Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19776 del 25/07/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 19776 Anno 2018
Presidente: DI VIRGILIO ROSA MARIA
Relatore: CAIAZZO ROSARIO

CIZINANZA
sul ricorso n. 27413/14, proposto da:
Comune di Maierà, in persona del sindaco p.t., elett.te domic. in Roma, alla via
Aurelia n. 386, presso l’avv. Sandro Campilongo che lo rappres. e difende, con
procura speciale in calce al ricorso;
RICORRENTE
CONTRO
Farfaglia s.r.I., in persona del legale rappres. p.t.;
INTIMATA NON COSTITUITA
avverso la sentenza n. 1616/2013 emessa dalla Corte d’appello di Catanzaro,
pubblicata in data 15.11.2013;
udita la relazione del consigliere, dott. Rosario Caiazzo, nella camera di
consiglio del 18 aprile 2018.

RLEVATO CEE
Il comune di Maierà citò la Farfaglia s.r.l. innanzi al Tribunale di Paola
assumendo che la società convenuta aveva solo parzialmente eseguito i lavori
appaltati (disinquinamento del territorio comunale, potenziamento ed
adeguamento della rete fognaria comunale) provvedendo alla rescissione in
danno del contratto, con successivo appalto dei lavori non eseguiti ad altra
impresa. Pertanto, il comune chiese la condanna dell’impresa al pagamento dei

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Data pubblicazione: 25/07/2018

danni pari alla differenza tra il ribasso d’asta operato dalla Farfaglia s.r.l. e
quello operato dalla nuova impresa aggiudicataria, nonché di ulteriori danni
connessi alla nuova gara d’appalto.
Si costituì la Farfaglia s.r.I., resistendo alla domanda e proponendo domanda
riconvenzionale.
Il Tribunale di Paola accolse parzialmente la domanda, ritenendo fondata la

lavori entro una certa data per non perdere i finanziamenti regionali,
condannando l’impresa convenuta al risarcimento del danno nella misura di
euro 261.710,00 indicata come differenza suddetta, ed accogliendo
parzialmente la domanda riconvenzionale con relativa condanna del comune al
pagamento della somma di euro 114.634,00 quale corrispettivo dei lavori già
eseguiti e per mancato utile.
La Farfaglia s.r.l. propose appello; si costituì il comune di Maierà.
La Corte d’appello di Catanzaro ha accolto il gravame e, in riforma
dell’impugnata sentenza, ha rigettato la domanda risarcitoria del comune,
dichiarando la risoluzione per inadempimento del contratto d’appalto,
condannando lo stesso comune al pagamento della somma di euro 123.327,36
a titolo di corrispettivo dei lavori eseguiti e di mancato utile sui lavori non
eseguiti, oltre interessi, e confermando il rigetto della domanda
riconvenziona le.
In particolare, la Corte ha ritenuto che: il comune aveva illegittimamente
rescisso il contratto d’appalto, essendo emerso che i lavori erano stati sospesi
per la necessità di approvare il progetto di variante per cui, in mancanza della
relativa approvazione, l’impresa aveva giustificatamente rifiutato di
sottoscrivere un atto di sottomissione relativo ai nuovi lavori; l’illegittimità
della rescissione comportava il venir meno del diritto del comune al
risarcimento dei danni; la mancata esecuzione del contratto era da imputare al
comune, che aveva modificato il progetto iniziale unilateralmente, senza però
approvarlo; varie voci di danno richieste dall’impresa non erano riconoscibili,
perché tardivamente esplicitate in primo grado, o non provate.

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rescissione in danno, considerata la necessità per il comune di terminare i

Il comune di Maierà ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro
motivi, illustrato con memoria. Non si è costituita la controparte cui il ricorso è
stato regolarmente notificato.
Il Sostituto Procuratore Generale ha depositato relazione, chiedendo il rigetto
del ricorso.
CONSIDERATO CFE

