Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19789 del 28/09/2011

Cassazione civile sez. III, 28/09/2011, (ud. 08/07/2011, dep. 28/09/2011), n.19789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3979/2009 proposto da:

G.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ATTILIO REGOLO 19, presso lo studio dell’avvocato ANDREOTTA

Giuseppe, che lo rappresenta e difende giusto mandato in atti;

– ricorrente –

contro

RUSSO RESTAURI SRL (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 88/2008 del TRIBUNALE di VALLO DELLA LUCANIA,

depositata il 28/05/2008, R.G.N. 1550/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2011 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE ANDREOTTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 1 agosto 2006 G.S. ha proposto, innanzi al tribunale di Vallo della Lucania, sezione specializzata agraria – ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ. – opposizione ai precetti intimatigli dalla Russo Restauri s.r.l. per il rilascio del fondo rustico (OMISSIS), in agro del comune di (OMISSIS), condotto in affitto da esso concludente sin dal 1 dicembre 1971.

Esposto che il fondo in questione era stato trasferito alla Russo Restauri s.r.l. in forza di due decreti del giudice delegato al fallimento di A.S., il G. ha fatto presente che la propria opposizione si fondava sul diritto di ritenzione spettantegli della L. 3 maggio 1982, n. 203, ex art. 20, atteso che nè il fallimento nè l’aggiudicataria avevano mai provveduto alla liquidazione delle indennità del caso per i miglioramenti apportati al fondo e facendo presente, da un lato, di avere ottenuto – ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 17 – parere della Stapa-Cepica di Salerno che aveva determinato in L. 153.752.000 l’ aumento di valore di mercato del fondo, in conseguenza dei miglioramenti eseguiti da esso concludente, dall’ altro, che non era mai stata contestata dalla controparte l’autorizzazione alla esecuzione dei miglioramenti rilasciata dall’ A. con la scrittura 30 ottobre 1971, da ultimo, che esso concludente aveva già proposto altra opposizione all’esecuzione – in relazione ai medesimi fatti – dichiarata improponibile dal tribunale di Vallo della Lucania (per omesso esperimento del tentativo di conciliazione di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46), sentenza avverso la quale pendeva ricorso per cassazione.

Tanto premesso il G. ha chiesto che l’adito tribunale di Vallo della Lucania, sezione specializzata agraria, in rito, sospendesse la efficacia esecutiva dei decreti di trasferimento azionati o, in subordine, la esecuzione stessa, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. civ., previa sospensione della sentenza n. 330 del 2006, oggetto di ricorso di cassazione, nel merito dichiarasse l’insussistenza del diritto della controparte di procedere a esecuzione forzata, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 20.

Costituitasi in giudizio la Russo Restauri s.r.l. ha resistito alla avversa opposizione deducendone la inammissibilità per violazione del principio del ne bis in idem e nel merito la infondatezza in fatto e diritto per difetto di legittimazione passiva di essa concludente e per la mancata autorizzazione da parte del proprietario del fondo alla esecuzione degli asseriti miglioramenti.

Svoltasi la istruttoria del caso con sentenza 6 febbraio – 28 maggio 2008 l’adita sezione ha rigettato l’opposizione, compensate le spese di lite.

Per la cassazione di tale pronunzia non notificata, ha proposto ricorso, con atto 3 febbraio 2009 e date successive G.S., affidato a 10 (dieci) motivi e illustrato da memoria.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede la Russo Restauri s.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In tema di contratti agrari, il diritto all’indennità riconosciuto all’affittuario ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 17 – ha osservato il giudice a quo – presuppone il preventivo consenso del concedente (o, in difetto, l’autorizzazione dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura) il quale deve sostanziarsi in una manifestazione di volontà autorizzativa che specifichi la natura, le caratteristiche e le finalità degli interventi migliorativi, non risultando perciò sufficiente – ai fini della configurazione di tale requisito – una autorizzazione meramente generica per tipi e/o categorie di opere.

Nella specie – peraltro – ha evidenziato ancora il giudice a quo, la circostanza del preventivo assenso del proprietario concedente, A.S., alla realizzazione dei miglioramenti rivendicati dall’opponente, non è stata affatto provata.

