Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19780 del 09/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/08/2017, (ud. 12/07/2017, dep.09/08/2017),  n. 19780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1816/2017 proposto da:

D.M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

IPPOCRATE, 33 (TEL. 44243155), presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO NUCARO AMICI, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati CRISTINA POTOTSCHNIG, FEDERICO PERGAMI;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, elettivamente domiciliato in ROMA, V.

SISTINA 42, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GIORGIANNI, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati REMO DANOVI,

MATTEO GOZZI;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI

MILANO, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 14559/2016 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 15/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il notaio D.M.P. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi per la revocazione della sentenza della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA n. 14559/2016, depositata il 15/07/2016. Rimane intimato, senza svolgere attività difensiva, il Consiglio Notarile di Milano.

Su proposta del relatore, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4 e art. 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ravvisava l’inammissibilità del ricorso, il presidente fissava con decreto l’adunanza della Corte perchè la controversia venisse trattata in Camera di consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.

Il ricorrente ha depositato memoria, in forza dell’art. 380-bis c.p.c..

Il giudizio aveva ad oggetto la sanzione disciplinare della sospensione per mesi sei e della pena pecuniaria di Euro 240,00 inflitta dalla Commissione amministrativa regionale di disciplina della Lombardia in data 1 marzo 2012 al notaio D.M.P., a seguito di più illeciti contestatigli, quali: violazione in modo costante, ripetuto, sistematico e non occasionale dell’art. 147, comma 1, lett. b, della Legge Notarile, in relazione all’art. 10 del codice deontologico, per avere aperto un ufficio secondario non dichiarato, nel Comune di Rho, oltre a quello già dichiarato e mai cessato nel Comune di Milano; in relazione all’art. 31 del codice deontologico, essendo venuto meno ai doveri di imparzialità, per avere svolto ricorrenti prestazioni presso soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali; violazione in modo costante, ripetuto, sistematico e non occasionale dell’art. 147, comma 1, lett. b), della Legge Notarile, in relazione all’art. 21 del codice deontologico, per essere venuto meno ai doveri di collaborazione nei confronti del Consiglio notarile, avendo impedito a tale organo, mediante sistematici e ripetuti rifiuti, ritardi ed omissioni nella trasmissione della documentazione e dei dati richiesti, di esercitare nel modo più efficace il potere-dovere di vigilanza e controllo e le altre funzioni ad esso demandate dalla legge, ai fini della garanzia della qualità della prestazione e della tutela del prestigio e del decoro della categoria, avendo altresì mancato di lealtà nelle comunicazioni effettuate; violazione dell’art. 147, comma 1, lett. a), della Legge Notarile, per avere improntato il proprio comportamento ad un’eccessiva litigiosità nei confronti dei colleghi, del Consiglio notarile e dei clienti in genere, recando con ciò pregiudizio all’immagine del notaio quale depositario di una funzione paragiurisdizionale; violazione del dovere, imposto dall’art. 26, comma 1, della Legge Notarile, di assistere personalmente allo studio nei giorni della settimana di martedì, mercoledì e giovedì e negli orari fissati dal presidente della Corte d’Appello di Milano. La Corte d’Appello di Milano, con ordinanza del 26 settembre 2012, respinse il reclamo del Notaio D.M., il quale propose ricorso per cassazione che fu parzialmente accolto con sentenza n. 1437 del 2014 limitatamente ad un addebito disciplinare. Con ordinanza del 3 giugno 2015, la Corte d’Appello di Milano, pronunciando quale giudice di rinvio, assolse l’incolpato dall’addebito disciplinare n. 4, e, con riferimenti ai restanti addebiti, rideterminò la sanzione nella misura di mesi tre di sospensione. Anche quest’ultima ordinanza fu oggetto di ricorso per cassazione da parte del D.M., sulla base di tredici motivi, ricorso rigettato dalla sentenza n. 14559/2016, del 15 luglio 2016.

