Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19781 del 19/09/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 19781 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 14042-2012 proposto da:
SICILCASSA

S.P.A.

AMMINISTRATIVA C.F.

IN

LIQUIDAZIONE

03989900828,

COATTA

in persona dei

Commissari Liquidatori pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
2014

difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

1952
contro

ZITO

ELISABETTA

C.F.

ZTILBT24P69B275A,

gli

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GORIZIA N.22,

Data pubblicazione: 19/09/2014

presso lo studio dell’avvocato CRISTIANO TOSCHI,
rappresentata e difesa da,ll’avvocato ACHILLE
GATTUCCIO, giusta delega in atti e da ultimo
domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE;

avverso la sentenza n. 377/2012 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 14/03/2012 R.G.N. 1090/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/06/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito l’Avvocato BOER PAOLO per delega PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato ACHILLE GATTUCCIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO ; che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

– controricorrente –

Udienza del 4 giugno 2014— Aula A
n. 17 del ruolo — RG n. 14042/12

1.— La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di SICILCASSA s.p.a., in
liquidazione coatta amministrativa (d’ora in poi: LAC), avverso la sentenza del Tribunale di
Palermo, con la quale è stato ammesso, in linea privilegiata, al passivo della LAC della
SICILCASSA il credito vantato da Elisabetta Zito, dipendente dalla Cassa in pensione dal
27.6.1976, a titolo di rideterminazione delle prestazioni del Fondo Integrativo Pensioni (d’ora in
poi: FIP) in applicazione dell’art. 5, lettera b); del regolamento del FIP (dell’8 giugno 1992), per il
periodo 1 ottobre 1995-settembre 1997.
La Corte d’appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:
a) diversamente da quanto sostiene SICILCASSA gli artt. 9 e ss. del d.lgs. 30 dicembre 1992,
n. 503 non trovano applicazione in riferimento a forme di previdenza integrativa basate su un
sistema a ripartizione (nel senso che la misura della prestazione erogata non è calcolata in rapporto
con l’insieme dei contributi versati nel tempo dal singolo lavoratore o per suo conto), non essendo
nelle stesse configurabili posizioni individuali soggette a capitalizzazione, come accade nel caso del
FIP in oggetto, alimentato da versamenti annuali a carico della Banca e anche da un ulteriore
versamento a carico degli iscritti in attività di servizio;
b) del resto, in precedenti giudizi, SICILCASSA ha sostenuto che la cessazione del FIP è
avvenuta il 31 ottobre 1996, sicché le prestazioni del Fondo sono state mantenute per il personale
iscritto e collocato in pensione entro quella data;
c) quanto agli effetti della “disdetta” in data 1 luglio 1996 dell’accordo collettivo aziendale
istitutivo del FIP, operata da SICILCASSA in amministrazione controllata, dalla giurisprudenza di
legittimità si desume che, pur essendo ammissibile un simile recesso, tuttavia esso trova un ostacolo
insuperabile nei diritti quesiti degli iscritti al Fondo che non abbiano maturato i requisiti per il
conseguimento del trattamento pensionistico e deve rispettare sia la garanzia normativa costituita
dall’art. 2117 cod. civ., sia il principio di ragionevolezza;
d) pertanto tale disdetta e il successivo accordo sindacale del 30 settembre 1996 non potevano
incidere sul diritto all’erogazione del trattamento pensionistico previsto dall’art. 5 lettera b) del
regolamento del FIP, già maturato dal lavoratore.
2.— Il ricorso di SICILCASSA s.p.a., in LAC, illustrato da memoria, domanda la cassazione
della sentenza per tre motivi; resiste la Zito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I — Sintesi dei motivi di ricorso
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.— Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Con il primo motivo si allega la violazione degli artt. 99 e 112 .cp.c. Il credito 49n era stato
ritenuto prescritto in quanto la domanda è stata ritenuta risarcitoria, ma la Corte di appello non ha
fornito alcuna giustificazione sul punto.

Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli
artt. 9 e 11 del d.lgs. n. 503 del 1992 e dell’art. 3, comma 19, della legge n. 335 del 1995. Errata
applicazione del principio di salvezza del diritto quesito alla materia della perequazione automatica.
Si sottolinea che, a partire dal 10 gennaio 1994, dopo la trasformazione dei fondi pensionistici
esonerativi in fondi integrativi, al personale iscritto agli ex fondi esonerativi (art. 9 del d.lgs. n. 503
del 1992) è stata estesa l’applicazione della disciplina generale in materia di formazione della
retribuzione pensionabile (di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 503 cit.) e, di conseguenza, anche per i
dipendenti degli enti pubblici creditizi (di cui al d.lgs. 20 novembre 1990 n. 357) iscritti ai rispettivi
FIP — quale l’attuale intimata — la retribuzione pensionabile non ha più coinciso con la retribuzione
raggiunta nell’ultimo giorno di servizio attivo ma è stata determinata facendo riferimento alla media
delle retribuzioni di un periodo di lavoro più ampio pari a cinque anni per la quota A della pensione
e a dieci anni per la quota B della pensione.
Ciò ha portato, a decorrere dalla data suindicata, alla sostanziale inoperatività del meccanismo
della c.d. clausola oro di cui all’art. 5 del regolamento del FIP — a prescindere dalla sua abrogazione
espressa disposta, in via generale, dall’art. 59 della legge n. 449 del 1997 — essendo venuta meno,
per effetto degli artt. 3, commi 1 e 2, 7, 9 e 11 del d.lgs. n. 503 del 1992, la nozione di “retribuzione
pensionabile istantanea virtuale del pari grado in servizio” essenziale per l’applicabilità del
meccanismo stesso.
A conclusione del complesso percorso normativo tendente ad unificare il regime delle
perequazioni dei pensionati iscritti ai fondi prima esclusivi o esonerativi delle Banche privatizzate si
colloca la norma interpretativa di cui all’art. 1, comma 55, della legge 23 agosto 2004, n. 243.
Tale disposizione ha superato il vaglio di legittimità costituzionale (vedi Corte cost. n. 362 del
2008) e, conseguentemente, è stato chiarito che deve essere esclusa, in applicazione della predetta
norma, la limitata e predeterminata sopravvivenza (fino al 26 luglio 1996) della perequazione
automatica più favorevole prima prevista, secondo regole peculiari, per i dipendenti dei suindicati
istituti bancari.
Ne consegue che, nella specie, la Corte palermitana non si è adeguata ai suddetti principi
ritenendo ancora vigente la clausola oro non soltanto per il 1995, ma anche per il 1996 e il 1997
(quando, oltretutto, era intervenuta la disdetta dell’accordo FIP inclusa in calce all’art. 4
dell’accordo sindacale del 30 settembre 1996) senza considerare che, invece, tale clausola era non
operante dall’ 1 gennaio 1994, per incompatibilità con il nuovo sistema di determinazione della
retribuzione pensionabile.

2

Con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 2948 n. 4 c.c. in quanto il credito era
prescritto.

A

Con il quarto motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
contraddittorietà della motivazione nella individuazione e nella determinazione della retribuzione
pensionabile; b) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., errata applicazione del principio di
salvezza del diritto quesito alla materia della perequazione automatica.

Si sostiene l’erroneità di tale affermazione: a) in fatto, in quanto con la disdetta per i
pensionati non veniva meno il trattamento FIP ma solo l’applicazione dell’art. 5 del regolamento
FIP (clausola oro); b) in diritto, in quanto il presunto diritto quesito della attuale intimata collegato
alla data di pensionamento (1975), che ha portato la Corte territoriale al riconoscimento della
clausola oro anche per il triennio 1995-1997, è stato espressamente escluso dal comma 55 dell’art. 1
della legge n. 243 del 2004, scrutinato positivamente dalla Corte costituzionale, nella citata sentenza
n. 362 del 2008.

III – Esame delle censure
wiakt•2. motivi di ricorso lyzifzergiep – da esaminare congiuntamente data la loro intima
connessione e che appaiono pregiudiziali in quanto tendono ad escludere la sussistenza del credito
vantato ( questione che è preliminare a quella circa la prescrizione del credito)- sono da accogliere,
nei limiti e per le ragioni di seguito esposti.
3.- Per una migliore comprensione delle questioni da esaminare va, in primo luogo, precisato
che il diritto fatto valere in giudizio si fonda sulla particolare disciplina che, in passato, era stata
dettata per regolare i trattamenti di pensione elargiti ai dipendenti di istituti di credito di diritto
pubblico poi privatizzati, riguardo ai quali vigevano regimi diversi da quello proprio
dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori
dipendenti (d’ora in poi: AGO), che per questa ragione venivano denominati esclusivi o esonerativi
e che si caratterizzavano per la presenza di clausole di perequazione automatica volte ad adeguare le
pensioni all’andamento dei salari dei colleghi in servizio presso gli istituti di provenienza.
In particolare, all’epoca, per i dipendenti del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia erano
previste forme di previdenza esclusive, risalenti alla disposizione di cui all’art. 11, allegato T,
all’art. 39 della legge 8 agosto 1895 n. 486, in forza della quale il trattamento pensionistico veniva
erogato agli interessati direttamente dagli enti datori di lavoro, mentre agli altri istituti bancari di
diritto pubblico – tra i quali rientrava la Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele per le provincie
siciliane (SICILCASSA) – si applicavano regimi esonerativi, contemplati dalla legge 20 febbraio
1958 n. 55, in base ai quali il trattamento veniva elargito da Casse o Fondi di previdenza
appositamente creati dai datori di lavoro e sottoposti alla vigilanza del Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale, il cui statuto era approvato con decreto del Presidente della Repubblica e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Tale regime riguardava, oltre che SICILCASSA (d.P.R. 9
novembre 1972, n. 1136, approvazione del nuovo statuto del Fondo pensioni per il personale della
Cassa centrale di risparmio “Vittorio Emanuele” per le province siciliane), anche la Cassa di
3

Si contesta la statuizione della Corte palermitana secondo cui il diritto di recesso unilaterale di
SICILCASSA dall’accordo istitutivo del FIP nella specie avrebbe trovato “un ostacolo insuperabile
nei diritti quesiti dei lavoratori”.