In particolare:

– la scrittura privata del 1971 con cui l’allora proprietario del fondo avrebbe autorizzato l’odierno opponente alla esecuzione dei miglioramenti agricoli è di contenuto assolutamente generico e, dunque, inutilizzabile, ai fini che interessano;

– tale scrittura, contiene – nella prima parte – una descrizione sommaria dello stato dei luoghi mentre nella seconda parte prevede l’obbligo assunto dal G. di mettere a coltura il fondo a sue cure e spese anche con piantagioni oli essenze fruttifere che risulteranno più indicate al terreno che verrà in superficie dopo le operazioni di scasso spietra mento ecc. e il contenuto di tale autorizzazione risulta privo di quei requisiti della specificità della natura, delle caratteristiche e delle finalità degli interventi migliorativi come richiesti dalla L. 3 maggio 1932, n. 203, art. 16 e ribadito dalla giurisprudenza di legittimità;

– la genericità della scrittura del 1971 emerge in modo ancora più evidente se il contenuto della stessa viene confrontato con i rilevanti miglioramenti descritti, nell’atto di opposizione, asseritamente posti in essere dal G. e consistenti, tra l’altro, nella realizzazione di un impianto autonomo di irrigazione, di una efficiente rete stradale interna, nonchè di un agrumeto di varietà pregiate e di una coltura intensiva di alberi da frutto:

sarebbe irragionevole ritenere che miglioramenti di così vasta portata fossero inclusi nella scrittura in esame, in cui si richiamano esclusivamente delle non meglio precisate piantagioni di essenze fruttifere, senza null’altro aggiungere in merito alla natura e alle caratteristiche delle stesse (peraltro da individuare in un secondo momento, ossia a seguito dei lavori di spietramento e ripulitura del fondo);

– non può tenersi conto della scrittura privata autenticata sottoscritta il 16 dicembre 1977 in cui il concedente riconosce di avere autorizzato l’esecuzione dei miglioramenti (questa volta) analìticamente descritti nella stessa scrittura, in quanto quest’ultima è successiva alla realizzazione dei contestati miglioramenti e, pertanto, inidonea a rendere gli stessi legittimi sotto il profilo del diritto di credito dell’affittuario alla corrispondente indennità;

– non risulta essere stata rilasciata, in favore dell’opponente, una preventiva autorizzazione dell’IPA secondo le formalità e la procedura di cui alla L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 11, ovvero della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 16, il cui onere probatorio gravava sull’opponente, in quanto esecutore dei miglioramenti;

– irrilevante è il parere dell’IPA del 22 febbraio 1999 in quanto lo stesso ha ad oggetto unicamente la determinazione del valore dei miglioramenti apportati ma non può costituire una autorizzazione alla loro esecuzione, disciplinata dal precedente della citata L. n. 203 del 1982, art. 16, sulla base di altre formalità.

2. Con il primo motivo il ricorrente censura la riassunta sentenza denunziando violazione e/o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 1, art. 27, comma 4 e art. 20, comma 2 (rilevante art. 360 c.p.c., ex n. 3) e formulando – ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – il seguente quesito di diritto:

ai fini del legittimo esercizio del diritto di ritenzione di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 20, comma 2, è sufficiente che risulti l’effettuazione – in generale – dei miglioramenti previsti dalla L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 1, ivi espressamente richiamato, tutt’al più richiedendosi che i miglioramenti stessi siano intervenuti in relazione a un rapporto di natura agraria riconducibile alla nozione di cui alla L. n. 203 del 1982. Non si richiede, invece, l’accertamento funditus della idoneità del consenso del proprietario a far sorgere il diritto all’indennità (di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 11, comma 2), attraverso l’esame della natura delle migliorie apportate e la loro riconducibilità al consenso espresso, non sussistendo richiamo alcuno alla L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 2, ed essendo tale accertamento, anche in punto di sufficiente specificazione dell’autorizzazione, da demandarsi al giudice chiamato a decidere nel merito della spettante della detta indennità.