Tale sentenza così motivava:

“1. Con i primi dieci motivi di ricorso si deduce: 1) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 144 dell’ordinamento notarile, art. 62-bis c.p., L. n. 689 del 1981, art. 11, per avere la Corte d’Appello negato all’incolpato la concessione delle attenuanti; 2) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., nonchè l’omesso esame di fatto decisivi per il giudizio, per avere la Corte territoriale omesso di rivalutare i fatti relativi agli addebiti in ordine ai quali vi è stata affermazione di responsabilità ai fini della quantificazione della pena e della concessione delle attenuanti; 3) l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte d’Appello omesso di considerare le richieste dei clienti ovvero, in alternativa, le modalità di avvio del rapporto professionale tra il notaio e i suoi clienti; 4) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 144 dell’ordinamento notarile, per avere la Corte di rinvio negato il riconoscimento dell’attenuante speciale dell’essersi adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione; 5) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 144 dell’ordinamento notarile, art. 62-bis c.p., in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche pur in presenza della incensuratezza dell’incolpato; 6) omesso esame di fatto decisivi per il giudizio, in relazione alla data di cessazione della condotta illecita; 7) violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè omesso esame di fatto decisivi per il giudizio, per non avere la Corte d’Appello considerato che il Consiglio notarile aveva prorogato l’originario il termine per il deposito della documentazione richiesta e che, successivamente, tale documentazione è stato oggetto di furto; 8) omesso esame di fatto decisivi per il giudizio, in relazione alla rinuncia spontanea ai ricorsi presentati presso il giudice amministrativo; 9) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 147, 26, 137, 144 dell’ordinamento notarile, in relazione alla entità della sanzione irrogata e al diniego delle circostanze attenuanti; 10) l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte d’Appello negato le attenuanti generiche o un trattamento sanzionatorio più lieve nonostante l’incensuratezza dell’incolpato e la sussistenza di plurime circostanze favorevoli.

Tutte le censure di cui sopra non possono trovare accoglimento.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, nel procedimento disciplinare a carico dei notai, la determinazione qualitativa e quantitativa della sanzione da irrogare, nell’ambito dei limiti previsti dalla legge, rientra tra i poteri discrezionali dell’organo preposto ad irrogarla; in considerazione della natura punitiva che le è propria, ogni sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, alle circostanze dello stesso ed alla personalità dell’autore dell’illecito, alla stregua dei criteri previsti per gli illeciti penali dall’art. 133 c.p. e per gli illeciti amministrativi dall’art. 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Sez. 6-3, Sentenza n. 5914 del 11/03/2011, Rv. 617370).

Questa Corte ha ancora statuito che, nel procedimento disciplinare a carico dei notai, la concessione delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionale valutazione del giudice, che può concederle o negarle, dando conto della scelta con adeguata motivazione, ai fini della quale non è necessario prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’incolpato, essendo sufficiente la giustificazione dell’uso del potere discrezionale con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Sez. 6-3, Sentenza n, 11790 del 27/05/2011, Rv. 618160; Sez. 3, Sentenza n. 2138 del 25/02/2000, Rv, 534402; Sez. 3, Sentenza n. 4866 del 18/05/1994, Rv. 486674).

Orbene, nella specie, la Corte d’Appello di Milano, dopo aver assolto il D.M. dall’addebito di cui al n. 4 delle contestazioni elevategli, si è trovata a dover rideterminare le sanzioni da infliggere per i restati illeciti disciplinari di cui è stato ritenuto responsabile con sentenza passata in giudicato (quelli di cui ai nn. 1, 2, e 6) e – a tal fine – ha provveduto a rivalutare i fatti e le circostanze degli stessi, pervenendo ad un giudizio di “gravità” degli addebiti disciplinari per i quali il D.M. è stato ritenuto colpevole.

Trattasi di un giudizio discrezionale, incensurabile in sede di legittimità, avendo peraltro la Corte di Milano determinato la sanzione entro i limiti determinati dalla legge (essendo stata ritenuta la colpevolezza per illeciti costituiti da violazione non occasionale delle norme deontologiche, l’art. 147 Ord. not. prevede la sanzione della sospensione fino ad un anno) e sulla base di una motivazione esente da vizi logici e giuridici.