Sia i pensionati appartenenti ai regimi esclusivi sia quelli appartenenti ai regimi esonerativi
usufruivano del suddetto meccanismo — che veniva identificato, nel linguaggio politico-sindacale
del settore, con le espressioni “aggancio al pari grado in servizio” oppure “clausola-oro” — in base
al quale era stabilita l’estensione ai pensionati dei miglioramenti contrattuali dei lavoratori in
servizio, sia pure non sempre con riferimento a tutte le voci della retribuzione e, quindi, con
discipline non del tutto coincidenti tra loro.
4.- Tale sistema non venne modificato dalla legge 30 aprile 1969 n. 153, la quale introdusse
per la prima volta nel nostro ordinamento la cosiddetta perequazione automatica, disponendo che le
pensioni venissero aumentate, con effetto dall’I gennaio di ciascun anno, in misura percentuale pari
all’incremento dell’indice del costo della vita calcolato dall’ISTAT ai fini della scala mobile della
retribuzione ai lavoratori dell’industria (art. 19). Infatti, la suddetta normativa riguardava soltanto
l’AGO e pertanto non comprendeva le gestioni speciali, sostitutive o esonerative, alle quali
continuava ad applicarsi, anche in tema di perequazione, la disciplina propria di ciascuna di esse.
Anche la modifica, in senso peggiorativo, del suddetto sistema di perequazione della pensioni,
introdotta dall’art. 10 della legge 3 giugno 1975 n. 160 originariamente non si applicava alle
gestioni speciali, che pertanto restavano ancora soggette ai rispettivi ordinamenti.
In particolare, per quanto concerne i pensionati della SICILCASSA, tale regime perequativo
particolarmente vantaggioso era previsto dall’art. 24 dello Statuto del Fondo pensioni istituito
dall’ente datore di lavoro per provvedere alla erogazione delle prestazioni previdenziali ai
dipendenti che ne avevano diritto, che assoggettava le pensioni degli iscritti al Fondo “alle stesse
variazioni che saranno apportate alla retribuzione pensionabile del personale in attività di servizio
presso la Cassa, avente grado gerarchico ed anzianità corrispondenti a quelli che l’iscritto aveva al
momento della pensione”.
5.- Il primo, importante, intervento legislativo riguardante la validità giuridica della clausola
dell’aggancio al pari grado, si ebbe con il d.l. 23 dicembre 1977, n. 942, convertito dalla legge. 27
febbraio 1978, n. 41, con la quale si estese il meccanismo di perequazione automatica in vigore
presso l’INPS a tutti i regimi previdenziali obbligatori, ovvero (art. 1) “alle pensioni erogate dalle
gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive o integrative dell’assicurazione generale obbligatoria
per l’invalidità vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti che ne comportino l’esclusione o
l’esonero […n
Il provvedimento interessò molte categorie di pensionati, fra i quali quella degli ex dipendenti
bancari. Nel relativo settore la disposizione toccò le pensioni in modo diverso, a seconda del regime
rispettivamente per esse previsto. In particolare: a) i regimi esonerativi — come quello del Fondo
pensioni per il personale della Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele per le provincie siciliane, poi
4

Previdenza del personale del Monte dei Paschi di Siena (d.P.R. 26/3/1976); il Fondo pensioni per il
personale della Cassa di Risparmio di Torino (d.P.R. 18/4/1973, n. 496); il Fondo di previdenza per
il personale della Cassa di Risparmio di Asti (d.P.R. 8/4/1976, n. 194); il Fondo per il personale
della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (d.P.R. 6/3/1976, n. 263); il Fondo di previdenza della
Cassa di Risparmio di Firenze (d.P.R. 18/4/1973, n. 468); il Fondo per le pensioni al personale della
Cassa di Risparmio delle provincie lombarde (d.P.R. 14/12/1973, n. 1025); la Cassa di Previdenza
per il personale dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino (d.P.R. 18/8/62, n. 1434).