3. La censura è manifestamente infondata.

In conformità a quanto assolutamente incontroverso – infatti – presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte, il diritto di ritenzione, che è riconosciuto nell’art. 1152 cod. civ. e si configura come situazione giuridica non autonoma ma strumentale all’autotutela di altra situazione attiva generalmente costituita da un diritto di credito, è contemplato in favore dell’affittuario nella L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 20, così come nella precedente L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 15, in stretta correlazione al diritto di credito per le indennità spettanti al coltivatore diretto per i miglioramenti, le addizioni e le trasformazioni da lui apportati al fondo condotto, sicchè, presupponendo l’esistenza di un credito derivante dalle opere indicate e realizzate dal coltivatore diretto, non è scindibile dall’esistenza di detto credito o dall’accertamento di questo. Pertanto, eccepito dall’affittuario che si opponga all’esecuzione del rilascio di un fondo rustico, il diritto di ritenzione a garanzia del proprio credito per i miglioramenti apportati al fondo, il giudice non può limitarsi ad accertare l’esistenza delle opere realizzate dall’affittuario ma, deve vetrificarne anche l’indennizzabilità rigettando l’eccezione ove tale verifica dia esito negativo (In termini, ad esempio, Cass. 29 febbraio 2008, n 5519, specie in motivazione, nonchè Cass. 26 giugno 2001, n. 8741; Cass. 9 maggio 1995, n. 5021).

Non controverso quanto precede, pacifico che nella specie i giudici del merito si sono puntualmente attenuti al riferito principio di diritto – per superare il quale non vengono svolti, in ricorso, argomenti in tesi idonei a una sua rivisitazione critica – è palese – come anticipato la manifesta infondatezza del motivo.

4. Con il secondo motivo (indicato come primo bis) il ricorrente lamenta ancora violazione della L. n. 203 del 1982, art. 27, commi 3 e 4 (rilevante ai fini di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3).

Il motivo, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., si concludente con il seguente quesito di diritto il giudice dell’opposizione, in presenza all’indennità determinata dall’Ispettorato dell’Agricoltura ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 11, comma 3, è tenuto ad accogliere l’opposizione proposta dal conduttore che eserciti il diritto di ritenzione di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 20, comma 2, costituendo la deliberazione Stapa prova scritta del credito per l’indennità stessa.

5. Al pari del precedente, il motivo è manifestamente infondato.

Se – infatti – come osservato in sede di rigetto del primo motivo, l’opposizione proposta dall’affittuario di fondo rustico alla richiesta di rilascio invocando la avvenuta esecuzione di miglioramenti deve essere rigettata qualora non sia stata data la prova della indennizzabilità dei miglioramenti – cioè la prova che gli stessi sono stati posti in essere nel rispetto della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 11, e segg. e della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 16 – è palesemente totalmente irrilevante, qualora manchi – come nella specie – la prova di detta indennizzabilità, che sia stata quantificato l’importo del valore dei miglioramenti.

Infatti:

– come puntualmente evidenziato dalla sentenza impugnata il parere dell’Ispettorato del 22 febbraio 1999 ha ad oggetto la determinazione del valore dei miglioramenti ma non vale, senza ombra di dubbio, quale autorizzazione ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 16;

– come osservato sopra l’odierno ricorrente, per vedere accolta la proposta opposizione era onerato di un duplice onere e, in particolare, da un lato, di avere eseguito miglioramenti fondiari, dall’altro, di avere eseguito questi nel rispetto della disciplina specifica della materia.

Attenendo il parare dell’Ispettorato – a tutto concedere – esclusivamente alla prima delle riferite circostanze cioè quanto alla avvenuta esecuzione dei miglioramenti – è di palmare evidenza, come anticipato, la infondatezza anche del secondo motivo di ricorso (primo bis).

6. Con il terzo motivo indicato come secondo il ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (rilevante art. 360 cod. proc. civ., ex n. 3). Nullità, error in procedendo (ai fini di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4). Ancora violazione e/o falsa applicazione art. 615 c.p.c., comma 1 (sempre rilevante a termini art. 360 c.p.c., n. 3).

Si deduce, in buona sostanza, con tale motivo che il giudice dell’opposizione non poteva estendere il proprio giudizio alle condizioni per l’accertamento del diritto di esso concludente a ottenere la indennità di legge per i miglioramenti arrecati al fondo formulando, tra gli altri, il seguente quesito si diritto: se nel caso di opposizione all’esecuzione per le ragioni tutelate dalla L. n. 203 del 1982, art. 20, comma 2, esubera l’ambito di cognizione devoluta al giudice dell’opposizione l’accertamento del diritto all’indennità di miglioramento previsto dalla L. n. 203 del 1982, art. 11, comma 2.

