Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19783 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. II, 27/09/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 27/09/2011), n.19783

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19367/2009 proposto da:

T.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliata m

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato BELTRAME Alessandro giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI GORIZIA, in persona del Prefetto pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 450/2009 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata

il 08/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

e presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI che ha

concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

T.L. veniva raggiunta nel 2007 da ordinanza ingiunzione del prefetto di Gorizia per violazione della legge assegni.

Il giudice di pace di Monfalcone respingeva l’opposizione. L’appello veniva rigettato dal tribunale di Trieste il 9 aprile 2009 e la sentenza notificata l’11 maggio.

Il giudice d’appello affermava che competente ad emettere l’ingiunzione era il prefetto del luogo di pagamento del titolo, individuato in Grado, sede della filiale bancaria sulla quale erano tratti gli assegni.

Negava che si fosse verificata la prescrizione della pretesa.

Il 10 luglio l’opponente ha proposto ricorso per cassazione, svolgendo tre motivi.

L’avvocatura erariale ha resistito con controricorso, eccependo tra l’altro la inammissibilità del ricorso ex art. 366 bis c.p.c..

Il Collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Il ricorso verte sui seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione della L. n. 386 del 1990, art. 2;

si conclude con il seguente quesito: “se il luogo di pagamento dell’assegno vada individuato nella località indicata per prima accanto al nome della banca trattarla”.

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost.; si conclude con il seguente quesito: “Se debba proclamarsi la nullità di una ordinanza-ingiunzione assunta in violazione del principio della ragionevole durata del processo anche nel caso in cui l’eccessivo prolungarsi del medesimo comporti conseguenze astrattamente più favorevoli all’incolpato”? c) violazione dell’art. 97 Cost., e del principio di ragionevolezza dell’azione della pubblica amministrazione, motivo che si conclude con il seguente quesito: “Se debba proclamarsi la nullità di una ordinanza-ingiunzione assunta dopo tredici anni dalla commissione dell’illecito amministrativo e otto anni dall’entrata in vigore della disposizione che avrebbe consentito alla p.a. di sanzionarlo in sede amministrativa”.

I quesiti sono palesemente inammissibili e ciò comporta l’inammissibilità del ricorso.

Invero, affinchè1 il quesito di diritto, di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., abbia i requisiti idonei ai fini dell’ammissibilità’ del ricorso per cassazione, è necessario, con riferimento al ricorso per violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, che siano enunciati gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, richiamando le relative argomentazioni (Cass. SU 3519/08).

Pertanto deve essere dichiarato inammissibile il ricorso nel quale il quesito di diritto si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, poichè la citata disposizione è finalizzata a porre il giudice della legittimità in condizione di comprendere – in base alla sola sua lettura – l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una “regula iuris” (SU 2658/08) da applicare nel caso concreto (Cass 9477/09; SU 7433/09).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. 19769/08). Deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (SU 26020/08) .

Inoltre il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 3), deve essere dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. 22499/06).

Con tutta evidenza i quesiti esposti non soddisfano questi requisiti, poichè:

a) non esplicitano le censure nei termini richiesti (il primo quesito, che è mero interpello);

b) non manifestano alcun riferimento al caso concreto (il secondo quesito, che non è ancorato alle peculiarità della vicenda, le quali renderebbero asseritamente sussistente la violazione denunciata);

c) sono formulati apoditticamente: il terzo motivo, che non si misura con la dominante giurisprudenza di segno contrario (cfr. Cass. 19529/03; 4946/93), con conseguente astrattezza del quesito. Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 1.000,00 per onorari, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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