Benché non potessero esservi dubbi sul fatto che, con tale ultima disciplina fosse venuta meno
— per i regimi esonerativi — espressamente ivi contemplati, la base giuridica su cui poggiavano le
diverse clausole statutarie che contemplavano il sistema perequativo dello “aggancio al pari grado
di servizio”, tuttavia tali clausole non vennero mai espunte dai relativi articolati (ove, anzi vennero
sempre mantenute nelle diverse versioni succedutesi nel tempo) e questo è stato un elemento che ha
contribuito ad alimentare un contenzioso che non avrebbe dovuto mai svilupparsi, in quanto — al di
là delle mere “speranze” degli interessati nel ripristino del vecchio sistema — in realtà, per i regimi
esonerativi, non si è mai più dubitato, anche nella giurisprudenza, del fatto che il d.l. n. 942 del
1977 avesse abolito il suddetto sistema perequativo privilegiato. Né mai il legislatore, nei pur
numerosi interventi successivi in materia, ha mai dato adito ad una diversa soluzione.
Viceversa, anche a causa della suddetta mancata eliminazione della corrispondenti clausole
statutarie, la vicenda di tali pensionati — anche con riguardo al regime perequativo in oggetto —
spesso si è sovrapposta e confusa con quella — differente — dei dipendenti del Banco di Napoli e del
Banco di Sicilia, fruitori di regimi esclusivi e, a volte, tali due distinte situazioni sono state
accomunate nell’interpretazione dei molteplici interventi legislativi susseguitisi nel tempo nonché
delle pronunce della Corte costituzionale e di questa Corte (anche a Sezioni unite).
Ma senza un reale fondamento normativo o giurisprudenziale.
6.- Infatti, fin dalla sentenza n. 349 del 1985 della Corte costituzionale — contenente
affermazioni di grande rilievo, anche per la soluzione della presente controversia — con la quale è
stata dichiarata l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 1 d.l. n.
942 del 1977 cit. — denunciato, sia in via strumentale rispetto alla censura del sistema perequativo
dell’art. 10 della legge n. 160 del 1975, da esso esteso alle gestioni speciali, sia in maniera
autonoma (anche con riguardo alla sua applicazione agli iscritti al Fondo pensioni per il personale
della Cassa centrale di risparmio per le province siciliane) — non potevano nutrirsi dubbi sul fatto
che la disposta generalizzazione del regime perequativo dei trattamenti di pensione proprio
dell’AGO, con conseguente eliminazione delle condizioni di particolare favore nei confronti di tutte
le numerose gestioni che, al pari della suddetta forma esonerativa, prevedevano un diverso regime
(come quelle denominate sostitutive o integrative, anche se istituite in gestioni speciali presso
l’INPS), escludesse la stessa ipotizzabilità dell’esistenza di diritti quesiti all’integrità
dell’ammontare delle pensioni, salva restando per il settore del credito la diversa situazione dei
regimi esclusivi del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, non toccati dalla riforma del 1977.
Nella suindicata sentenza la Corte costituzionale, infatti, ha, al riguardo, ribadito il proprio
consolidato orientamento secondo cui deve essere riconosciuta la legittimità di interventi legislativi
riduttivi dei trattamenti pensionistici purché sussista l’elemento della ragionevolezza — che ricorre,
5

SICILCASSA, che interessa in questo giudizio — essendo esplicitamente menzionati nella legge n.
41 del 1978, si videro togliere il sistema perequativo privilegiato dell’aggancio al pari grado in
servizio; b) i due — eccezionali — regimi esclusivi del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia non
furono invece toccati dalla riforma, poiché si riteneva che i relativi trattamenti pensionistici
costituissero, più che una vera e propria pensione, una sorta di retribuzione, sia pure differita (vedi,
per tutte: Cass. 7 aprile 1992, n. 4219); c) neanche furono colpiti i fondi integrativi privati, ovvero
“non obbligatori” (vedi, mutatis mutandis: Cass. 15 ottobre 1987, n. 7619).