7. Al pari dei precedenti il motivo è manifestamente infondato, stante la regula iuris sopra trascritta cui puntualmente si è attenuto il giudice a quo e secondo cui, eccepito, in sede di opposizione all’esecuzione per rilascio dall’affittuario il diritto di ritenzione del fondo ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 20, il giudice non può limitarsi ad accertare l’esistenza delle opere realizzate dall’affittuario ma, deve verificarne anche l’indennizzabilità rigettando l’eccezione ove tale verifica dia esito negativo.

8. Con i motivi, dal quarto al settimo il ricorrente clenunzia:

– violazione e/o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 2 e art. 17 e dell’art. 1362 (rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3). Conclude il motivo il seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.: ai fini dell’accertamento del diritto all’indennità di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 11, per la determinazione del contenuto dell’ autorizzazione concessa dal proprietario al conduttore vanno applicate le norme ermeneutiche di cui all’art. 1362 c.c., e, pertanto, sia la finalità dichiarata delle parti, sia il comportamento successivo dalle stesse mantenuto, devono costituire strumento utile e necessario per la individuazione degli specifici miglioramenti indennizzabili (quarto motivo, indicato in ricorso come terzo);

ancora violazione e/o falsa applicazione art. 1362 c.c., nonchè del cit. art. 1362 c.c. in combinato disposto con gli artt. 1322 e 1346 c.c., in relazione alla L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 2 (rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3). Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: il preventivo accordo previsto dalla com. L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 2, può prevedere, ai fini del riconoscimento delle indennità di cui all’art. 11 stessa legge, in considerazione dell’autonomia contrattuale prevista dall’art. 1322 c.c., e della determinabilità successiva dell’oggetto, consentita dall’art. 1346 c.c., che la specificazione dei miglioramenti autorizzati sia determinabile ex post in base tuttavia alle finalità per cui l’intervento viene autorizzato quale risulti dall’ accordo delle parti a mente dell’art. 1362 c.c. (quinto motivo, indicato in ricorso come quarto);

– violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in combinato disposto con gli artt. 1708, 1710 e 1711 c.c. in relazione alla L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 2 (sempre rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3). Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: il preventivo accordo previsto dalla L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 2, può prevedere, ai fini del riconoscimento delle indennità di cui all’art. 11 stessa legge in considerazione del mandato che, in base anche alla interpretazione della volontà delle parti ex art. 1362 c.c. si sarebbe dovuto ravvisare nelle pattuizioni di cui alla scrittura del 30 ottobre 1971, che la specificazione dei miglioramenti autorizzati avvenga da parte dello stesso fittavolo che, nel rispetto delle norme sul mandato, può autodeterminare le migliorie da apportare atte a essere indennizzate ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 11 (sesto motivo, indicato in ricorso come quinto);

– violazione e/o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 11 (rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3). Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: la L. n. 203 del 1982, art. 11, liddove per il riconoscimento all’affittuario del diritto alìindennità di migliorie ecc., richiede il preventivo consenso del concedente, non impone che tale consenso, a mente dell’art. 16, comma 2 stessa legge si espliciti nella identificazione delle singole fasi del processo di trasformazione per cui un fondo incolto, e di cui è descritto lo stato, viene messo in produzione, essendo sufficiente la esplicitazione della finalità di detta trasformazione e, in ogni caso, dovendosi privilegiare la sussistenza di un comune accordo delle parti, rispetto alla sussistenza delle precisazioni previste per il caso di attivazione del procedimento IPA (settimo motivo, indicato in ricorso come sesto);

9. Con i motivi da 8 a 10 (indicati in ricorso rispettivamente come settimo, settimo bis e settimo ter), il ricorrente deduce – ancora – nell’ordine:

– da un lato, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione alla L. n. 15 del 1968, art. 4, nonchè della L. Fall., art. 42, e segg.. Censure tutte rilevanti ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Insufficiente motivazione art. 360 c.p.c., n. 5 (ottavo motivo, indicato in ricorso come settimo);

– dall’altro, violazione dell’art. 116 c.p.c., per non avere valutato la prova in esame (nono motivo, indicato in ricorso come settimo- bis).