La Corte territoriale ha peraltro considerato la cessazione dell’attività illecita da parte del notaio, come ha considerato la sua incensuratezza, ritenendo tuttavia che tali circostanze non potessero attutire la ritenuta gravità dei fatti e giustificare la concessione delle invocate attenuanti.

Sul punto, va ribadito il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui la circostanza che il notaio, passibile di sanzioni disciplinari, sia incensurato non comporta la necessaria concessione delle circostanze attenuanti con la diminuzione della sanzione prevista dalla legge; la concessione o meno delle circostanze attenuanti è, infatti, rimessa al potere discrezionale del giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 3, Sentenza n. 2507 del 16/06/1977, Rv. 386227).

Il richiamo, da parte del ricorrente, alle diverse ulteriori circostanze qualificanti il fatto sottintende, in realtà, una sollecitazione della rivalutazione dei fatti da parte di questa Corte, che è preclusa in sede di legittimità; nè sussiste il preteso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), non potendosi riconoscere carattere decisivo alle varie circostanze di fatto richiamate dal ricorrente.

E peraltro va ancora osservato come risulti per tabulas smentito l’assunto del ricorrente secondo cui l’incolpato avrebbe rinunciato spontaneamente a tutti i ricorsi proposti dinanzi al giudice amministrativo, risultando invece che egli ha rinunciato solo a cinque degli otto ricorsi presentati, essendo stati i rimanenti tre ricorsi rigettati dal giudice (v. p. 5 della ordinanza impugnata).

Da ultimo, va osservato come risulti del tutto legittima la mancata ammissione di nuovi documenti nel giudizio di rinvio, avendo il giudice di merito ritenuto che tali documenti fossero irrilevanti anche ai fini della quantificazione della sanzione perchè in contrasto con i fatti ammessi dallo stesso incolpato.

2. – Vanno ancora esaminate le censure mosse con gli ultimi tre motivi di ricorso: 11) la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’Appello omesso di pronunciarsi sulle questioni dedotte con apposito motivo di ricorso per cassazione – dichiarato assorbito e riproposto al giudice di rinvio – col quale si lamentava la irrogazione di una sanzione complessiva e unitaria, senza la indicazione della pena inflitta per ciascuna violazione; 12) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 153,155,156,144 e 147 dell’ordinamento notarile, art. 133 c.p., L. n. 689 del 1981, art. 11, art. 24 Cost., per avere la Corte d’Appello applicato una sanzione unitaria, per avendo il Consiglio notarile richiesto sanzioni separate per ciascun illecito e per avere proceduto ad una comparazione di gravità tra l’addebito n. 1 e l’addebito n. 4, per il quale ultimo la stessa Corte aveva pronunciato assoluzione; 13) la violazione dell’art. 132 c.p.c., nullità dell’ordinanza impugnata, motivazione apparente, omesso esame di fatto decisivi per il giudizio, per avere la Corte d’Appello determinato il trattamento sanzionatorio senza esplicitare le ragioni della ritenuta gravità degli illeciti accertati e omettendo di considerare, nella comparazione della gravità degli illeciti, che la insussistenza dell’illecito sub n. 4.

Anche queste censure non possono trovare accoglimento.

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. (per avere la Corte d’Appello omesso di pronunciarsi sulle questioni dedotte con apposito motivo di ricorso per cassazione, dichiarato assorbito e riproposto al giudice di rinvio, col quale si lamentava la irrogazione di una sanzione complessiva e unitaria), trattasi di censura priva di fondamento. invero, la censura mossa avverso la quantificazione della pena compiuta dalla Commissione di disciplina e confermata nel giudizio d’Appello è rimasta caducata a seguito dell’accoglimento del ricorso per cassazione e della successiva assoluzione dell’incolpato dall’addebito di cui al n. 4; conseguentemente, la detta censura è rimasta assorbita nella caducazione della precedente determinazione della sanzione e nella necessità di provvedere ad una nuova determinazione della stessa. Non sussiste, pertanto, il dedotto vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c..