Sulla base di questa premessa, il Giudice delle leggi sottolineò, poi, la inappropriatezza del
sistema perequativo introdotto dall’art. 10 della legge n. 160 del 1975 — esteso alle gestioni speciali
dal d.l. n. 942 del 1977 — che aveva comportato dei sacrifici per gli interessati, ma pose anche
l’accento sulla modestia dei sacrifici stessi, nelle loro dimensioni quantitative e temporali, avendo il
legislatore, con l’art. 21 della legge n. 730 del 1983, abolito, con decorrenza dal 1 gennaio 1984, il
suddetto sistema dell’incremento in misura fissa (il quale aveva comportato il deprecabile fenomeno
dell’appiattimento delle pensioni, criticato anche nella Relazione governativa al disegno di legge),
disponendo che la perequazione automatica tornasse ad operare, per tutte le forme previdenziali,
solo in cifra percentuale, in base agli stessi indici di aumento della scala mobile dei lavoratori
dell’industria, secondo il sistema generale di incremento commisurato all’importo di esse.
La Corte aggiunse che con la successiva legge 15 aprile 1985 n. 140 (art. 10), nell’intento di
riparare ulteriormente agli effetti negativi della legge n. 160 del 1975, si dispose che le pensioni
erogate dalle gestioni speciali — quale è quella qui in discussione — sarebbero state valutate con i
criteri previsti dalle normative delle singole gestioni e secondo le possibilità economiche di esse, il
che avrebbe comportato la ridistribuzione ai medesimi pensionati delle somme eventualmente
economizzate per effetto della legge n. 160 del 1975 (con conseguente perdita di rilievo
dell’argomento relativo all’ammontare dei contributi versati).
Ne deriva che, la suddetta pronuncia confermò l’avvenuta abolizione del sistema perequativo
c.d. della clausola-oro per i regimi esonerativi e, può dirsi, che ne rafforzò l’efficacia in
conseguenza della ritenuta conformità a Costituzione della relativa disciplina.
7.- Peraltro, come si è detto, tale abolizione non è mai stata messa in discussione neanche
dalla copiosa normativa successiva.
Al riguardo, va ricordato che, dopo l’art. 10 della legge n. 140 del 1985 cit., il legislatore è
nuovamente intervenuto, per “compensare” le perdite subite per effetto la legge n. 41 del 1978 dalle
pensioni a carico delle forme di previdenza sostitutive ed esonerative, con ulteriori periodiche
rivalutazioni, disposte prima con l’art. 4 della legge n. 544 del 1988 e poi l’art. 2-bis della legge n.
59 del 1991, quest’ultimo non riguardante i bancari.
Per costoro, il d.lgs. 20 novembre 1990, n. 357, emanato in attuazione della delega prevista
dall’art. 3 della legge 30 luglio 1990, n. 218, dispose che l’INPS avrebbe assunto a proprio carico
una quota del trattamento pensionistico già in godimento (art. 3). La quota residua (cosiddetta
“quota integrativa”, da calcolare sottraendo l’importo erogato dall’INPS a quello risultante
applicando la disciplina dei previgenti regimi esclusivi o esonerativi goduti dai dipendenti degli enti
6

fra l’altro, quando vi sia carenza di risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi
impegni di spesa — con la conseguenza che, non sussistendo alcun diritto alla intangibilità del
trattamento pensionistico, nell’ammontare elargito al momento in cui ha avuto inizio l’iscrizione ad
un determinato regime, deve essere esclusa l’esistenza di diritti quesiti in capo ai soggetti posti in
stato di quiescenza, dato che, viceversa, il mantenimento dell’originario meccanismo di
perequazione del trattamento si porrebbe in contrasto, attesa l’ingiustificata diversità di trattamento
che deriverebbe tra i pensionati, con il principio di eguaglianza posto dall’art. 3 Cost. (nello stesso
senso, tra le tante: Corte costituzionale sentenze n. 257 del 2011; n. 30 del 2004; n. 409 e n. 390 del
1995; n. 240 del 1994 ordinanza n. 202 del 2006).

La successiva legge 23 ottobre 1992, n. 421, nel delegare il Governo ad emanare uno o più
decreti legislativi per il riordino del sistema previdenziale (art. 3), dettò un principio direttivo anche
in ordine alla perequazione automatica. Precisamente, secondo la lettera q) del citato art. 3,
l’emananda disciplina avrebbe dovuto «garantire, tenendo anche conto del sistema relativo ai
lavoratori in attività, la salvaguardia del loro potere di acquisto» e, in virtù di quanto disposto dallo
stesso art. 3, lettera p), tale principio direttivo si sarebbe dovuto applicare anche «al personale di cui
all’articolo 2 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 537».
In esecuzione della delega fu emanato il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, il cui art. 11 dispose,
quale principio generale in materia pensionistica, che gli aumenti a titolo di perequazione
automatica si dovessero applicare sulla base del solo adeguamento al costo della vita con cadenza
annuale ed in misura pari alla variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di
operai ed impiegati.
L’art. 9 dello stesso d.lgs. n. 503 del 1992, intitolato «Trattamenti di pensione ai lavoratori di
cui al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357», al comma 1, stabilì che «Le disposizioni di
cui ai titoli I e III del presente decreto riferite ai lavoratori dipendenti dell’assicurazione generale
obbligatoria trovano applicazione anche per gli iscritti alla gestione speciale di cui al decreto
legislativo 20 novembre 1990, n. 357, relativamente alle pensioni o quote di esse a carico della
gestione medesima». Il comma 2 aggiunse che «Gli articoli 2, 3, 8, 10, 11, 12 e 13 trovano
applicazione nei confronti dei regimi aziendali integrativi ai quali è iscritto il personale di cui
all’articolo 2 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357».
Con l’emanazione di tale disciplina, da un lato, con riferimento agli ex dipendenti degli enti
pubblici creditizi con regimi esclusivi che il 31 dicembre 1990 erano già in pensione, sorse il
dubbio se, anche per essi, in virtù delle norme da ultimo menzionate, l’unico meccanismo
perequativo operante fosse ormai quello dell’art. 11, oppure se quest’ultimo si applicasse solamente
alla quota di pensione loro erogata dall’INPS, mentre, al fine di determinare il complessivo
trattamento pensionistico cui essi avevano diritto — e, dunque, la quota integrativa a carico dei datori
di lavoro ovvero dei fondi integrativi — dovesse continuare ad operare il diverso meccanismo
perequativo della c.d. “clausola-oro”.
Dall’altro lato, con riguardo agli ex dipendenti bancari che originariamente godevano di
regimi esonerativi, si pose il problema di stabilire il contenuto precettivo della disciplina di cui al
d.l. 19 settembre 1992 n. 384, convertito con modificazioni nella legge 14 novembre 1992 n. 438,
che aveva sospeso ogni norma di legge o di contratto collettivo che prevedesse aumenti a titolo di
perequazione automatica delle pensioni, nonché della legge delega n. 421 del 1992, seguita dal
d.lgs. n. 357 del 1992, con i quali il legislatore aveva fissato regole uniformi per la perequazione di
tutte le pensioni senza esentare da questo riassetto i dipendenti degli enti creditizi già pensionati alla
data del 31 dicembre 1990.
7