– da ultimo violazione e falsa applicazione dell’art. 44 laddove ha ritenuto che la dichiarazione in esame andasse annoverata tra gli atti inefficaci, ovvero della L. Fall., artt. 42 e 46, laddove ha ritenuto che il fallito avesse perso la sua capacità di agire e comunque di produrre dichiarazioni quale quella in esame (decimo motivo, indicato in ricorso come settimo-ter).

I motivi si concludono con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto:

– l’atto con il quale successivamente delle migliorie si riconosce che queste corrispondono a quelle autorizzate con separato atto precedente all’esecuzione delle migliorie stesse, come tali ab initio lecitamente apportate dal conduttore, soddisfa insieme con la iniziale più generica autorizzazione la previsione di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 2, al fini della liquidazione dell’indennità di cui all’art. 11. Invero, gli atti ricognitivi delle migliorie apportate dal fittavolo laddove esiste un precedente accordo circa la natura e la finalità del miglioramento non integrano una nuova autorizzazione bensì hanno valore specificativo di quella già concessa che ha rimosso la condizione di illiceità delle opere realizzate quale sarebbe stata senza l’autorizzazione del concedente;

– la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui alla L. n. 15 del 1968, art. 4, deve essere valutata dal giudice di merito ex art. 16 c.p.c., alla stregua delle scrittura di cui agli artt. 2700 e 2702 c.c., o, quantomeno, quale indizio atto a formare il suo convincimento che, perciò, non può prescindere da quell’indizio stesso;

– la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal fallito, non è inefficace L. Fall., ex art. 44, nè gli è inibita per effetto della perdita da parte sua della titolarità solo di alcuni rapporti, quando la stessa non disponga ex novo bensì convalidi, specifici o confermi atti già da lui posti in essere prima della dichiarazione di fallimento.

10. I riferiti motivi prima ancora che manifestamente infondati, alla luce di tutte le considerazioni svolte sopra quanto alla necessità, perchè sorga il diritto di ritenzione invocato dall’odierno ricorrente, che questi dimostri la indennizzabilità delle opere eseguite, cicè che queste sono state realizzate nel rispetto dei precetti di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 16 e di cui alla normativa previgente, e salvo quanto si dirà in prosieguo, atteso che essendo il consenso del concedente necessariamente preventivo, rispetto alla esecuzione delle opere è palesemente irrilevante la condotta delle parti, nonchè le eventuali dichiarazioni delle stesse successive al compimento delle opere sono inammissibili sotto diversi, concorrenti, profili.

10. 1. In primo luogo si osserva che l’art. 366 bis cod. proc. civ. – da cui pare totalmente prescinda la difesa del ricorrente – dispone che nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità con formulazione di un quesito diritto. Nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’ illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Pacifico quanto precede si osserva che i quesiti formulati dalla ricorrente al termine dei motivi ora in esame non sono conformi al modello delineato dall’art. 366-bis, con conseguente inammissibilità del ricorso.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

10.1.1. A mente di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice il quesito di diritto previsto dall’art. 366-bis cod. proc. civ. (nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

In altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dal solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

La ammissibilità del motivo, in conclusione, è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Cass. , sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054; Cass. 7 aprile 2009, n. 8463).

Non può, inoltre, ritenersi sufficiente – perchè possa dirsi osservato il precetto di cui all’art. 366-bis – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dalla esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie.

Una siffatta interpretazione della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366 bis cod. proc. civ., secondo cui è, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, ha inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato sopra richiamato.

In tal modo il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati (Cass. 25 novembre 2008 nn. 28145 e 28143).

10.1.2. Contemporaneamente deve ribadirsi, al riguardo, che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cit. deve compendiare:

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;

c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

Di conseguenza, è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge o a enunciare il principio di diritto in tesi applicabile (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

10.1.3. Conclusivamente, poichè a norma dell’art. 366-bis cod. proc. civ. la formulazione dei quesiti in relazione a ciascun motivo del ricorso deve consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del diverso principio di diritto che il ricorrente assume come corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, è palese che la mancanza anche di una sola delle due predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.

