Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19784 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19784 Anno 2013
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

PU

SENTENZA

sul ricorso 6617-2010 proposto da:
BONZANO

ROBERTA

BNZRRT78E48L750P,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso
lo studio dell’avvocato TAMPONI MICHELE, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
GARBAGNATI LUIGI giusta delega in atti;
a

– ricorrente –

2013

contro

1312

RENDITORE

PAOLO

RNDPLA61B21L750V,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA L. ANDRONICO 24, presso lo
studio

dell’avvocato

ROMAGNOLI

1

ILARIA,

che

lo

Data pubblicazione: 28/08/2013

rappresenta e difende unitamente all’avvocato POLLINI
FRANCESCO giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1595/2009 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 26/11/2009, R.G.N. 2291/2005;

udienza del 11/06/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato MICHELE TAMPONI;
udito l’Avvocato FRANCESCO POLLINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Paolo Renditore e Bruno Persico convenivano in giudizio
Roberta Bonzano, con separati atti di citazione, davanti al
Tribunale di Vercelli, per sentire riconoscere il loro diritto
di prelazione, o in subordine di riscatto agrario, in

in Asigliano Vercellese.
La convenuta si costituiva, chiedendo il rigetto della
domanda.
Il Tribunale di Vercelli, assunte prove orali e fatta
svolgere una c.t.u., con sentenza del 7 giugno 2005 accertava
l’esistenza del diritto di prelazione spettante agli attori e
dichiarava il diritto degli stessi a riscattare dalla Bonzano
gli appezzamenti di terreno confinanti con le loro rispettive
proprietà, con obbligo di pagamento del relativo prezzo
determinato in euro 305.829,75 per il Renditore ed euro
72.376,50 per il Persico, condannando la Bonzano al pagamento
delle spese di giudizio.
2.

La pronuncia veniva impugnata dalla Bonzano in via

principale e dal Renditore e dal Persico in via incidentale.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 19 novembre
2007, in parziale riforma di quella di primo grado, dichiarava
che la Bonzano era tenuta al pagamento del solo 50 per cento
delle spese del giudizio di primo grado; confermava per il
resto la sentenza quanto al Persico e, non definitivamente
pronunciando sulla posizione del Renditore, rimetteva la causa
3

relazione al fondo agricolo denominato Cascina Cassinis sito

in istruttoria per l’accertamento dell’esistenza delle
condizioni soggettive per l’esercizio del riscatto,
respingendo ogni altra impugnazione.
Con successiva sentenza del 26 novembre 2009 la medesima
Corte d’appello, definitivamente pronunciando nei rapporti tra

Tribunale di Vercelli in ordine al riscatto e, in parziale
accoglimento dell’appello, dichiarava compensate le spese del
giudizio di primo grado nella misura del 50 per cento, ponendo
quelle di secondo grado a carico della Bonzano nella medesima
misura.
Osservava la Corte territoriale che, alla luce della
precedente sentenza non definitiva, l’unico punto rimasto in
discussione riguardava la sussistenza dei requisiti, in capo
al Renditore, per essere considerato coltivatore diretto e per
poter esercitare il riscatto. Richiamando la definizione di
coltivatore diretto di cui all’art. 31 della legge 26 maggio
1965, n. 590, la Corte torinese rilevava, anche alla luce
dell’espletata c.t.u., che il Renditore e la sua famiglia
erano in grado di fornire un totale complessivo di 4.200 ore
lavorative annuali, mentre il complesso delle ore necessarie
per svolgere le attività di coltura del riso nei terreni in
questione era pari a 7.550 ore; ne conseguiva che il requisito
di legge era sussistente. D’altra parte, non poteva che farsi
riferimento ad una situazione media e globale, fermo restando

4

Roberta Bonzano e Paolo Renditore, confermava la sentenza del

che la coltura del riso è soggetta a determinati picchi
stagionali.
Quanto, poi, all’effettiva sussistenza della qualità di
coltivatore diretto dell’appellato, la Corte rilevava che essa
era stata dimostrata sulla base di numerose e concordanti

3. Avverso la sentenza definitiva della Corte d’appello di
Torino propone ricorso Roberta Bonzano, con atto affidato a
cinque motivi.
Resiste Paolo Renditore con controricorso.
La ricorrente ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si
lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod.
proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 31
della legge n. 590 del 1965, nonché dell’art. 7 della legge 14
agosto 1971, n. 817.
Rileva la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe errato
nel ritenere sussistenti le condizioni di legge per
l’esercizio del riscatto. La sentenza impugnata, infatti, nel
calcolare il requisito della forza lavorativa di cui all’art.
31 cit., ha utilizzato il criterio del fabbisogno medio annuo,
non tenendo nella giusta considerazione il fatto che la
coltura del riso richiede un grande sforzo lavorativo nei
periodi della primavera e dell’autunno; doveva essere
verificato, perciò, se la forza lavoro del Renditore e della
5

prove testimoniali.

sua famiglia fossero in grado di fronteggiare le necessità del
lavoro anche nei periodi più impegnativi, cosa che la sentenza
non avrebbe fatto.
1.2. I motivi, che vanno trattati congiuntamente, sono
entrambi privi di fondamento.

