Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19782 del 09/08/2017
Cassazione civile, sez. lav., 09/08/2017, (ud. 29/03/2017, dep.09/08/2017), n. 19782
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26412-2011 proposto da:
ALL SERVICE SOCIETA’ COOPERATIVA A R.L. C.F. (OMISSIS), in persona
del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA
CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato GIULIANO MANNA, giusta delega
in atti;
– ricorrente –
contro
I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI
INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati RAFFAELA FABBI,
LORELLA FRASCONA’, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 579/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,
depositata il 09/05/2011 R.G.N. 1333/2008.
Fatto
RILEVATO
che la Corte d’appello di Firenze, accogliendo l’impugnazione dell’Inail avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Prato – che aveva annullato la cartella esattoriale emessa nei confronti della società “All Service soc. coop. a r.l.” per il mancato pagamento dell’importo di Euro 36.131,62 a titolo di premi, contributi e somme aggiuntive – ha riformato la gravata decisione ed ha rigettato l’opposizione svolta dalla società, dopo aver accertato che l’istituto assicuratore aveva fornito la prova del credito contributivo vantato in giudizio; che per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la predetta società con due motivi;
che l’Inail ha resistito con controricorso, depositando anche memoria.
Diritto
CONSIDERATO
che col primo motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ., l’insussistenza dei rapporti di lavoro subordinato riconosciuti, invece, esistenti dell’Inail e l’insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, assumendo che l’istituto assicuratore non aveva fornito la prova dell’esistenza dei rapporti di lavoro subordinato posti a base della pretesa di pagamento per premi, contributi e somme aggiuntive di cui all’opposta cartella esattoriale in relazione al periodo 1997-2001;
che l’Inail non aveva nemmeno depositato i documenti dai quali gli ispettori avevano desunto la circostanza della mancata regolarizzazione di 159 lavoratori non bene identificati, nemmeno con riferimento ai periodi lavorativi ed ai compensi erogati, e che il verbale di accertamento conteneva solo delle personali valutazioni e deduzioni degli ispettori che l’avevano redatto;
che la prova testimoniale aveva, invece, consentito di appurare che numerosi lavoratori erano assicurati regolarmente;
che col secondo motivo la ricorrente denunzia, in subordine, la violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, l’intervenuta prescrizione quinquennale della contribuzione per il periodo antecedente al mese di ottobre del 1999 ed il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo che il verbale di accertamento non conteneva alcuna richiesta, neppure generica, di pagamento dei contributi e che nessuna prova era stata fornita dall’Inail in merito alla corretta spedizione ed al ricevimento, da parte della società, della comunicazione di variazione del 29.3.2002, alla quale i giudici di merito avevano riconosciuto efficacia interruttiva della prescrizione;
che il primo motivo, seppur prospettato come vizio di violazione di legge, contiene, in realtà, censure attraverso le quali la ricorrente tenta una rivisitazione del merito istruttorio che, al contrario, è stato adeguatamente scrutinato dalla Corte territoriale con motivazione congrua ed immune da rilievi di ordine logico-giuridico, per cui non è dato riscontare alcuna devianza dalla norma codicistica che secondo la prospettazione di parte ricorrente sarebbe stata violata;
che, infatti, la Corte ha posto in evidenza che l’elenco dei 159 lavoratori “al nero”, i periodi di riferimento e gli importi delle ore lavorate (Lire 10.000 quelle ordinarie, Lire 15.000 quelle straordinarie) erano stati ricavati dagli ispettori da files estrapolati dal sistema informatico della All Service e sottoposti ad una serie di riscontri incrociati coi fogli delle presenze del personale e con le diverse aziende utilizzatrici attraverso l’esame degli allegati alle fatture emesse dalla società ricorrente, riscontrandone la corrispondenza coi nominativi del lavoratori che avevano operato presso le stesse nei settori del facchinaggio e del magazzinaggio, oltre che coi relativi periodi di svolgimento di quelle attività;
che il primo giudice aveva dato atto delle dichiarazioni rese in sede ispettiva da numerosi lavoratori i quali avevano riferito di aver lavorato per periodi più o meno lunghi (da alcuni giorni a due-tre mesi) prima della formalizzazione dei rispettivi rapporti, percependo un compenso orario di Lire 10.000;
che i medesimi osservavano l’orario di lavoro di otto ore, che il loro lavoro era registrato e controllato dai responsabili della cooperativa, che non disponevano di attrezzature di sorta e che erano soggetti alle direttive dei responsabili della cooperativa;
che l’escussione dei testi aveva consentito alla Corte di appurare che il modello organizzativo adottato dalla società ricorrente era caratterizzato dal fatto che al personale utilizzato prima della sua assunzione – in genere quale socio della cooperativa – veniva fatto eseguire un periodo di prova non assicurato, al cui esito positivo il rapporto stesso veniva formalizzato;
che dagli elementi processuali analizzati nel loro complesso emergeva che i 159 soggetti nominativamente individuati, destinatari dell’accertamento ispettivo, avevano lavorato, nei periodi per ciascuno di essi precisati, in qualità di facchini secondo le direttive organizzative ed operative dei responsabili della cooperativa, cioè in lavori connotati da semplicità e ripetitività per i quali era davvero problematico configurare spazi di autonomia;
che anche il secondo motivo è infondato, atteso che la Corte di merito ha ben evidenziato che la ricezione della lettera raccomandata del 29.3.2002, contenente il certificato di variazione con la richiesta di pagamento dei maggiori importi da effettuarsi entro il 16.5.2002, avente efficacia interruttiva della prescrizione, non fu contestata dall’opponente, la quale si limitò a segnalare la diversa data del 3.11.2005 apposta in calce alla stessa, ma che tale circostanza si spiegava col fatto che si trattava solo della data di ristampa del documento attraverso il sistema informatico, operazione, questa, eseguita in vista della costituzione nel giudizio di primo grado che si ebbe nel mese di dicembre del 2005;
che, pertanto, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nella misura di Euro 4200,00, di cui Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 29 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017