pubblici creditizi) sarebbe rimasta a carico dei datori di lavoro ovvero dei fondi o delle casse
costituiti in base alla legge 20 febbraio 1958, n. 55, che venivano contestualmente trasformati, per
effetto dell’art. 5 dello stesso d.lgs. n. 357 del 1990, in fondi integrativi dell’assicurazione generale
obbligatoria (art. 4).

Tuttavia, anche tale disposizione, per come formulata, non riuscì a realizzare l’intento
perseguito e fu solo con l’art. 59, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che finalmente si
stabilì, in modo inequivocabile che: “A decorrere dal 1° gennaio 1998, per l’adeguamento delle
prestazioni pensionistiche a carico delle forme pensionistiche di cui ai commi 1, 2 e 3 trova
applicazione esclusivamente l’art. 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, con
esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche collegate all’evoluzione
delle retribuzioni di personale in servizio.”
Questa norma, finalmente esplicitò in modo univoco la sua volontà legislativa di abolire
definitivamente le clausole di aggancio al pari grado in servizio e la giurisprudenza di questa Corte
precisò che essa aveva applicazione generalizzata nei confronti di tutti i lavoratori, sia attivi che
pensionati, ed anche ai Fondi integrativi privati, e non solo a quelli ex esclusivi o ex esonerativi,
ove ancora operativi, essendo il frutto di una ragionevole scelta di armonizzazione dei diversi
sistemi (vedi, per tutte: Cass. 11 maggio 2002, n. 6804; Cass. 20 agosto 2003, n. 12254; Cass. 22
novembre 2006, n. 24777).
9.- Comunque, per il periodo precedente alla vigenza di tale ultima norma, le “incertezze”
derivanti dall’interpretazione delle differenti discipline susseguitesi nel tempo, diedero luogo ad un
ulteriore nutrito contenzioso, riguardante sia i pensionati che originariamente avevano i regimi
esclusivi (cioè quelli del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia), sia quelli che avevano i regimi
esonerativi (come quello della SICILCASSA).
Per i primi – specialmente a causa della loro esclusione dalla sfera di applicazione della
riforma del 1977 – le questioni controverse sono state di particolare complessità, sicché:
a) dopo un iniziale contrasto interpretativo tra Cass. 10 luglio 1998, n. 6767 e Cass. 8 febbraio
2000 n. 1388 ed il contrasto fu risolto da Cass. SU 12 giugno 2001 n. 9023 e n. 9024, con le quali si
affermò che l’art. 9 d.lgs. n. 503 del 1992 aveva lasciato operare la “clausola-oro”, limitatamente
alla quota delle pensioni erogata dai datori di lavoro o dai fondi integrativi, per chi era già
pensionato alla data del 31 dicembre 1990;
b) è quindi intervenuto l’art. 1, comma 55, della legge 23 agosto 2004, n. 243 che ha stabilito
che: «Al fine di estinguere il contenzioso giudiziario relativo ai trattamenti corrisposti a talune
categorie di pensionati già iscritti a regimi previdenziali sostitutivi, attraverso il pieno
riconoscimento di un equo e omogeneo trattamento a tutti i pensionati iscritti ai vigenti regimi
integrativi, l’articolo 3, comma 1, lettera p), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e l’articolo 9,
comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, devono intendersi nel senso che la
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8.- Il legislatore cercò di fare chiarezza con l’art. 3, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n.
335, secondo cui: “Alla gestione speciale e ai regimi aziendali integrativi di cui al decreto
legislativo 20 novembre 1990, n. 357, già rientranti nel campo di applicazione delle disposizioni di
cui all’articolo 9 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, per i lavoratori e pensionati,
quale che sia il momento del pensionamento, si applicano le disposizioni di cui alla presente legge
in materia di previdenza obbligatoria riferite ai lavoratori dipendenti e pensionati dell’assicurazione
generale obbligatoria, con riflessi sul trattamento complessivo di cui all’articolo 4 del citato decreto
legislativo n. 357 del 1990, salvo che non venga diversamente disposto in sede di contrattazione
collettiva”.