Infatti, in difetto di tale articolazione logico giuridica il quesito si risolve in una astratta petizione di principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso come tale inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella esposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonchè Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

10.1.4. Facendo applicazione al caso di specie dei principi – non controversi – sopra trascritti è agevole osservare che i quesiti sopra trascritti si esauriscono in una serie – totalmente astratta – di petizioni di principio (o, piuttosto, ancora, in una mera richiesta di accoglimento del ricorso) inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto in relazione a quello che è stato il diverso principio di diritto di cui ha fatto applicazione il giudice a quo (cfr. Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonchè Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

10.1.5. Come evidenziato sopra, l’art. 366-bis cod. proc. civ., prevede che nel caso previsto dall’art. 360 comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis, in esame – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass,, sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora, è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Quindi, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897. Non diversamente, tra le tantissime, Cass. 18 luglio 2007, n. 16002; Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 26 febbraio 2008, n. 4961; Cass. 7 aprile 2008, n. 8897;

Cass. 30 dicembre 2009, n. 27680; Cass. 20 maggio 2010, n. 12421).

Pacifico quanto precede si osserva che nella specie l’ottavo motivo pur denunziando, nella rubrica insufficiente motivazione è totalmente privo della precisa indicazione del fatto controverso e il motivo – pertanto – deve essere, anche nella parte de qua, dichiarato inammissibile.

10.2. Oltre che sotto il profilo che precede – comunque – i motivi ora in esame devono essere dichiarati inammissibili anche sotto altro, concorrente, profilo.

Contrariamente a quanto suppone la difesa del ricorrente e in armonia con quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (In termini, ad esempio, Cass. 20 aprile 2011, n. 9117; Cass. 12 aprile 2011, n. 8410; Cass. 31 marzo 2011, n. 7459; Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Pacifico quanto segue si osserva che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito hanno, in tesi, malamente interpretato il disposto delle molteplici disposizioni normative indicate nella rubrica dei vari motivi, lungi dal censurare la interpretazione data dai giudici del merito delle norme in questione non è neppure riferito quale sia la interpretazione delle stesse data dalla sentenza impugnata e quella, a soggettivo parere del ricorrente, corretta ma l’apprezzamento espresso dal giudice a quo allorchè ha affermato, da una parte, la assoluta genericità della scrittura 30 ottobre 1971 e la sua inadeguatezza a giustificare il diritto alle indennità di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 17, nonchè lo iato insanabile tra detta dichiarazione (che fa riferimento esclusivamente a non meglio precisate piantagioni di essenze fruttifere) e i miglioramenti asseritamente posti in essere dall’affittuario (impianto autonomo di irrigazione, efficiente rete stradale interna, agrumeto di varietà pregiate, coltura intensiva di alberi da frutta) dall’altra, la assoluta irrilevanza al fine del decidere della dichiarazione 16 dicembre 1997, perchè successiva alla esecuzione degli interventi non espressamente autorizzati dal concedente posti in essere dal conduttore, sì che è palese, anche sotto tesale profilo, la inammissibilità dei vari motivi in esame.

10.3. Al riguardo, comunque – oltre ai profili di inammissibilità evidenziati sopra – preme sottolinearne uno ulteriore).

Giusta quanto assolutamente pacifico, alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice e da cui totalmente prescinde la difesa della parte ricorrente l’accertamento e la valutazione delle circostanze di fatto, come l’interpretazione degli atti negoziali, sono riservati al giudice di merito e censurabili in sede di legittimità solo per vizi di motivazione e per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (Cass. 13 novembre 2007, n. 23569).

In particolare, la interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione.

Pertanto onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 30 aprile 2010, n. 10554; Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536).

Pacifico quanto precede si osserva che nella specie il ricorrente censura la interpretazione data dai giudici a quibus alle scritture del 1971 e del 1997 ma -pur invocando – del tutto genericamente, la violazione del precetto di cui all’art. 1362 cod. civ. – si limita a opporre, alla lettura dei detti documenti fatta dai giudici a quibus la propria soggettiva interpretazione di quegli stessi documenti, totalmente prescindendo dall’insegnamento giurisprudenziale – assolutamente consolidato – secondo cui l’interpretazione della volontà delle parti, in relazione al contenuto di un contratto o di una qualsiasi clausola negoziale, importa indagini e valutazioni di fatto che appartengono al potere discrezionale del giudice del merito: rientra, altresì, in tale potere dovere l’accertamento relativo alla chiarezza del contenuto delle clausole e, in definitiva, della necessità di procedere all’uso di strumenti interpretativi sussidiari. Per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni. Ne deriva, pertanto, che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (cfr., ad esempio, Cass. 14 novembre 2003, n. 17248).