In ordine al fatto che la Corte di rinvio ha comunque determinato la sanzione in modo unitario per tutti e tre gli addebiti per i quali è stata ritenuta la responsabilità disciplinare, le doglianze risultano inammissibili per carenza di interesse, avendo il ricorrente – con la determinazione unitaria della sanzione – fruito del trattamento più favorevole riconnesso ad una impropria applicazione dell’istituto penalistico della continuazione e non avendo egli neppure dedotto che la irrogazione di sanzioni distinte per ciascun illecito avrebbe determinato per l’incolpato un trattamento più favorevole.

Va ricordato in proposito che l’istituto della continuazione previsto dall’art. 135 Ord. not., u.c. (a tenore del quale “Se, in occasione della formazione di uno stesso atto, il notaio contravviene più volte alla medesima disposizione, si applica una sola sanzione, determinata fino all’ammontare massimo previsto per tale infrazione, tenuto conto del numero delle violazioni commesse”) vale solo nel caso di violazione plurime relative alla formazione di uno stesso atto, ma non è applicabile ai casi di violazioni relative – come nel caso di specie – ad atti diversi. Sul punto, questa Corte ha già statuito che l’art. 135, comma 4, della Legge Notarile, secondo il quale se il notaio, in occasione della formazione di uno stesso atto, contravviene più volte alla medesima disposizione, si applica una sola sanzione, determinata fino all’ammontare massimo previsto per tale infrazione tenendo conto del numero delle violazioni commesse, non opera in caso di plurime infrazioni identiche compiute in atti diversi, non potendo il giudice interferire nella discrezionalità del legislatore con l’estendere all’ambito degli illeciti disciplinari quanto previsto, in tema di continuazione, da altri settori dell’ordinamento (Sez. 2, Sentenza n. 9177 del 16/04/2013, Rv. 626103). Alla stregua di quanto sopra, deve ritenersi la carenza di interesse a formulare la censura in esame, non potendosi ritenere – nè essendo stato neppure allegato dal ricorrente – che la irrogazione di una sanzione unitaria, in luogo di sanzioni separate per ciascun illecito, abbia comportato un trattamento più gravoso per l’incolpato.

Infondato è anche l’assunto secondo cui la Corte di Milano avrebbe proceduto ad una comparazione di gravità tra l’addebito n. 1 e l’addebito n. 4, per il quale ultimo la stessa Corte ha pronunciato assoluzione. E’ vero che a p. 13 rigo 10 dell’ordinanza impugnata si parla di “giudizio di pari gravità dell’incolpazione sub 1 e sub 4”; ma si tratta di un evidente lapsus calami, dovendo ritenersi che la Corte territoriale intendeva riferirsi all’addebito n. 6, avendo essa tenuto ben presente l’assoluzione per l’addebito di cui al n. 4. Ciò si evince con certezza dalla lettura dell’inizio del medesimo periodo (p. 13, rigo 8), laddove si legge “(..) tenuto conto dell’esclusione dell’addebito sub 4 nel cui concorso è stata determinata l’entità complessiva della sospensione e avuto riguardo alle richieste iniziali del C.N., (…) la Corte ritiene congruo ridurre la sanzione a mesi tre di sospensione”.

Quanto alla pretesa nullità della sentenza per omissione della motivazione, non sussiste la omissione materiale della motivazione nè la motivazione apparente, dovendosi ritenere che la Corte d’Appello abbia esplicitato le ragioni poste a base della sua decisione; nè la motivazione è di per sè censurabile in cassazione alla stregua del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non ricorrendo l’omesso esame di alcun fatto che abbia il carattere della “decisività” per il giudizio”.

Il primo motivo del ricorso per revocazione deduce l’errore di fatto, ex art. 391 bis c.p.c., art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 365 c.p.c. e segg., addebitabile alla sentenza n. 14559/2016 per aver reintrodotto il tema della “eccessiva litigiosità” del notaio D.M. al fine di motivare la mancata concessione delle attenuanti generiche, nonchè la quantificazione della sanzioni inflitte, tema definitivamente escluso con la pronuncia del giudice del rinvio dopo la prima cassazione.