perequazione automatica delle pensioni prevista dall’articolo 11 del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 503, si applica al complessivo trattamento percepito dai pensionati di cui all’articolo 3 del
decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357. All’assicurazione generale obbligatoria fa
esclusivamente carico la perequazione sul trattamento pensionistico di propria pertinenza»;

d) successivamente, però, questa stessa Corte di cassazione ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 55, cit. prospettandone la violazione dell’art. 3, in
connessione con gli articoli 102 e 111 Cost.;
e) con sentenza n. 362 del 2008 la Corte costituzionale ha dichiarato l’infondatezza della
questione;
I) da ultimo, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza 10 febbraio 2012 sul caso
Arras e altri c/Italia ha ritenuto che la suindicata legge retroattiva sopravvenuta di cui all’art. 1,
comma 55, della legge n. 234 del 2004 abbia violato l’art. 6 della CEDU, stabilendo che i
pensionati del Banco di Napoli non avrebbero potuto più avvalersi del sistema di perequazione
aziendale (che faceva riferimento al sistema della c.d. clausola-oro) a partire dal 1992, sicché essi
avrebbero dovuto perdere il diritto alla anzidetta perequazione aziendale anche nel periodo tra il
1994 e il dicembre 1997, salvo restando che, a partire dal 10 gennaio 1998, erano stati soppressi
tutti i sistemi di perequazione aziendale (nello stesso senso la Corte EDU si è pronunciata, per
analoghe controversie introdotte da altri dipendenti dell’ex Banco di Napoli nelle sentenze Natale e
altri c/Italia, Casacchia e altri c/Italia entrambe del 15 ottobre 2013).
10.- Invece, per coloro che, come l’attuale ricorrente, godevano originariamente di regimi
esonerativi le questioni da risolvere sono state meno complesse, visto che, comunque, in tutte le
molteplici sentenze di questa Corte al riguardo non è stato mai posto in discussione il principio
secondo cui dal momento dell’entrata in vigore del suddetto decreto-legge n. 942 del 1977,
convertito dalla legge n. 41 del 1978, il regime vigente nell’assicurazione generale obbligatoria è
stato applicato anche al trattamento pensionistico erogato dalle gestioni sostitutive o integrative
nonché dalle Casse di previdenza istituite presso gli enti di credito aventi (a quel tempo) natura
pubblica (c.d. forme esonerative), con la conseguente eliminazione del più favorevole meccanismo
di adeguamento, senza che in contrario potesse rilevare, da un lato, l’anteriorità di tale più
favorevole trattamento assicurato dalle gestioni (in senso lato denominate) speciali e, dall’altro,
l’essere il trattamento stesso improntato al criterio del collegamento con la dinamica salariale per il
personale in servizio (vedi, fra le tante, per quanto concerne i fondi speciali di previdenza istituiti
presso l’INPS: Cass. 18 luglio 1987 n. 6349 e Cass. 27 ottobre 1988 n. 5827 nonché, riguardo alle
forme esonerative: Cass. 29 novembre 1988 n. 6450, Cass. 11 ottobre 1989, n. 4066; Cass. 8 giugno
1991 n. 6523, Cass. 22 agosto 1991 n. 9017; Cass. 10 luglio 1998 n. 6767, in motivazione).
Ciò è stato affermato in modo chiaro ed esaustivo da Cass. SU 7 agosto 2001, n. 10888 (cui si
è uniformata, sul punto, la successiva giurisprudenza, vedi per tutte: Cass. SU 20 settembre 2001, n.
11904, n. 11905 e n. 11906) ove è stato anche sottolineato, anche richiamandosi la sentenza della
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c) la giurisprudenza di legittimità si è subito ed unanimemente indirizzata nel senso che, in
base a tale disposizione, il meccanismo perequativo di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 503 del 1992
doveva ritenersi applicabile anche alla quota di trattamento pensionistico spettante al personale già
pensionato alla data del 31 dicembre 1990 ed erogata dai datori di lavoro o dai fondi integrativi;

