandatario (senza rappresentanza) alle consociate imprese-mandanti in quanto, se da un lato non può escludersi che il mandato, “in assenza di finalità lucrativa”, ben potrebbe essere svolto a titolo gratuito dal consorzio, dall’altro, la provvigione deve necessariamente trovare corrispondente riscontro probatorio nelle scritture contabili sia del consorzio che delle consorziate e inserita nella determinazione della base imponibile indicata nelle fatture emesse dalle consorziate.

Con un secondo indirizzo, incentrato sulla autonoma soggettività giuridica e fiscale del consorzio rispetto alle singole imprese associate, questa Corte, prendendo le mosse dallo scopo tipico del contratto di consorzio, ha affermato – proprio in riferimento al soggetto per cui è causa – che la natura di ente non a fini di lucro desumibile dallo statuto non escluderebbe lo svolgimento di un’attività intrinsecamente commerciale, traendo da essa dei ricavi, parte dei quali diretti a coprire i costi di gestione. Tale orientamento ripete il proprio fondamento dalla impostazione teorica secondo cui lo scopo di mutualità non contraddice lo scopo di lucro, inteso in senso oggettivo come esigenza di economicità della gestione dell’attività svolta dal consorzio, con la conseguenza che il consorzio ben potrebbe conseguire autonomi ricavi dall’attività svolta nei confronti dei terzi, salvo il perseguimento dello scopo mutualistico assunto nell’oggetto sociale – nei rapporti interni con le imprese consorziate. In tale ottica, la natura di ente non avente finalità di lucro non implicherebbe che i costi di gestione debbano obbligatoriamente cedere a carico delle imprese consorziate. Da ciò la conclusione che il consorzio, agendo in conformità allo scopo indicato, potrebbe evitare di addossare alle società consociate eventuali maggiori oneri connessi ai costi di gestione (spese generali) della propria attività e alle spese di funzionamento della organizzazione consortile, ricavando dallo svolgimento della attività esterna i proventi necessari a coprire integralmente tali costi, nella specie trasferendoli, attraverso la applicazione di una percentuale di ricarico, sul maggior corrispettivo che riceve dai terzi committenti per i contratti di appalto stipulati in nome proprio e per conto delle consorziate.

Nel riesaminare la propria giurisprudenza anche in materie affini, le sezioni unite hanno ritenuto meritevole di condivisione un indirizzo intermedio tra i due orientamenti contrapposti. Esse hanno, da un lato, riaffermato che l’esercizio di un’impresa commerciale ed il relativo intento di lucro non sono inconciliabili con lo scopo mutualistico. Dopo aver ammesso che vi sono società senza scopo di lucro e consorzi in forma societaria, si è in tale ottica anche affermato che la stessa società cooperativa può avere uno scopo di lucro. La compatibilità va confermata anche ai fini fiscali, come si trae dal dettato normativo di cui alla L. n. 240 del 1981, art. 4 laddove si subordina la possibilità per i consorzi e le società consortili di fruire di una determinata agevolazione fiscale alla previsione statutaria di un divieto di distribuzione di utili alle consorziate; divieto altresì disposto dalla L. n. 317 del 1991, art. 18 e che non avrebbe ragion d’essere qualora si escluda la possibilità per le società consortili di conseguire utili.

Da ciò traggono le sezioni unite – con indirizzo cui va qui data continuità – che, se deve ammettersi la coesistenza della causa mutualistica con lo scopo lucrativo, non ne consegue “ex se” il riconoscimento della effettiva sussistenza di entrambi, in pari misura, in un consorzio o società consortile; è necessaria dunque la distinzione in concreto tra le operazioni poste in essere in esecuzione del patto mutualistico da quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale, alla luce non solo dei patti consortili, ma anche dell’attività in concreto esercitata, con verifica tesa a valutare se il ricorso all’organizzazione consortile sia finalizzato unicamente a conseguire un indebito risparmio fiscale. Tale intento è ben presumibile laddove lo scopo mutualistico risulti, a detto accertamento, di carattere del tutto residuale.

Le diverse modalità attraverso le quali viene svolta l’attività consortile, nonchè la correlazione delle stesse con gli scopi di volta in volta perseguiti, impongono la necessità di un ulteriore accertamento circa i rapporti intercorsi tra soggetto consortile e la consorziata nella fase di assegnazione dei lavori o dei servizi ai singoli consorziati, rapporti che, in assenza di specifica disposizione normativa, possono anche essere in concreto ricondotti a istituti anche diversi dal mandato con o senza rappresentanza.

In base a tale verifica in ordine alla natura delle operazioni o servizi rispettivamente espletati dal soggetto consortile o dalle consorziate, e al rapporto sottostante all’assegnazione dei servizi alle consorziate, sarà possibile stabilire se sia o meno necessario il “ribaltamento” integrale o parziale di costi e ricavi.

