Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19788 del 25/07/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 19788 Anno 2018
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: MANZON ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso 12281-2017 proposto da:
CURRO’ CARMELO LATERIZI DI GST SRI„ in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONINO DOMENICO
GULLO;

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (Ct. 06363391001), in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 25/07/2018

avverso la sentenza n. 865/27/2016 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di PALER1\ ,10 SEZIONE
DISTACCATA di MESSINA, depositata il 07/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 21/06/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO

Rilevato che:
Con sentenza in data 25 novembre 2015 la Commissione tributaria
regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania, accoglieva l’appello
proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza
n. 561/10/07 della Commissione tributaria provinciale di Messina che
aveva accolto il ricorso della Currò Carmelo Laterizi di G.S.T. srl
contro l’avviso di accertamento IVA 2006. La CTR osservava in
particolare che le prove indiziarie in atti, sì come valutate anche nella
parallela sede penale, inducevano ad un giudizio di fondatezza della
pretese creditoria erariale in quanto basata sull’insussistenza del credito
IVA oggetto della lite, perchè afferente a fatture per operazioni
inesistenti.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società
contribuente deducendo un motivo unico.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
Con l’unico motivo dedotto la ricorrente si duole della violazione/falsa
applicazione degli artt. 2697, cod. civ., 2, d.lgs. 74/2000, 21, 45, d.P.R.
633/1972, poiché la Commissione tributaria regionale, violando la
prima disposizione codificante il generale principio dell’onere della
prova, ha rilevato l’inesistenza delle operazione di cui alle fatture in
contestazione nella totale assenza di adeguate prove indiziarie da parte
dell’onerato Ente impositore.
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MANZON e disposta la motivazione semplificata.

La censura è inammissibile.
Anzitutto va ribadito che «Il ricorso per cassazione – per il principio di
autosufficienza – deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a
costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di
merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali

stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso
giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne
specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è
avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il
ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che
sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso
con specificazione della parte del documento cui corrisponde
l’indiretta riproduzione» (Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015,
Rv. 636120- 01).
L’unico mezzo dedotto difetta all’evidenza di tali requisiti formali che
ne condizionano appunto l’ammissibilità, non essendo nemmeno
chiariti i fatti concreti oggetto del giudizio di merito, in totale assenza
di ogni preciso riferimento al riguardo.
Ciò pregiudizialmente inibisce a questa Corte ogni possibile
“informata” valutazione circa il dedotto vizio di violazione di legge.
Peraltro, proprio a causa della sua a-specificità, la censura si pone in
altrettanto evidente contrasto con gli ulteriori principi che «Il giudizio
di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla
pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco
tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice
del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e
logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare
autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non
Ric. 2017 n. 12281 sez. MT – ud. 21-06-2018
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ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo

può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze
processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la
propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli
accertamenti di fatto compiuti» (Sez. 5, Sentenza n. 25332 del
28/11/2014, Rv. 633335 – 01); che «In tema di ricorso per cassazione,

parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da
una norma di legge implicando necessariamente un problema
interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea
ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa,
inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é
possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex
multis Sez. 5, n. 26110 del 2015); che «Con la proposizione del ricorso
per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione,
contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici
del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed
in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è
sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di
quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il
merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico
formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal
giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio
convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne
attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie,
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Sez. 6 – 5,
Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 — 01).
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in
dispositivo.
Ric. 2017 n. 12281 sez. MT – ud. 21-06-2018
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il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da

PQN1
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro
7.800 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto

ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso
articolo 13.
Così deciso in Roma, 21 giugno 2918
Il

sidente
e Cirillo

della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della

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