artt. 343 e 344 della I. n. 2248/1865, alleg. F, in quanto la Corte d’appello
aveva erroneamente considerato l’approvazione della perizia di variante come
necessaria e preventiva rispetto alla sottoscrizione dell’atto di sottomissione e,
pertanto, aveva erroneamente ritenuto legittimo il rifiuto dell’impresa di
riprendere i lavori senza tale approvazione, essendo piuttosto l’omessa
sottoscrizione dell’atto di sottomissione un inadempimento dell’impresa.
Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo
oggetto di discussione tra le parti, in quanto il giudice d’appello non aveva
considerato le risultanze delle prove testimoniali e documentali, nonché la
c.t.u. da cui sarebbe stata desumibile la dimostrazione dell’inadempimento
dell’impresa (ad esempio: per non aver eseguito alcuni espropri; per non aver
regolarmente versato i contributi agli operai).
Con il terzo motivo è stato dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo
oggetto di discussione tra le parti, relativo alla parte della c.t.u. che aveva
specificato la non coincidenza tra i lavori appaltati alla Farfaglia s.r.l. e quelli
poi commissionati alla nuova impresa, omettendo dunque di considerare le
risultanze decisive delle c.t.u. di primo e secondo grado.
Con il quarto motivo è stato denunziato l’omesso esame di fatto decisivo e
oggetto di discussione, non avendo la Corte di merito considerato le risultanze
testimoniali, documentali e delle c.t.u. di primo e secondo grado, in ordine alla
mancata consegna dei lavori all’impresa per illegittimo rifiuto di quest’ultima e
alla sospensione dei lavori.
Il primo motivo non ha pregio. Parte ricorrente ha lamentato la violazione degli
artt. 343 e 344 della I. n. 2248/1865, di cui invece la Corte d’appello ha fatto
corretta applicazione. Al riguardo, non ha alcun fondamento normativo
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Con il primo motivo è stata denunziata violazione e falsa applicazione degli

l’assunto secondo cui l’appaltatore avrebbe l’obbligo di sottoscrivere l’atto di
sottomissione in ordine ad una variante del progetto iniziale, oggetto del
contratto d’appalto stipulato, che non sia stata approvata dall’ente appaltante.
E’ vero piuttosto il contrario. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di
questa Corte, in tema di appalto di opere pubbliche, l’appaltatore che abbia
eseguito varianti in corso d’opera non previste dal contratto non ha diritto, per

indennizzo di sorta, neppure a titolo di indebito arricchimento dell’ente
committente, dovendo altresì ritenersi che il direttore dei lavori, che ne abbia
disposto l’esecuzione, abbia agito al di fuori di suoi poteri, e, perciò, quale
falsus procurator dell’ente. Invero, l’art. 342, comma 2, della I. n. 2248 del
1865, all. F, e l’art. 25 della I. 109 del 1994, hanno sancito il divieto di
introdurre varianti come regola generale assoluta, a meno che non siano
approvate tramite una regolare procedura di variante ex artt. 20 e ss. della
legge n. 109 (Cass., n. 343/13; n. 15029/16).
Al riguardo, viene in rilievo anche l’art. 343 della suddetta legge n. 1865
i
secondo il cuk disposto “verificandosi il bisogno d’introdurre in un progetto già
in corso di eseguimento variazioni od aggiunte le quali non siano previste dal
contratto e diano luogo ad alterazione dei prezzi di appalto, l’ingegnere
direttore ne promuove l’approvazione dell’Autorità competente, presentando
una perizia suppletiva che servirà di base ad una distinta sottomissione o ad
un’appendice al contratto principale”.
Ne consegue che, nel caso concreto, l’impresa appaltatrice ha correttamente
sospeso l’esecuzione dei lavori relativi alla perizia di variante, resasi necessaria
per le modifiche che l’amministrazione intendeva apportare dopo
l’aggiudicazione degli stessi lavori, in attesa della relativa approvazione, resa
necessaria dal predetto art. 343, che avrebbe legittimato le richieste di
pagamento afferenti agli ulteriori lavori da eseguire, non previsti dal contratto
originario stipulato.
Peraltro, parte ricorrente non ha allegato alcun motivo che avrebbe dovuto
giustificare la mancata approvazione della variante.

ovvie necessità di protezione del pubblico interesse, ad alcun compenso o

Gli altri motivi, da esaminare congiuntamente poiché tra loro connessi, sono
inammissibili. Invero, tali motivi riguardano fatti che non risultano dalla
sentenza impugnata ed esplicitano, in sostanza, censure relative al merito dei
fatti; peraltro, il comune non ha allegato e dimostrato la decisività delle
risultanze istruttorie il cui esame sarebbe stato omesso (considerando, altresì,
che vari rilievi riguardano profili di diritto esaminati nel precedente motivo).

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso e dichiara inammissibili i restanti
motivi.
Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma

lquater, del d.p.r. n.115/02, dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso principale, a norma del comma lbis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 18 aprile 2018.

Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione della parte intimata.

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