Nella stessa sentenza le Sezioni unite hanno anche escluso che su tale assetto avesse spiegato
efficacia la normativa successivamente emanata e contenuta nella legge 30 luglio 1990 n. 218 e nel
d.lgs. 20 novembre 1990 n. 357, con la quale sono stati privatizzati gli istituti di credito di diritto
pubblico ed è stato in pari tempo consentito ai pensionati di tali istituti di mantenere il trattamento
di miglior favore, precisando che tale riconoscimento ha riguardato quei regimi ancora in vigore —
che da tale ultima normativa sono stati trasformati in integrativi — ma non quelli che erano stati
ormai soppressi. Infatti, come già rilevato da Cass. 10 luglio 1998, n. 6767, con le disposizioni
emanate nel 1990 è stato garantito ai suddetti pensionati il trattamento in atto al momento della
trasformazione del regime (da esonerativo in integrativo), ma non è stata fatta rivivere la clausola
statutaria c.d. di miglior favore — soppressa da oltre un decennio a causa della preclusione operata
dal d.l. del 1977 e mai più ripristinata — con la conseguenza che, essendo stata da tempo abrogata,
deve essere esclusa una successiva “riemersione” di quella clausola.
11.- La Corte d’appello di Palermo, basando la propria decisione sul principale argomento
della necessaria salvezza del “diritto quesito” del pensionato all’applicazione del regime
perequativo dello “aggancio al pari grado in servizio” (con riferimento al periodo considerato), non
ha minimamente tenuto conto dell’anzidetta evoluzione del quadro normativo e giurisprudenziale di
riferimento, da cui sinteticamente risulta che: a) dal momento dell’entrata in vigore del suddetto
decreto-legge n. 942 del 1977, convertito dalla legge n. 41 del 1978, per i regimi esonerativi (come
quello di SICILCASSA) è stato definitivamente abolito il suddetto regime perequativo di favore che
non è stato mai più ripristinato; b) la conseguente estensione anche ai regimi esonerativi del regime
perequativo AGO è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale con
sentenza n. 349 del 1985, escludendosi, fin da allora, la ipotizzabilità dell’esistenza di diritti quesiti
all’integrità dell’ammontare delle pensioni; c) ciò ha trovato riscontro nella unanime — sul punto —
giurisprudenza di questa Corte, sia precedente che successiva alla legislazione degli anni novanta
dianzi citata.
L’erroneità dell’anzidetto presupposto ermeneutico vizia l’intera sentenza impugnata.
12.- Ne consegue che, per le suesposte ragioni, il ricorso deve essere accolto, precisandosi che
la suddetta soluzione poggia su una lettura della normativa di riferimento non solo conforme alla
• Costituzione e, in particolare, al principio di razionalità-equità di cui all’art. 3 Cost. (essendo in
linea con la su menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 1985), ma anche in linea
con l’art. 6 della CEDU e con l’art. 1 del Protocollo n. 1 della stessa Convenzione, come interpretati
dalla Corte di Strasburgo in fattispecie analoghe alla presente (vedi, per tutte, mutatis mutandis:
Varesi contro Italia, decisione 12 marzo 2013).
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Corte costituzionale n. 349 del 1985 cit., che con la suddetta normativa del 1977 è stato
definitivamente abolito — e non, quindi, sospeso, come sostenuto dai pensionati — il meccanismo
perequativo previsto dalle forme esonerative (e sostituito con quello generale, meno favorevole),
che non è più stato successivamente ripristinato da un altro provvedimento normativo avente pari
grado nella gerarchia delle fonti del diritto e, per ciò solo, idoneo a ripristinare la suddetta
condizione di favore (come, invece, è avvenuto in altri settori dell’ordinamento a proposito delle
gestioni speciali e delle pensioni aventi una decorrenza anteriore ad una certa data: vedi, ad
esempio, l’art. 10 della legge 15 aprile 1985 n. 140 e l’art. 7 d.l. 31 luglio 1987 n. 317, convertito
dalla legge 3 ottobre 1987 n. 398).

IV — Conclusioni
13.- In sintesi il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata; non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto
della domanda proposta con il ricorso introduttivo del giudizio. I primi due motivi di ricorso sono
assorbiti.

14.- Ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ. si ritiene opportuno enunciare il
seguente principio di diritto:
“Per i pensionati degli istituti bancari di diritto pubblico poi privatizzati che godevano dei
regimi esonerativi contemplati dalla legge 20 febbraio 1958 n. 55, per effetto dell’ 1 del d.l. 23
dicembre 1977, n. 942 (convertito dalla legge 27 febbraio 1978, n. 41) è stato definitivamente
abolito il regime perequativo delle pensioni c.d. dello “aggancio al pari grado in servizio”
(conosciuto anche come “clausola-oro”), che non é stato più ripristinato. Pertanto, su tale assetto
normativo — considerato costituzionalmente legittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n.a/
349 del 1985 — non ha spiegato alcuna efficacia la normativa con la quale sono stati privatizzati gli
istituti di credito di diritto pubblico, contenuta nella legge 30 luglio 1990 n. 218 e nel d.lgs. 20
novembre 1990 n. 357. Infatti, la disposizione ivi prevista con la quale è stato consentito ‘
pensionati di tali istituti di mantenere il trattamento di miglior favore ha riguardato quei regimi
particolari che, all’epoca, erano ancora in vigore — e che da tale ultima normativa sono stati
trasformati in integrativi — ma non quelli che erano stati ormai soppressi”.

/

jte… 1…… .3:- . L)

P.Q.M.

“.
La Corte accog ieWericorso, cassa la sentenza impugnata,l /e7 decidendo nel merito, rigetta la
domanda. Compensa, tra le parti, le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 4 giugno 2014.

Quanto alle spese processuali, si reputa che sussistano giusti motivi per una integrale
compensazione delle spese dell’intero processo, in considerazione della peculiarità fattuale della
controversia e della complessità delle questioni trattate.

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