Come ricordano le sezioni unite, ad esempio, nell’ipotesi in cui il consorzio acquisisca una commessa e proceda a un autonomo adempimento della stessa indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, va esclusa la legittimità di un ribaltamento dei costi tra tutti i consorziati; a questo si dovrà invece procedere se il consorzio, pur avvalendosi di proprie strutture, svolga servizi complementari, comunque connessi al criterio mutualistico di utilizzo del servizio consortile.

Le richiamate sentenze delle sezioni unite hanno poi ricordato che l’eventuale differenza tra quanto fatturato dal consorzio al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato al consorzio può ricollegarsi a più evenienze:

a. differenza costituita dalle spese di gestione generali ripartita tra i singoli consorziati e addebitata al consorziato in occasione della commissione dei lavori;

b. differenza costituita dal costo di specifici servizi forniti dal consorzio al consorziato in relazione ai lavori che questo è deputato a svolgere;

c. differenza costituita dalle provvigioni dovute dal consorziato (mandante) al consorzio (mandatario senza rappresentanza), escluse dall’imponibile IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13);

d. differenza costituita dal costo e dagli utili per ulteriori servizi forniti solo dal consorzio, quale soggetto imprenditoriale, in favore del terzo committente, in relazione ai lavori posti in essere dal consorziato a seguito della commessa in suo favore.

In relazione a ciò, le sezioni unite hanno statuito che l’individuazione dell’evenienza nel concreto realizzatasi costituisce un problema di prova e di onere della prova, il cui esame è rimesso al giudice del merito con valutazione sottratta al sindacato di questa Corte se motivata nelle forme di legge. Soccorrono, in tale valutazione, le regole per cui nelle ipotesi a) e b) la differenza del “quantum” fatturato, nel caso di compensazione tra consorziato e società consortile, in assenza di dettaglio di costi e ricavi, si risolve in un occultamento dei ricavi del consorziato, presunzione questa rispetto alla quale costituisce onere del consorziato fornire la prova contraria, nel senso che tale differenza non sia costituita da ricavi, nel rispetto dei principi di certezza, effettività, inerenza e competenza. Egualmente sarà onere del consorziato, nelle ipotesi c) e d), provare che la differenza suddetta sia costituita da provvigioni o da servizi resi dal, consorzio al terzo.

Infine, in correlazione tra attività esercitata dal soggetto consortile o dalla consorziata in relazione ai diversi scopi (consortile-lucrativo), andrà riconosciuto il diritto alla detrazione dei costi ai fini IVA; e ciò conformemente alla direttiva comunitaria (art. 17, par.2 della 6 direttiva).

8..- Alla luce di tali statuizioni delle sezioni unite, cui come detto il collegio intende conformarsi, possono esaminarsi i due motivi del ricorso principale relativi a dedotta violazione di legge riferita alla disciplina civilistica e fiscale dei consorzi tra imprese (secondo motivo) e ai correlati profili motivazionali (primo motivo). L’inammissibilità di essi discende dalla circostanza che gli stessi, attinenti come già sopra notato a dedotte violazioni di norme e abuso del diritto per mancata fatturazione e mancato ribaltamento integrale di costi e ricavi, nonchè ai correlati profili di sufficienza della motivazione, postulano l’affermazione di una “regula iuris” (in sintesi, l’obbligo di ribaltamento) e l’esigenza di motivare in ordine alla sua applicazione non confacenti – o non più confacenti, dopo l’intervento nomofilattico – rispetto alla fattispecie concreta, cui si attaglia ormai il principio di diritto, con correlati obblighi motivazionali, per cui deve procedersi alla distinzione tra le operazioni poste in essere dal soggetto consortile in esecuzione del patto mutualistico da quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale, alla luce non solo dei patti consortili, ma anche dell’attività effettivamente esercitata, e tenuti presenti i rapporti intercorsi tra consorzio e la consorziata nella fase di assegnazione dei lavori o dei servizi ai singoli consorziati, con verifica tesa a valutare se il ricorso all’organizzazione consortile sia finalizzato unicamente a conseguire un indebito risparmio fiscale. Su tali profili – parzialmente trattati nella sentenza impugnata – non si sono soffermati i predetti motivi, come ricordato solo imperniati sulla tesi dell’integrale ribaltamento delle voci

contabili tra consorzio e consorziate.

9. – Da quanto sopra affermato circa la natura del ricorso incidentale, a fronte del mancato accoglimento del ricorso principale, l’impugnazione della società consorziata deve aversi per assorbita.

10. – Stante il consolidarsi del quadro giuridico di riferimento per la controversia soltanto nel 2016, per effetto delle cennate sentenze delle sezioni unite a soluzione di contrasti interpretativi, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso principale per inammissibilità dei motivi, assorbito il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione quinta civile, il 26 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017

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