10.4. Con riguardo, ancora, ai motivi 8, 9 e 10, deve evidenziarsi che gli stessi devono essere dichiarati inammissibili – oltre che alle luce delle considerazioni svolte sopra – anche sotto un ulteriore profilo.

Gli stessi infatti (prima ancora che manifestamente infondati, poichè in contrasto con il pacifico insegnamento di questa Corte regolatrice, quanto alla assoluta irrilevanza, in sede giudiziaria, al fine del decidere dicichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà Cass. 28 aprile 2010, n. 10191; Cass. 19 marzo 2010, n. 6755; Cass. 11 luglio 2007, n. 15486 specie allorchè provengano da una delle parti o dal dante di causa di questa) prescindono totalmente dalla ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata.

Quest’ultima – infatti – ha ritenuto irrilevante quanto emerge dalla scrittura 16 dicembre 1997 non perchè – come invoca in sede di ricorso per cassazione l’odierno ricorrente – semplice dichiarazione sostitutiva di un atto di notorietà, o perchè proveniente da soggetto dichiarato fallito, ma perchè successiva alla realizzazione dei contestati miglioramenti e, pertanto, inidonea a rendere gli stessi legittimi sotto il profilo della nascita del diritto di credito dell’affittuario alla corrispondente indennità.

10.5. Anche a prescindere da quanto precede – comunque – per completezza di esposizione, si osserva che la pronunzia del giudice di merito ora oggetto di ricorso non merita alcuna censura perchè conforme a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, per superare la quale non paiono in alcun modo pertinenti le affermazioni di parte ricorrente.

Alla luce, delle considerazioni che seguono.

10.4.1. In materia di contratti agrari, il diritto all’indennità riconosciuto all’affittuario ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 17, presuppone il preventivo consenso del concedente (o, in difetto, la autorizzazione dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura), il quale deve sostanziarsi in una manifestazione di volontà autorizzativa che specifichi la natura, le caratteristiche e le finalità degli interventi migliorativi, non risultando, perciò, sufficiente – ai fini della configurazione di tale requisito – un’autorizzazione meramente generica per tipi e/o categorie di opere (cfr., ad esempio, tra le tantissime, Cass. 2 marzo 2006, n. 4646, nonchè Cass. 11 febbraio 2008, n. 3261).

Prevedendo la scrittura invocata dal ricorrente unicamente l’obbligo per il conduttore di mettere a coltura il fondo anche con non meglio precisate piantagioni di essenze fruttifere è palese che l’interpretazione data dai giudici a quibus della detta scrittura è conforme alla giurisprudenza di questa Corte e non merita alcuna censura.

10.4.2. In materia di indennizzo per i miglioramenti apportati al fondo dal conduttore, il consenso del concedente alla esecuzione dei miglioramenti, che può essere anche tacito, deve in ogni caso precedere, quale indispensabile condizione legittimatrice di tipo autorizzativo, e non seguire la esecuzione delle opere, non potendo un assenso successivo far venir meno ex tunc l’illiceità della condotta del concessionario o del mezzadro, dovuta al difetto della condizione legittimante, ma, eventualmente, solo precludere conseguenze pregiudizievoli al coltivatore, come la risoluzione per inadempimento (Cass. 5 settembre 2005, n. 17772. Non diversamente, nel senso che le opere di miglioramento sono legittime conferiscono al conduttore il diritto alla indennità solo se la loro esecuzione sia avvenuta con il preventivo consenso del proprietario concedente, Cass. 13 aprile 2007, n. 8834; Cass. 26 febbraio 2008, n. 5026, che sottolinea come sia irrilevante lo stato del terreno al momento della conclusione del contratto; Cass. 31 marzo 2010, n. 7801).

Pacifico quanto precede è palese che del tutto correttamente i giudici a quibus hanno rigettato la domanda dell’odierno ricorrente, totalmente prescindendo da eventuali riconoscimenti della esistenza di opere di miglioramento da parte del concedente, successivi alla loro esecuzione.

11. Risultati tutti i motivi in cui si articola il ricorso ora inammissibili, ora manifestamente infondati il proposto ricorso – in conclusione – deve essere rigettato.

Nessun provvedimento deve adottarsi, in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, non avendo la intimata svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La rigetta il ricorso;

nulla sulle spese di lite di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 8 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2011

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