Il secondo motivo del ricorso per revocazione deduce l’errore di fatto, ex art. 391 bis c.p.c., art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 365 c.p.c. e segg., addebitabile alla sentenza n. 14559/2016 per aver ritenuto corretta la determinazione e quantificazione delle sanzioni disciplinari inflitte con riferimento al tredicesimo motivo di ricorso per cassazione, erroneamente rigettato.

Il terzo motivo del ricorso per revocazione deduce l’errore di fatto, ex art. 391 bis c.p.c., art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 365 c.p.c. e segg., addebitabile alla sentenza n. 14559/2016 per non aver valutato le circostanze documentate che avrebbero giustificato l’applicazione delle attenuanti specifiche di cui all’art. 144, Legge Notarile.

Il quarto motivo sottolinea l’evidente peculiarità della vicenda di causa, alla luce dell’istruttoria avviata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei confronti del Consiglio Notarile di Milano e delle notizie di stampa riportate.

Tutti i motivi di ricorso si rivelano estranei al parametro dell’errore revocatorio di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., partendo dall’assunto dell’errata valutazione delle circostanze rilevanti ai fini della determinazione delle sanzioni disciplinari inflitte e della concessione delle attenuanti, oggetto di motivi di ricorso esaminati e rigettati dalla sentenza n. 14559/2016. Le censure consistono pertanto inammissibilmente nell’invocazione di un sindacato sugli errori di giudizio che il ricorrente attribuisce alla sentenza n. 14559/2016 quanto alla decisione in punto di diritto.

Per consolidata interpretazione, invero, in materia di revocazione delle sentenze della corte di cassazione, l’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, deve consistere in una disamina superficiale di dati di fatto che abbia quale conseguenza l’affermazione o la negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, ovvero in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale.

E’ invece inammissibile il ricorso ex art. 395 c.p.c., n. 4, ove vengano dedotti errori di giudizio concernenti i motivi di ricorso esaminati dalla sentenza della quale è chiesta la revocazione, ovvero l’errata valutazione di fatti esattamente rappresentati o, ancora, l’omesso esame di atti difensivi, asseritamente contenenti argomentazioni giuridiche non valutate (Cass. Sez. U, 07/03/2016, n. 4413; Cass. 22/09/2014, n. 19926; Cass. 09/12/2013, n. 27451; Cass. Sez. Un. 28/05/2013, n. 13181; Cass. 12/12/2012, n. 22868; Cass. 18/01/2012, n. 714; Cass. Sez. Un. 30/10/2008, n. 26022).

Nel caso in esame, il ricorrente allega a sostegno della revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, l’errore di giudizio in cui sarebbe incorsa la Suprema Corte nel sindacato di legittimità in ordine alla determinazione qualitativa e quantitativa delle sanzioni disciplinari da irrogare, di per sè rientrante tra i poteri discrezionali dell’organo preposto ad irrogarla, dovendo la sanzione essere commisurata alla gravità del fatto, alle circostanze dello stesso ed alla personalità dell’autore dell’illecito. A proposito, in particolare, dell’addebito disciplinare n. 4, la sentenza della Corte di Cassazione ha affermato che i giudici del merito, rideterminando le sanzioni, erano pervenuti ad un giudizio di “gravità” di natura discrezionale, nel rispetto dei limiti determinati dalla legge e sulla base di motivazione esente da vizi logici e giuridici. Non possono perciò valere quali errori revocatori della sentenza 14559/2016 della Corte di Cassazione, non essendo affatto errori meramente percettivi, le denunce del ricorrente di non condivisibile esame dei motivi di censura o di documenti ovvero di circostanze dedotte nel giudizio per orientare la quantificazione delle sanzioni disciplinari, trattandosi di denunce di tipici “errores in iudicando” sotto il profilo dell’asserita erroneità del giudizio di fatto, in cui si estrinseca al più il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato a rimborsare le spese del giudizio di cassazione al controricorrente Consiglio Notarile di Milano.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017

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