secondo cui l’accertamento della sussistenza dei requisiti per
essere considerato coltivatore diretto costituisce oggetto di
un’indagine devoluta al giudice di merito, non sindacabile in
sede di legittimità in caso di adeguata motivazione (sentenze
9 febbraio 1982, n. 758, e 22 febbraio 1988, n. 1840).
Nel caso specifico la Corte d’appello, riportandosi alle
conclusioni del c.t.u. e facendole proprie in quanto ritenute
correttamente argomentate, è pervenuta alla conclusione che il
Renditore, unitamente alla sua famiglia, era in grado di
fornire una forza lavoro pari al 55,63 per cento di quella
necessaria per la coltivazione dei terreni di sua proprietà
unitamente a quelli oggetto del riscatto agrario per cui è
causa. Tale percentuale, di per sé ben superiore a quella
richiesta dall’art. 31 della legge n. 590 del 1965, è stata
valutata tenendo conto della particolarità dei terreni in
questione, utilizzati per la coltura del riso; la Corte
d’appello, cioè, non ha trascurato il fatto che simile coltura
ha dei “picchi” stagionali, aggiungendo che anche le fasi di
minore intensità fanno comunque parte del ciclo lavorativo
annuale assunto nella sua globalità. D’altra parte la stessa
6

Costituisce principio già affermato da questa Corte quello

nozione

fornita dalla

coltivazione del fondo)

legge

(normale necessità

della

si richiama, come correttamente inteso

. dal giudice di merito, ad una globalità media che bilancia i
periodi più impegnativi con quelli meno impegnativi, in
rapporto alle varie stagioni ed al tipo di attività in

Ne consegue che le censure contenute nei primi due motivi
di ricorso sono infondate.
2.1. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 31 della legge
n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971,
sotto

diverso

profilo,

nonché

conseguente

omessa

insufficiente motivazione su di un punto decisivo della
controversia.
Osserva la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe
errato nel ritenere non rilevante la mancata giustificazione,
da parte del c.t.u., sul come si sarebbero raggiunte le 2.524
ore mancanti e necessarie per la conduzione del fondo.
2.2. Il motivo non è fondato.
.

La Corte d’appello non è incorsa in alcuna violazione di
legge sul punto contestato; essa, infatti, dopo aver accertato
che il Renditore e la sua famiglia erano in grado di fornire
4.200 ore lavorative delle 7.550 necessarie, ha giustamente
osservato che non aveva alcuna importanza stabilire come
venissero raggiunte le ore mancanti, poiché la legge impone

7

questione.

soltanto

l’accertamento

della

capacità

lavorativa

del

coltivatore diretto associata a quella della propria famiglia,
dando per pacifico che sia normale il ricorso ad un contributo
esterno per il conseguimento della forza lavoro mancante.
Né può parlarsi – come sostiene la ricorrente – di una

perché la Corte di merito ha dato conto delle ragioni per le
quali ha ritenuto l’irrilevanza delle modalità di
raggiungimento

delle

ore

necessarie

al

completamento

dell’intero fabbisogno.
3.

Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in

relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 31 della legge
n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971,
nonché errata valutazione delle risultanze probatorie, con
conseguente omessa o insufficiente motivazione su di un punto
decisivo della controversia.
Secondo la ricorrente,

la Corte avrebbe valutato

erroneamente le deposizioni testimoniali,

in tal modo

pervenendo alla conclusione della sussistenza dei requisiti di
legge per l’esercizio del riscatto agrario.
4.

Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in

relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ.,
omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo
della controversia.

8

motivazione «così sintetica da risultare insufficiente»,

Rileva la Bonzano che le norme in tema di riscatto esigono
che il retraente eserciti l’attività di coltivazione da almeno
due anni dei terreni agricoli confinanti di sua proprietà.
Nella specie, invece, il c.t.u. ha affermato di ritenere
plausibile che il Renditore avesse affidato a terzi, in

proprietà; la Corte d’appello, con motivazione insufficiente,
si è limitata ad osservare che tale ipotesi era un’illazione
del c.t.u., mentre avrebbe dovuto pronunciarsi direttamente
sulla questione.
5. Il quarto ed il quinto motivo, che possono essere
esaminati congiuntamente, sono entrambi privi di fondamento.
La Corte torinese, infatti, ha compiuto una valutazione
complessiva delle prove raccolte ed è pervenuta alla
conclusione che le considerazioni rese dal c.t.u. – secondo
cui era plausibile che il Renditore avesse affidato ad altri
la coltivazione dei terreni di sua proprietà – rimanevano una
«mera illazione», in quanto le prove testimoniali assunte,
provenienti anche da persone estranee alla famiglia del
Renditore, rendevano credibile l’affermazione contraria, nel
senso che era proprio il Renditore a svolgere l’attività di
coltivatore diretto necessaria per poter esercitare il
riscatto.
Trattasi di accertamento di merito congruamente motivato
e, come tale, non suscettibile di un nuovo esame nella
presente sede di legittimità; d’altra parte, questi motivi
9

(

conduzione, il compito di coltivare il terreno di sua

tendono in modo evidente ad ottenere una nuova e non
consentita valutazione delle prove esistenti.
6. In conclusione, il ricorso è rigettato.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate

ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a
disciplinare i compensi professionali.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte

rigetta

il ricorso e

condanna

la ricorrente al

pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
complessivi euro 8.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, 1’11 giugno 2013.

in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto

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